Linea e punto

Il manifesto


La pittura e le arti figurative all’apparenza non hanno mai goduto di tanta fortuna.Ogni mostra di maestri classici o del novecento organizzata anche nei più sperduti paesini o cittadine d’Europa e degli Stati Uniti vede frotte di visitatori accorrere entusiasti e fare ore di fila per poter ammirare schiacciati come acciughe in stanze museali buie e scomode (mai che ci sia una poltrona, una sedia, una panca per poter sedersi a riposare e ammirare da seduti i vari capolavori) opere normalmente già viste e straviste, sicuramente in migliaia di copie e riproduzioni e poter quindi godere di quel momento estatico che è il riconoscimento dell’opera e con essa del genio.Al contempo, per questa bizzarra sclerosi che ha colpito il mondo artistico occidentale, i pittori attivi, che non amano più farsi chiamare così preferendo la dizione più generalista di artisti o al massimo di artisti figurativi, fanno un’arte spesso incomprensibile ai più, sbalordendo in installazioni o tornando ad un figurativo barocco o ad un realismo aggressivo e di maniera. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: mostre di contemporanei pochissime e poco frequentate (rispetto alla fiumana inarrestabile dei frequentatori delle mostre classiche) e musei ad essi dedicati (Tate o Rivoli che sia) assolutamente vietati ai minori di un sapere artistico da iniziati e comunque a tutti coloro che non facciano pubblicamente professione di una umiltà intellettuale per ogni altro verso ammirevole.Che senso ha tutto questo? In quante case, in quanti castelli o palazzi fanno mostra di sè opere di contemporanei che dicano davvero qualcosa ai legittimi proprietari e non siano stati comprati per quel collezionismo che tanto ha a che fare con la speculazione finanziaria e i movimenti dei capitali?Ovviamente a nulla vale la constatazione che quanto fin qui descritto è destino comune anche ad un’altra arte altrettanto all’apparenza facile e consueta come la pittura: la musica.Anche in questo caso frotte di amanti del bel canto e delle buona musica accorrono a concerti e festival, mentre le opere dei musicisti professionisti contemporanei, coloro i quali studiano e lavorano con gli strumenti ogni giorno che Dio manda in terra vengono poco o punto capite e ascoltate. Perché? Perché assolutamente inascoltabili e inudibili. La musica, però, si risponderà, si salva con il fenomeno ormai da decenni imponente della musica popolare, della cosiddetta musica pop o rock o comunque di quel genere che unisce facilità di ascolto a brevi testi più o meno significativi, intensi o banalmente banali.Ma l’apparente differenza è soltanto tale, apparente per l’appunto: infatti anche per la pittura continuano a impazzare pittori più o meno sconosciuti che popolano non solo le fiere, ma soprattutto le case dei loro committenti. Le opere di costoro sono facili, comprensibili, descrittive così come era la pittura nel settecento e nel primo ottocento. Si è tornati là? Sicuramente la gente posta tra l’inqudine e il martello della scelta tra un’arte facile e facilmente comprensibile e l’arte contemporanea concettuosa e supponente fino alla noia, la gente si rivolge con continuità e fiducia alla prima e in barba alle grandi tele neoprimitiviste o alle mastodontiche installazioni (peggio performances) da giardino o cortile continua ad ordinare ritratti, paesaggi o opere di vago sapore simbolico.Con questo quadro di fronte i critici e gli intellettuali hanno dichiarato più volte (per guadagnarsi spazi e parcelle sui pubblici giornali e far salire le quotazioni di quei pochissimi maestri-chirurghi specializzati alle loro scuole che soli possono e riescono a tenere in vita il paziente-arte) che l’arte e la musica sono morte. Dopo la morte di Dio, vaneggiano, anche le arti liberali sono morte, non esistono più e ciò a cui assistiamo sono le ultime scariche elettriche di cui i muscoli di dette arti erano ottocentescamente dotati.Noi non lo crediamo. Noi non crediamo che una attività che ha accompagnato lo sviluppo umano da che si ha notizia e informazione possa "morire" per cause peraltro scarsamente illustrate, non spiegate, misteriose. Cancro? Tubercolosi? La Sars? L’Aids? Di che cosa dovrebbe essere morta l’arte? L’arte è morta nella testa di coloro