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Gli intellettuali sardi (beati loro)


di Giovanni Follesa(www.giovannifollesa.it)Alcuni intellettuali sardi (beati loro) hanno capito il perché quest’isola si stia macerando in una crisi senza precedenti. Ce lo spiegano dalle colonne di alcuni quotidiani o siti web (bontà loro) con piglio autorevole, tipico di chi padroneggia qualsivoglia argomento: economia, arte, industria, letteratura, turismo, non c’è campo che sfugge all’acutezza ai nostri pensatori contemporanei. Assomigliano ai tuttologi tanto in voga nella teledemocrazia edonistica degli anni Ottanta. E già questo la dice lunga sulla loro tempestività di reazione. La narrazione sulla Sardegna è presto così semplificata: se nei gialli l’assassino è sempre il maggiordomo, così in questo racconto che si reitera da tre anni l’assassino è sempre il governatore Cappellacci, con la complicità del padrino politico Berlusconi. Un intreccio originale come la rima cuore-amore. Alcoa chiude? Colpa di Cappellacci. Sulla Sassari-Olbia non si sfreccia ancora oltre ogni limite di velocità? Rivolgersi a Cappellacci. La cultura non è coccolata a sufficienza? È Cappellacci insensibile. E se oggi un’astronave extraterrestre atterrasse sui campi di carciofi del Campidano e ci dichiarasse guerra? Certo che Cappellacci è maldestro, poteva pensarci prima a studiare la loro lingua e aprire un tavolo per promuovere un trattato di non belligeranza con gli omini verdi.Quel che stiamo vivendo oggi, a seguire i ragionamenti permeati di un certo intellettualismo strabico, è causato dall’attuale governo della Regione, che ha circuito e blandito il popolo sardo durante la campagna elettorale del 2009 con promesse irrealizzabili. È una tesi monomaniacale: il pensiero fisso è una brutta bestia. Se usassimo lo stesso metro di non-giudizio di taluni intellettuali bulimici sarebbe sufficiente rispondere ricordando quanto accaduto nei cinque anni precedenti, dei rapporti tra quel Governo regionale e la società sarda che, invitata a non mangiare il panino portocervo, finì per morire di fame. Ma tutto ciò sarebbe inutile. Una lotta senza vincitori, ma solo sconfitti: i Sardi.A furia di ripeterlo ci si è assuefatti, eppure è davvero un momento storico senza precedenti quello che stiamo vivendo. E così come la classe politica sta sforzandosi di vivere per un orizzonte comune piuttosto che sprofondare in maleodoranti trincee di posizione, altrettanto, e anche di più, dovrebbero fare gli intellettuali, elevando il livello di autostima di questo popolo. Vero, tutto vero, c’è poco lavoro, in Sardegna come in tanti altrove, c’è la crisi, in Sardegna come in tanti altrove, i governi sono costretti a fronteggiare le emergenze piuttosto che a programmare il futuro, in Sardegna come in tanti altrove. Che fare, dunque?Già conforterebbe sapere che gli intellettuali non mistificano la realtà per asservirla al politico di ritorno. È ancora possibile credere nelle idee? Nei sogni da realizzare? In pensieri genuini e freschi, che devono guidarci e dare speranza, come la ginestra leopardiana sulle pendici riarse e desolate del Vesuvio? Insomma, è così difficile sperare in un intellettuale che pensa per tutti e non solo per se stesso? Il parallelo d’obbligo è con l’inizio del XX secolo: quando una parte della società legata ai manierismi della forma ottocentesca si stava dissolvendo come un quadro impressionista, senza peraltro accorgersene, a restituire vigore ed energia arrivarono le avanguardie, innescando una rivoluzione culturale e sociale della quale siamo pronipoti.  Qui più che intellettuali di avanguardia abbiamo a che fare con intellettuali che ‘l veder dinanzi era lor tolto. Così non c’è onestà intellettuale. Chi fa cultura dovrebbe smettere di dedicarsi al pensiero asservito e belligerante, arma da campagna elettorale. Più efficace, sarebbe, dare concretezza e forza a una Sardegna nuova: dove la cultura, il paesaggio, il territorio, l’accoglienza, sono motori primi, e alternativi, all’affanno dell’economia, alla fuga della ricchezza, alla latitanza dell’occupazione.  La sfida degli intellettuali è il dialogo franco, riappropriarsi della forza del pensiero. E rimettere la politica ai politici. Occorre dialogare, ché il problema è proprio non parlarsi più. La sfida da vincere in futuro che è già presente sta nel dare vita ad un laboratorio di idee, fermento di coscienze e menti, che riavvicini la società all’esercizio del confronto. Più semplicemente, anziché dichiarare una supremazia di pensiero, che non riconosce il gran lavoro fatto, proprio per la cultura, in una fase tanto difficile per la Sardegna, occorre partire dall’esistente, dal già fatto (tanto) e dall’incompiuto: dalla cultura che serve a fare cultura.L’elenco potrebbe esser davvero lungo, esercizio utile per gli uomini dalla memoria corta. Basta ricordare la riscoperta dei Giganti di Mont’e Prama; o il decisivo sostegno della Regione per garantire la presenza del film Bellas Mariposas al recente festival del cinema di Venezia. Una storia di periferia, periferia putrida e dolorosa, dove però le due protagoniste, adolescenti, Cate e Luna modificano la realtà grazie alla forza di volontà, alla magia, e ai loro sogni, nei quali credono incondizionatamente. La nostra realtà è invece quella degli intellettuali che cercano di condizionare il pensiero pur di cavarne uno pseudo-profitto. Un po’ come hanno fatto certe multinazionali con il nostro territorio. E con chi lo abita.