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Abbasso gli obblighi !!

Post n°67 pubblicato il 08 Maggio 2010 da anchemolo

In questi giorni di denunce pubbliche di "escamotage", di trucchetti per avere appartamenti vista Colosseo o Sanpietro o quello che più piace ( c'è chi, gli appartamenti li ha non solo in Italia ma anche all'estero !!), in questi giorni in cui la gente, il popolo, i "cittadini" dovrebbero insorgere ( civilmente e solo civilmente) contro i nostri tutti parlamentari e mandarli a casa sul serio, mi permetto di pubblicare uno stralcio del Giornale, dalle pagina della Cultura, che riguarda proprio il "carattere" degli italiani e mi ancoro alle parole di Monicelli, il regista, che, in chiusura del suo intervento ad una trasmissione di Santoro dedicata, naturalmente, ai nostri "ladruncoli" parlamentari, ha detto testualmente: "no, in Italia non c'è democrazia!!".

E, a proposito di COERENZA, Santoro è quello che ha acquistato una "casa" mi sembra a Pozzuoli o giù di lì, che necessitava di pratiche burocratiche per un condono o un permesso edilizio , condoni e permessi che altri cittadini aspettavano da anni e per i quali erano in coda all'Ufficio del Comune, ebbene il Signor Santoro li ha sorpassati tutti, NON SI SA COME, e, in men che non si fosse detto, ottenne tutti i permessinecessari. Capito? Con conoscenza e non so cosa altro sia lecito pensare, ha superato la trafila. Alla faccia del lecito! E viene a parlare del comportamento di Scaiola!! Farebbe bene a stare zitto, invece!

Ma veniamo a Giuseppe prezzolini e l'articolo del Giornale: Eccolo qui di seguito:

Libertà in Italia: fare i comodi propri

Nel 1979 Giuseppe Prezzolini tenne a Lugano, città dove viveva, una conferenza sull'identità italiana. Eccone il testo, pubblicato per la prima volta. Più che profetiche, quelle parole sono attualissime / Giordano Bruno Guerri

 

  Strum

Un inedito di Giuseppe Prezzolini

L’Italia non è romana: l’Italia è romana quanto la Francia, la Spagna, il Portogallo, la Romania; cioè a dire un Paese che ha derivato la sua forza da un’altra espressione, che è l’individuo, e questa nozione dell’individualismo italiano viene da uno dei grandi svizzeri, il Burckhardt, che ha scritto mi pare nel 1850 un grande libro sulla Rinascenza, in cui l’elemento fondamentale è l’individualismo degli italiani.
L’individualismo ha fatto sì che l’Italia non si è mai potuta costituire in nazione.

E si è costituita in nazione per influsso straniero.
Era un grande uomo questo Burckhardt: questo libro ancora oggi dice qualche cosa. Dopo oltre cento anni è un libro che dice qualche cosa: questo libro dice che gli italiani sono di natura indipendente, ognuno vuole fare per conto proprio, ognuno vuole essere separato dall’altro, ognuno vuole essere «capo», soprattutto (ilarità). Basta un piccolo gruppo ed egli (l’italiano, ndr) vuole essere il padrone, per dominare gli altri.

Non è vero che gli stranieri hanno portato la dominazione straniera in Italia: essa fu dovuta a Ludovico il Moro che chiamò i francesi: prima essa non esisteva.
Esisteva che cosa? Una separazione di comuni.
Quali sono le grandi creazioni politiche dell’Italia? La prima è il comune. Il comune è una cosa straordinaria: dal buio del Medioevo, dal buio della fine dell’impero romano, dalla confusione, dal disordine sorgono qua e là in Italia dei piccoli centri che si chiamano città. A un certo momento hanno il diritto di chiamarsi «città»: Modena, Parma, Piacenza, Lucca, Pisa, Firenze.
Ognuna cerca di avere dal potere di allora, dall’imperatore, dal Papa, il diritto di essere uno Stato. E questi Stati si fanno la guerra, per secoli, fino che uno non inghiotte l’altro, quando può.
La mia Siena fu conquistata da Firenze dopo trecento anni di lotte e, nell’ultimo stadio, i difensori di Siena andarono in fondo al territorio del comune, a Montalcino, e difesero ancora per cinque anni l’indipendenza della loro Siena che non esisteva più.