i quali sono stufi, stanchi, vecchi e non hanno occhi per vedere e orecchie per sentire, per capire le differenze, le novità, i nuovi immaginari che si affacciano, i nuovi mondi che avanzano.In un panorama però così degradato per prima cosa bisogna porre dei paletti, tracciare dei confini, capirsi, intendersi.Ciò che io non credo sia morta è la pittura, intesa come l’arte di raffigurare manualmente in uno spazio bidimensionale mondi, prospettive, cose, persone.Due sono i vettori che ne decretano la continua vitalità: il fatto che i mondi e le prospettive siano infiniti e il fatto che la manualità continui a provocare al contempo piacere in chi la esercita e stupore e ammirazione in chi la osserva.Mille cose sono da ritrarre e da mostrare a partire da ciò che ci circonda (fisicamente, psicologicamente, allegoricamente e metaforicamente) per arrivare a ciò che per così dire ci sostanzia (idee, concetti, sentimenti, sogni, paure, ecc.). La ricerca personale è infinita perché infiniti sono gli oggetti della rappresentazione.Alla stessa maniera, le tecniche che possono essere pure o miste, ma che comunque siano sono anch’esse personali, assolutamente uniche, infinite anch’esse nelle sottigliezze, nelle grandi scelte di materiali e sfumature.Si badi bene: con ciò non voglio dire o dedurre la morte di altre consorelle (musica, scultura, teatro, cinema, ecc.). Non ho ambizioni pan-artistiche. Solo di pittura so (poco) solo di questa voglio parlare.Quel che è certo è che essa non è morta. Affatto. Essa vive e vegeta e cerca e trova incessantemente nuove cose da mostrare e nuovi metodi per farlo.Essa è viva nell’uso delle tecniche consuete (olio, acquarello, tempera, pastelli), ma anche nell’uso di nuovi strumenti (fotografia artistica in primis).Essa è viva soprattutto nella necessità interiore di ciascuno di noi di abbellire pareti e case, di rendere lo spazio in cui viviamo più nostro, più caldo, accogliente, con oggetti, i quadri, che ci parlino, ci riposino o ci eccitino, a seconda delle necessità di ognuno. Il colore da questo punto di vista è fondamentale e cosa è la pittura se non colore e linee, ma colore soprattutto se è vero come è vero che il grande Klee solo dopo un viaggio in oriente e la scoperta della luce e dei colori disse a se stesso: io sono pittore.Ecco quindi che la pittura è elemento archittetonico per antonomasia, non può vivere senza uno spazio fisico, una parete, un luogo per il quale è stato pensato e vive. Ogni quadro vive e può vivere solo in certe condizioni di luce e non in altre, solo con determinate esposizioni al sole e non altre. In questo senso le installazioni hanno in sé un valore, una idea generale e per ciò stesso vitale e proficua.L’arte senza l’archiettetura è come pensare ad un uomo senza aria da respirare, senza acqua da bere. Come se riuscissimo a concepire un bimbo senza padri né madri, sorto dal nulla, dallo spazio siderale, vuoto, freddo, alla fin fine inutile.Ogni quadro va pensato per il posto nel quale va poi posto e in questo si realizza l’unione di intenti tra coloro i quali i quadri li fanno, li pensano e li creano e coloro i quali i quadri li comperano. Ogni quadro andrebbe accompagnato da parte dell’artista con indicazioni precise sull’ambiente per il quale è stato pensato, sul tipo di luce che dovrebbe cullarlo o shoccarlo, al limite anche sul tipo di cornice che meglio si adatta, lasciando poi libero evidentemente il futuro acquirente di dare anch’egli un contibuto artistico, ripensando, analizzando e criticando se del caso le indicazioni del pittore e collocando e valorizzando il quadro come meglio ritiene.Un quadro senza queste indicazioni è come un nuovo prodotto, mai visto prima, messo sul mercato che non si sa a cosa serve, per cosa è stato pensato, quali sono stato gli intendimenti di colui che l’ha fatto, come andrebbe usato. Poi, ripeto, è evidente che chiunque di noi può comprare un libro ed usarlo per raddrizzare un tavolo, ma quel libro, si sa quando lo si compra, è stato pensato per soddisfare quegli scopi e non altri.Quindi:Orgoglio per il fatto tecnico – rappresentazione bidimensionale di oggetti concettuali pluridimensionaliNecessità di maggiore integrazione con l’elemento archittetonicoObbligo per ciascun quadro delle istruzioni per l’uso