L'Odissea

Trieste, metafora della crisi


EditorialeL’anima di Trieste: un oasi nella crisi           di Roberto Sinico            Trieste, la città del desiderio italico, conquistata e mutilata dopo la guerra, ha resistito per mezzo secolo alle decostruzioni politiche prodotte della cortina di ferro che l’hanno relegata a ruolo di avamposto occidentale, roccaforte difensiva nel deserto dei tartari.  Depotenziata brutalmente nella sua economia, annullato il suo storico ruolo di porto d’Europa, ha dovuto soffrire e faticare per non ammalarsi di psicosi. La sua identità, la sua cultura, la sua personalità, sono traballate cadendo in frantumi e, per aggrapparsi allo scoglio della terraferma di mercato, è stata spesso abbinata alle culture altre, quella mitteleuropea, quella slava o austriaca, mentre il suo respiro, il suo cuore, viveva di una brillante luce propria.Situata oggi nel centro dell’Europa, doveva trarre beneficio da questa nuova collocazione geopolitica, ricevendo il giusto riconoscimento delle sue potenzialità. Invece, come se il tempo si fosse fermato, permane nell’immaginario collettivo triestino quel freddo alone di alterità, di liminalità confinaria, di luogo altro ed emarginato, posto ai margini della storia, della vita civile e nazionale. La contesa e scomoda appendice adriatica, è contemporaneamente al centro e ai confini dell’Europa. Da questo conflitto origina la dissociazione psicotica, facendo di Trieste una sorta di Atlantide immateriale inabissata nel suo golfo.A volte rinchiusa nelle ferite profonde della storia, a rincorrere i ricordi di un conflitto tra le etnie diverse che pure costituiscono la sua vitalità fatta di convivenza e di pluralismo culturale, a volte in preda ad un vittimismo cronico e doloroso, fatica a rialzare la testa e ad essere assertiva di sé, nell’affermazione della sua vera identità ideale e reale. Passa  così in secondo piano la sua normale funzione di far rinascere un umanesimo non condizionato dal mero fattore economico. Nell’ansia affannata di non essere al passo con i tempi dettati dall’economia di mercato, laddove le vicende dolorose del porto segnano la sua decadenza commerciale, Trieste sembra aver perso fiducia nel suo futuro e di non avere un progetto.  In questa angosciosa ricerca di una nuova identità, di un ruolo e di una funzione nel complesso scenario politico ed economico italiano ed europeo, i triestini si aggrappano all’esistente e, vittime dell’indotta fame di eventi collettivi, abbracciano lo spettacolo mediatico e promozionale. Complice di questo non saper dove sbattere la testa, è la latitanza di un’intellighenzia pigra e deresponsabilizzata, più propensa ad autocelebrarsi sulla torre d’avorio, vagheggiando idee nostalgiche austroungariche, nello struggimento compiaciuto delle sue prodezze letterarie ed editoriali. Mancando una guida saggia, competente, di spessore culturale alto, qualcuno è arrivato persino ad affermare che la Barcolana è la vera anima di Trieste, con la magra soddisfazione di essere protagonisti, con i riflettori puntati, in una festosa domenica autunnale. Alla tenera ed affettuosa partecipazione della cittadinanza, che più che di eventi ha fame di sentirsi unita, di appartenere ed esprimere se stessa con la partecipazione, è seguita una settimana in cui la città è sparita, vuota nelle tiepide serate, con una ritirata generale delle persone nei propri focolari domestici. La terapia sociale della Barcolana funziona poco, ma possiamo utilizzare questo evento come metafora per descrivere la situazione politica attuale e come Trieste ne viene investita e vi si difende Barche e bancheQuest’anno il mare del golfo si è fermato, ha fatto sciopero. Ha protestato rifiutandosi di muovere le barche della Barcolana. Spesso si interpretano i segni della natura come messaggi che la Provvidenza sussurra per guidare le azioni degli uomini. Parafrasando una famosissima canzonetta, non possiamo più lasciar andare la barca perché non va più, serve un vero cambio di rotta della politica, della cultura e della società rispetto a quella irresponsabile e dissoluta gestione degli ultimi trent’anni. Quella ferma presenza delle barche induce a pensare a due possibili situazioni in cui la barca è paragonata ad una banca. Le barche possono essere un mezzo per far viaggiare bene le persone oppure quel golfo pieno di vele è una minaccia di guerra, come avvenne con l’arrivo degli Achei nel mare di Troia. La situazione che viviamo oggi è purtroppo la seconda e i cittadini sono ostaggio delle banche che determinano il loro impoverimento. Eppure Trieste ha reagito a questo attacco placando il vento e immobilizzando il mare. Quasi una lotta gandhiana, contro la ferocia del finanza  speculativa alla quale la città oppone la sua solida ed incorruttibile corazza di umanità e di etica. In fondo proprio la fragilità produttiva di Trieste è la medicina efficace contro gli effetti localistici della crisi mondiale. Il porto e l’approdo alla terra delle persone Come affermava Pier Aldo Rovatti, filosofo triestino che ne sa cogliere e sentire l’anima vivente, Trieste è una città in cui si vive bene, è bellissima ma non sa di esserlo. Serve perciò uno scatto di orgoglio della parte dirigente della città, per ricostruire un immaginario collettivo che facendo perno sulla tradizione, indichi un cammino e un progetto futuro. In quest’ottica assume un valore iniziatico di rigenerazione cittadina, la marcia del Sindaco Cosolini e del Comune per riappropriarsi del Porto, azione simbolica di una ritrovata sintesi di unità tra il mare delle barche e delle banche e la terra delle persone reali che lottano nella quotidianità alle prese con le difficoltà imposte dalla crisi. Il Porto diviene così punto di contatto e mediazione per far diventare quelle barche e quelle banche non una minaccia ma un servizio al bene pubblico, perché i Valori umani devono vincere sui valori economici.Ma, se invece di percorrere la sua essenza naturale, quella dell’umanesimo cosmopolita, la città si lascerà affascinare e determinare dai sogni del tecnicismo economico, dallo sviluppo fine a se stesso, dall’aderenza ai diktat della logica finanziaria, la decadenza di Trieste avrà il suo apogeo e il tramonto dell’antica Tergeste sarà compiuto.