Chi ha evidenziato questa importanza della città nella storia italiana, non solo nella storia politica, ma nella storia morale del popolo italiano, fu una persona che è stata presso di voi vent’anni e, nonostante che fosse cittadino di Milano, ebbe anche delle cariche cittadine - perché allora la Svizzera permetteva a degli stranieri di avere delle cariche pubbliche -: Carlo Cattaneo, il quale partecipò alle vostre polemiche locali, com’era lui attaccabrighe, rivoluzionario e quindi anche con un grande ingegno, ma quasi sconosciuto in Italia.
L’Italia non ha mai accettato Cattaneo per la semplice ragione che Cattaneo era propagatore del concetto che il migliore Paese, la migliore amministrazione, il migliore sistema politico è quello della Confederazione, quello che aveva visto qui in Svizzera. Lo propose all’Italia, ma l’Italia gli prepose Mazzini, che voleva l’unità.
Perché? Perché per Mazzini la politica dipendeva da Dio, cioè da un concetto di unità universale.
Ciò che era vero per gli italiani, doveva essere vero per i giapponesi, per i lapponi, per gli argentini, per qualunque altro Paese.

Il concetto di un governo generale, uguale per tutti, è un concetto mazziniano: non è un concetto di Cattaneo.

Cattaneo è stato un apostolo, invano - ed anche un grande scrittore per conto mio - della amministrazione locale. Ed infatti, quando si parla con gli italiani (quando dico italiani, tutti siete italiani qua, parlando italiano intendo; questa è la «Svizzera italiana», non credo di dire un’enormità, vero? Siete italiani anche voi: non politicamente, ma almeno linguisticamente), questi italiani non si sono mai rassegnati a quello che gli è venuto dal di fuori.
Questo Risorgimento è stato un vestito straordinario, un vestito non comune, messo sopra delle persone che non lo potevano portare.

Oggi si vede che cosa è accaduto con il Risorgimento.
L’Italia attuale è una triste cosa... triste: per un italiano è una triste cosa, un triste momento, e speriamo che si sollevi da questo.
Ma questa tristezza viene anche dalle sue origini: false. L’italiano non ha mai sentito, come gli inglesi, il bisogno della libertà.
La libertà, nei comuni italiani, era semplicemente l’indipendenza dai comuni vicini. Quando i fiorentini si dichiararono «liberi», lo fecero perché non volevano che venisse il governo spagnolo a comandarli. Oppure, nel caso di Siena, i cittadini di Siena combattevano per la «loro» libertà.

La parola «libertà», in Italia, ha per significato «il comodo mio»: io faccio il comodo mio, voglio la mia libertà, non la libertà degli altri, non la libertà delle altre idee, non la libertà di polemica, non «la libertà»... Ho detto qualche cosa di male? (applausi).
Ora, gli italiani hanno vissuto di illusioni; in tutti i modi vivono di illusioni, intendiamoci bene, in tutti i modi. Anche il mio popolo americano vive di illusioni; ma questi italiani hanno vissuto con il mito di Roma. Gli è sempre parso di essere i discendenti dei romani.
Non sono i discendenti dei romani: tutta l’aristocrazia romana fu distrutta dai cosiddetti «barbari», dai goti, dai longobardi soprattutto, dai franchi più tardi.
Rimase il popolo minuto forse, in qualche posto, ma tutto, tutto fu cambiato: gli italiani non sono i figli dei romani; gli italiani sono figli del Medioevo.

Perché tanta meraviglia, l’altro giorno, quando un numero imprecisato di persone ammazzò otto persone? Tre, perché secondo loro li avevano traditi e cinque perché erano testimoni? Che meraviglia?
Voi non sapete che cos’era il brigantaggio! Io, da bambino, ho viaggiato con mio padre, che era un alto funzionario italiano. Per recarsi dalla città di Grosseto alla campagna aveva accanto due carabinieri a cavallo: uno da una parte e uno dall’altra della vettura perché, diceva «un prefetto non può essere sequestrato», cioè a dire che al tempo mio il sequestro esisteva talmente che in una città - non del Mezzogiorno - era possibile che un prefetto venisse sequestrato.

