la partita

rosa e lia


L'avevo promesso ad un amica, lo avrei riletto per lei sola, giacchè quell'altra volta, la volta in cui non c'era ed io lo lessi, lei non c'era. Glie lo avevo promesso, ma mi son scordato.Eppoi non è neppure giorno, non è giornata no, non è umore per legger prosa colorata di rosso acceso e calda, calda come il sole siciliano. E' piuttosto giorno di umori neri, di pece nera scura versata su alfalto nero caldo, nero e caldo in questa città deserta di suoni e di piacere, vuota di emozione, fasulla, spercata, grigia polverosa, triste come quei buchi scavati dalla talpa, quei crateri aperti per politici guadagni. Questa città che tanto mi assomiglia, in cui mi specchio, in cui mi schifo. Non la città di fuori intendo, no, la città di dentro. L'avevo promesso ad un  amica ma me ne son scordato. Che del resto, scordarmi, è la cosa che meglio so fare. Anzi no, non scordarmi, ma  fare finta che mi son scordato. E crederci. "Rosalia. Rosa e Lia. Rosa che ha inebriato, rosa che ha confuso, rosa che ha sventato, rosa che ha róso, il mio cervello s'è mangiato. Rosa che non è rosa, rosa che è datura, gelsomino, bàlico e viola; rosa che è pomelia, magnolia, zàgara e cardenia. Poi il tramonto, al vespero, quando nel cielo appare la sfera d'opalina, e l'aere sfervora, cala misericordia di frescura e la brezza del mare valica il cancello del giardino, scorre fra colonnette e palme del chiostro in clausura, coglie, coinvolge, spande odorosi fiati, olezzi distillati, balsami grommosi. Rosa che punto m'ha, ahi!, con la sua spina velenosa in su nel cuore."