Vi meraviglia di quelle persone, ma voi sapete quanto è durata la guerra del brigantaggio in Italia? Perché chiamate «Brigate rosse» quelli che si dovrebbero invece chiamare «briganti rossi» (applausi).
I «briganti rossi» sono esistiti in Italia dal ’60 al ’70. La guerra interna italiana, dopo che Garibaldi conquistò a prezzo di poche vite il Regno di Napoli, durò dieci anni, dal 1860 almeno fino al ’70, e costò molto di più della cifra di morti di tutto il Risorgimento.

Perché queste sono le cifre che noi rivelammo, avute dal ministero della Guerra italiano, di morti di tutto il Risorgimento: dal principio alla fine furono seimila morti. Una cifra che oggi fa ridere, quando le nostre guerre portano sei milioni di morti, sessanta milioni di morti! Mentre i morti della guerra del brigantaggio furono diecimila! Per dire che gli italiani persero più uomini in una guerra interna.
Questa guerra, chiamata del brigantaggio, era una guerra sociale e politica. Fondata su delle ragioni sociali profonde e fondata sull’aiuto dei poteri che ancora esistevano in Italia liberi, cioè il potere papale, le ambasciate di Spagna, che davano denaro a questi briganti, i quali facevano quello che hanno fatto l’altro giorno i brigatisti rossi: ammazzavano, bruciavano le vittime, bruciavano villaggi.
Questa storia, la storia del brigantaggio in Italia, è conosciuta da poche persone: non c’è un libro generale che racconti questa tremenda storia.
L’Italia fu fatta con la forza. È una cosa delle più curiose della psiche umana. Pur di non avere la leva, il meridionale preferiva mettersi in campagna, andare con i briganti. Preferiva morire da brigante che fare il soldato.

E quando dico del soldato - sono stato soldato anch’io - dico che il soldato italiano non era affatto peggiore degli altri. Ma era male guidato, male istruito, mal rifornito, mal nutrito. Ha combattuto male perché l’Italia combatté contro l’Austria nella proporzione di tre uomini contro uno: combatté male, ma non era colpa sua.
Il popolo italiano ha una grande pazienza: lo vedete in questi giorni, che pazienza. Come un altro popolo non sarebbe insorto contro quello che accade in Italia oggi! Ma il popolo italiano ha molta pazienza, troppa pazienza, poi qualche volta scoppia, si irrita. Ha ragione, ha perfettamente ragione poiché non c’è, probabilmente, altro che la forza che lo possa levare da una data situazione.
Soltanto che lo fa per delle cause accidentali e personali. È possibile avere uno sciopero in una fabbrica perché quella fabbrica è stata toccata. Ma poi, quando si tratta di un’azione più larga, di un principio, allora la cosa non gli interessa.

Buona lettura, Signori!

8.5.2010

 

 

 
 
 

Titolo

Post n°66 pubblicato il 21 Marzo 2010 da anchemolo

A proposito dell'acqua:

DL 25 sett. 2009 n. 135
Altrimenti detto "Decreto Ronchi"  articolo 15

Art. 15.

Adeguamento alla disciplina comunitaria in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica

1. All'articolo 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1, terzo periodo, dopo le parole: «in materia di distribuzione del gas naturale», sono inserite le seguenti: «, le disposizioni del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, e della legge 23 agosto 2004, n. 239, in materia di distribuzione di energia elettrica, nonche' quelle del decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422, relativamente alla disciplina del trasporto ferroviario regionale.».

b) i commi 2, 3 e 4 sono sostituiti dai seguenti:

«2. Il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avviene, in via ordinaria:

a) a favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato che istituisce la Comunità europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalità;

b) a società a partecipazione mista pubblica e privata, a condizione che la selezione del socio avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a), le quali abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l'attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio e che al socio sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40 per cento.

3. In deroga alle modalità di affidamento ordinario di cui al comma 2, per situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato, l'affidamento può avvenire a favore di società a capitale interamente pubblico, partecipata dall'ente locale, che abbia i requisiti richiesti dall'ordinamento comunitario per la gestione cosiddetta "in house" e, comunque, nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria in materia di controllo analogo sulla società e di prevalenza dell'attività svolta dalla stessa con l'ente o gli enti pubblici che la controllano.

4. Nei casi di cui al comma 3, l'ente affidante deve dare adeguata pubblicità alla scelta, motivandola in base ad un'analisi del mercato e contestualmente trasmettere una relazione contenente gli esiti della predetta verifica all'Autorità garante della concorrenza e del mercato per l'espressione di un parere preventivo, da rendere entro sessanta giorni dalla ricezione della predetta relazione. Decorso il termine, il parere, se non reso, si intende espresso in senso favorevole.»;

c) dopo il comma 4, e' inserito il seguente: «4-bis. L'Autorità garante della concorrenza e del mercato, in forza dell'autonomia organizzativa e funzionale attribuita dalla legge 10 ottobre 1990, n. 287, e successive modificazioni, individua, con propria delibera, le soglie oltre le quali gli affidamenti di servizi pubblici locali assumono rilevanza ai fini dell'espressione del parere di cui al comma 4.»;

d) i commi 8 e 9 sono sostituiti dai seguenti:

«8. Il regime transitorio degli affidamenti non conformi a quanto stabilito ai commi 2 e 3 e' il seguente:

a) le gestioni in essere alla data del 22 agosto 2008 affidate conformemente ai principi comunitari in materia di cosiddetta "in house" cessano, improrogabilmente e senza necessità di deliberazione da parte dell'ente affidante, alla data del 31 dicembre 2011;

b) le gestioni affidate direttamente a società a partecipazione mista pubblica e privata, qualora la selezione del socio sia avvenuta mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a) del comma 2, le quali non abbiano avuto ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l'attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio, cessano, improrogabilmente e senza necessità di apposita deliberazione dell'ente affidante, alla data del 31 dicembre 2011;

c) le gestioni affidate direttamente a società a partecipazione mista pubblica e privata, qualora la selezione del socio sia avvenuta mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a) del comma 2, le quali abbiano avuto ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l'attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio, cessano alla scadenza prevista nel contratto di servizio;

d) gli affidamenti diretti assentiti alla data del 1° ottobre 2003 a società a partecipazione pubblica già quotate in borsa a tale data e a quelle da esse controllate ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile, cessano alla scadenza prevista nel contratto di servizio, a condizione che la partecipazione pubblica, si riduca anche progressivamente, attraverso procedure ad evidenza pubblica ovvero forme di collocamento privato presso investitori qualificati e operatori industriali, ad una quota non superiore al 30 per cento entro il 31 dicembre 2012; ove siffatta condizione non si verifichi, gli affidamenti cessano, improrogabilmente e senza necessità di apposita deliberazione dell'ente affidante, alla data del 31 dicembre 2012;

e) le gestioni affidate che non rientrano nei casi di cui alle lettere da a) a d) cessano comunque entro e non oltre la data del 31 dicembre 2010, senza necessità di apposita deliberazione dell'ente affidante.

9. Le società, le loro controllate, controllanti e controllate da una medesima controllante, anche non appartenenti a Stati membri dell'Unione europea, che, in Italia o all'estero, gestiscono di fatto o per disposizioni di legge, di atto amministrativo o per contratto servizi pubblici locali in virtù di affidamento diretto, di una procedura non ad evidenza pubblica ovvero ai sensi del comma 2, lettera b), nonche' i soggetti cui e' affidata la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali degli enti locali, qualora separata dall'attività di erogazione dei servizi, non possono acquisire la gestione di servizi ulteriori ovvero in ambiti territoriali diversi, ne' svolgere servizi o attività per altri enti pubblici o privati, ne' direttamente, ne' tramite loro controllanti o altre società che siano da essi controllate o partecipate, ne' partecipando a gare. Il divieto di cui al primo periodo opera per tutta la durata della gestione e non si applica alle società quotate in mercati regolamentati. I soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali possono comunque concorrere alla prima gara svolta per l'affidamento, mediante procedura competitiva ad evidenza pubblica, dello specifico servizio già a loro affidato.»;

e) al comma 10, primo periodo, le parole: «centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto» sono sostituite dalle seguenti: «il 31 dicembre 2009»;

f) al comma 10, alla lettera a) la parola: «diretti» e' sostituita dalle seguenti: «cosiddetti in house» e dopo le parole: «patto di stabilità interno» sono inserite le seguenti: «, tenendo conto delle scadenze fissate al comma 8,»;

g) al comma 10, la lettera e) e' soppressa.

2. All'articolo 9-bis, comma 6, del decreto-legge 28 aprile 2009, n. 39, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 giugno 2009, n. 77, il quarto periodo e' soppresso.

Questo è il testo del DL del Signor Ronchi, un altro fascistello tralignatore ( dimentico dei princìpi dei suoi "avi" ) ; se lo acchiappa Almirante lo prende a calci nel deretano!
Allora, per incapacità di gestire bene la istribuzione dell'acqua, viene proposto di passare ad altro sistema, sistema che, per altro, ha dato e sta dando nel mondo, frutti totalmente negativi a costi molto, molto più alti.
Argomentazioni più pertinenti e più ampie le si possono trovare su trasmissioni tipo Report e recentemente è stata trasmessa una puntata proprio sulla gestione dell'acqua in Francia e in Europa.

Al di là del risparmio mi preme asserire alcuni concetti base e base della democrazìa:

L'acqua è un elemento basilare insostituibile e indispensabile alla nostra esistenza.
Una quantitò minima di acqua per la sopravvivenza dovrebbe essere garantita a tutti e gratuitamente.
L'acqua deve essere garantita quanto gli Ospedali e le Scuole e pertanto deve assolutamente essere distribuita dallo Stato. LO STATO, per quei quattro deficienti che ancora non lo sapessero ( ma lo sanno) SIAMO NOI TUTTI !
Se vi sono difficoltà di applicazione di regolamenti o mancanza di ferrei controlli, lo Stato deve provvedere attraverso Uffici  seri fatti da persone serie.
Noi stiamo scivolando verso il baratro della confusione e della totale anarchia ( anarchia intesa come mancanza di governo, disordine, confusione generale ) e ne stiamo già pagando le conseguenze ma siamo così ipocriti da non volerlo riconoscere.
Saranno i nostri figli e i nostri nipoti a pagare anche per noi.

Se è il Consiglio d'Europa che spinge a questa decisione sulla gestione dell'acqua, bisogna avere il coraggio di dire all'Europa che a noi non interessa. Anche perché nessuno ha capito ancora, cosa facxcia concretamente questa Europa DIS -Unita !

Dunque la gente deve cominciare a pensare a questa situazione e firmare documenti di non approvazione, di diniego: raccolta di firme, altro che elezioni!
L'ultima vera arma che ci è rimasta -per la verità un pò spuntata- è la raccolta di firme per dire NO, l'acqua deve essere gestita e controllata dallo Stato.

Cominciate a darvi una svegliatina perché è ora scossa!.

Buona prima parte della domenica!                                                         21.03.2010

PS Avevano detto che avrebbero semplificato le Leggi: questa è confusionaria, per niente scorrevole, piena di  “riporti” e cioè di righe di sostituzione riferite ad altre leggi ( sicché sei costretto ad andare a prenderle per capire a cosa o a chi ci si riferisce ) e di cancellazioni di altri commi e di altri testi.
Cosa ne dite?!!!!

 
 
 

Per non scordarcelo

Post n°65 pubblicato il 15 Marzo 2010 da anchemolo

La grande bugia di Tonino sulla strage di via D’Amelio

di Gian Marco Chiocci

      

L’ex pm adesso dice di aver saputo prima dell’eccidio dell’allarme per lui e Borsellino Ma in aula ai giudici di Caltanissetta ha dichiarato il contrario. Qual è la verità?

 Le foto imbarazzanti con lo 007 Bruno Contrada e con agenti dei servizi segreti americani sono niente a confronto delle panzane confezionate intorno all’attentato che la mafia stava preparando per lui e per Paolo Borsellino. Perché delle due l’una: o Antonio Di Pietro non ha detto la verità durante la puntata di Annozero dell’8 ottobre 2009 oppure ha omesso di riferirla ai giudici del processo Borsellino Ter che gli hanno chiesto ripetutamente conto dei suoi rapporti col giudice ucciso in via D’Amelio. Le due versioni, infatti, non solo fanno a cazzotti ma alimentano ulteriori interrogativi rispetto a quelli già sollevati, a più riprese, dal Giornale. Del tipo: perché Tonino se ne esce in diretta tv con la storia che «prima» della strage del 19 luglio 1992 un’informativa del Ros riferiva di un progetto di attentato nei confronti suoi e di Borsellino, e che solo lui «prima» venne avvertito e allontanato in tempo dall’Italia mentre Borsellino fu lasciato a Palermo dove andò rapidamente incontro alla morte? Perché ha aspettato 17 anni per dirlo? Perché non pensò lui ad avvertire il magistrato palermitano, posto che a quel tempo i rapporti fra i due, per ammissione dello stesso Tonino, erano frequenti? E perché agli inquirenti e ai giudici dei tanti processi sulle stragi l’ex pm di Mani pulite non ha mai sentito il bisogno di approfondire i motivi che spinsero lo Stato a spedirlo di corsa in Costarica con un passaporto falso mentre a Borsellino l’sos lo spedirono per posta recapitandoglielo quand’era passato ad altra vita?
LA RIVELAZIONE IN TV
Solo oggi, recuperando l’interrogatorio (inedito) reso da Antonio Di Pietro il 21 aprile 1999 a Caltanissetta, la grande bugia vede la luce. Partiamo però dalla fine, da quel che Tonino ha rivelato a Michele Santoro. Dice Di Pietro: «Una cosa che nessuno sa. Io ricevetti, a suo tempo, una nota del Ros in cui si diceva che il terzo ero io. Io fui mandato fuori dall’Italia con un nome diverso da quello mio e con un passaporto di copertura perché mi volevano far fuori. Vi dico anche come mi chiamavo (ride). Nessuno vuole sapere come mi chiamavo?». E pochi secondi dopo: «C’era una (nota, ndr) riservata del Ros che arrivò a me due giorni prima (…). Ricordo che la riservata del Ros diceva che Borsellino e Di Pietro devono essere fatti fuori, io vengo avvertito tant’è che successivamente a me viene dato un passaporto di copertura, ora lo rivelo, a nome Marco Canale e io e mia moglie ce ne andiamo in Costarica (…)». Il botto finale è dietro l’angolo: «Borsellino doveva sapere prima quel che stava succedendo perché c’era un’informativa del Ros che aveva avvertito quello che stava per succedere a me e a lui. Io sono stato avvertito in tempo lui evidentemente no, oppure non sono andati a vedere sotto casa della madre» in via D’Amelio.
Questo il Di Pietro del 2009 che aveva saputo dell’allarme attentato «prima» della bomba al giudice. Questo che segue, invece, è il botta e risposta del 21 aprile 1999, durante l’udienza del processo Borsellino Ter a Caltanissetta, fra l’avvocato Sorrentino e Di Pietro che seppe dell’allarme attentato «dopo» la bomba in via d’Amelio.
SMENTITA SOTTO GIURAMENTO

Avvocato: «Lei riceve o conosce un’informativa dei Ros concernente un presunto e poi purtroppo invece verificatosi, almeno in un caso, attentato nei confronti suoi e di Borsellino e riceve questa informativa, così lei ha detto, l’indomani della strage di via D’Amelio». Di Pietro: «Io l’ho saputo credo il giorno dopo, sì». Avv. «Ma datata precedentemente». ADP: «Che era sicuramente arrivata prima. Sono io che l’ho saputo un paio di giorni dopo. Sicuramente l’informativa l’avevano fatta prima, insomma» (…). Avv: «Ma vi poneste la domanda come mai Borsellino credo che la riceveva, o chi per lui, non so, Borsellino la riceve, è inviata a Palermo prima temporalmente e poi successivamente a lei, perché?». ADP: «(…) Io personalmente ho conosciuto dell’esistenza di questa (informativa, ndr) un paio di giorni dopo, come adesso mi capita di leggere la (posta) ecco, però non so quando è arrivata. Io personalmente… ho letto quel fatto dopo che già era morto Borsellino. Ecco, io l’ho letto dopo che era morto Borsellino. Questo è il concetto di fondo. Mi ricordo che ero rimasto disturbato, perché, insomma, fa impressione vedere... leggere quello dopo... ». Anche un altro avvocato, Mimma Tamburello, parte civile per gli agenti di scorta a Borsellino uccisi in via d’Amelio, insiste sul punto. Avv: «Ma vi siete mai chiesti allora coma mai lei l’ha ricevuta un giorno dopo? Si è chiesto se l’aveva ricevuta il dottore Borsellino?». ADP: «No, non è che mi sono chiesto, no. Ormai era già successo, a chi lo domandavo? Ripeto… ripeto… non vorrei… non so se l’ho ricevuta… io ho avuto modo di apprendere il giorno dopo, però magari stava in ufficio e non so, è arrivata in procura e non è arrivata a me. Io mi ricordo che ho avuto modo di leggerla il giorno dopo. No il giorno dopo, un giorno o due giorni dopo, insomma, adesso… subito dopo». Avv: «E non sa se Borsellino l’avesse ricevuta». ADP: «No, non lo so».
IL VIAGGIO IN COSTARICA
Obbligato, per legge, a dire la verità, in aula il «testimone» Antonio Di Pietro in oltre dieci occasioni ribadisce d’aver saputo dopo, e non prima dell’attentato in via d’Amelio, del progetto stragista di Cosa nostra. Di Pietro non fa alcun riferimento nemmeno al viaggio in Costarica, nulla sul passaporto falso. Nel 2010, come visto, rivela l’esatto contrario. Perché? E perché, sempre sotto giuramento, afferma (pagina 95 della trascrizione) che «nello stesso periodo in cui io dialogavo con Borsellino» sul tema degli appalti e delle infiltrazioni mafiose «Borsellino dialogava con Fabio Salamone», futuro pm di Brescia che poi indagherà proprio su Tonino, e fratello di quel Filippo Salamone, imprenditore considerato vicino alle cosche, condannato per 416 bis, di cui a Di Pietro riferì in tempi non sospetti il pentito geometra Giuseppe Li Pera. «A me lo ha riferito Elio Veltri - ha proseguito Tonino - che a sua volta glielo avrebbe riferito la moglie di Borsellino. Allorché cominciai ad occuparmi di comprendere cosa era successo, perché una serie di ragioni che mi stavano accadendo… cercai di capire che collegamenti potessero esserci… che ci azzeccava con Mani pulite, Filippo Salamone ma che per me, quando lo individuai, lo sottovalutai al punto che quando me ne parlò Li Pera lo lasciai così, di residuo… ».

L’ASSE BORSELLINO-SALAMONE
Incalzato dall’avvocato Sorrentino in riferimento alla rivelazione sui rapporti Borsellino-Salamone, Di Pietro balbetta. Aggiusta. Precisa: «Io ho detto... ho detto... che successivamente ho appreso, tra le tante cose, ritengo dall’onorevole Veltri, ma non ricordo, che pochi giorni prima della morte di Borsellino fu Fabio Salamone che si recò da Borsellino. Ma magari sono andati a prendere un caffè, quindi… sennò… poi passiamo alla fase delle (illazioni)... poi... non possiamo permettercelo». Veltri, contattato dal Giornale, smentisce tutto: «Mai detto niente del genere ad Antonio, mai. Una balla colossale. Mai avrei potuto frequentare la famiglia Borsellino, come ho invece fatto per anni, sapendo che Paolo aveva rapporti con Fabio Salamone, con il quale ho avuto scambi d’accuse violentissime ai tempi del caso Di Pietro a Brescia. Non capisco come Di Pietro possa aver detto una cosa del genere in udienza». Così com’è incomprensibile l’aver riferito, sempre in aula, di non aver mai avuto a che fare con Vito Ciancimino fra il ’92 e il ’93, posto che proprio nel ’93 - secondo quanto riferito dal capitano Giuseppe De Donno in risposta alle amnesie di Tonino nel mezzo delle polemiche sulla cosiddette «trattativa» - insieme interrogarono nel carcere di Rebibbia l’ex sindaco mafioso di Palermo.
I DUE POOL A CASA BORRELLI
L’interrogatorio di Di Pietro andrebbe pubblicato a puntate. Perché ricco di spunti interessanti, come la decisione di vedersi coi colleghi palermitani non in procura ma a cena, a casa di Borrelli, per concordare una strategia comune sul fronte delle inchieste sugli appalti. «Facemmo una cena a casa di Borrelli, credo nella primavera del ’93, partecipò il pool di Mani pulite e il costituendo pool di Palermo. C’erano Caselli, Scarpinato, Ingroia. Ci incontrammo lì per stare più tranquilli, per non far(ci) vedere al palazzo di giustizia. Adesso se ne può parlare perché è storia passata. Qual era lo scopo? Vedere come poter organizzare il lavoro insieme».

 

 
 
 

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Post n°64 pubblicato il 13 Marzo 2010 da anchemolo

13 marzo 2010

 

Non ricordo di averlo scritto ma, se fosse, non fa male rivisitare un pensiero: tempo fa ho sentito un corrispondente della tivùdiStato, quella che si fa chiamare nientepopodimeno che "servizio pubblico",  che diceva testualmente, a proposito della Germania e della nostra felicità quando qualcosa va male in quella nazione, "qui siamo trent'anni avanti". Non so se sono prolisso o rompiscatole ma voglio dire che noi siamo davvero trent'anni indietro rispetto all'evoluzione dell'Europa e, per carità, che non mi si venga a tirar fuori che la colpa è della Chiesa perché non esiste ipocrisia più stomachevole. Forse, anzi molto si, un tempo è stato così ma non dal 1970 in poi, quando ci fu una sorta di separazione che, se non fu proprio netta, diede luogo a nuove generazioni con idee diverse. Prendete queste affermazioni con beneficio di inventario ( e infatti ci vado molto piano con abbondanza di forse e parvenze di incertezza ma il discorso è delicato e lunghetto).

 

Dunque oggi dovremmo essere molto obiettivi con la Chiesa e quindi non ci sono scuse: noi siamo bravissimi in tanti settori, dall'agricoltura ( che è la nostra origine) fino all'ingegneria, pieni di inventiva, di grande capacità ma molto scoordinati, niente affatto propensi a collaborare per la barca Italia. Disposti più a beccarci come i capponi di Renzo, di manzoniana memoria, che non a lottare insieme per un futuro migliore.

E infatti il risultato di tutto questo è che andiamo malissimo, altro che paragoni con nazioni europee nei quali primeggiamo sempre! Questa mania di grandezza è davvero fuori luogo! In questi giorni abbiamo assistito a farse le più ridicole, grottesche, provenienti da ogni pulpito; abbiamo visto e vediamo manifesti con personaggi nuovi e vecchi. Alcuni in maniche di camicia, altri con la giacca sulle spalle, altri ancora intenti a scrivere, sorridenti sempre e pronti a mettere il culo sulla poltrona dello Stato!  Bel colpo!

 

Intanto noi abbiamo edifici scolastici per il 70 per cento da ristrutturare, insicuri (basta che ci sia il placet di qualche cretino compiacente per infondere tranquillità agli ignari concittadini! Vedere report e tantissimi altri), ospedali ridicoli, strade sporche piene di buche, allagamenti, sia perché costruiscono abusivamente dove non devono, sia perché i fossi non li pulisce più nessuno ( i contadini hanno ormai abbandonato quasi del tutto le campagne! ). Insomma niente può farci pensare che tutto vada bene e che siamo un’oasi felice.  Eppure, in tutto questo caos, in queste situazioni disastrose, si va avanti come nulla fosse, senza pensare minimamente ai nostri figli, a chi verrà dopo noi. Ma come ci si può chiamare civili con una testa simile?!!

 

E per le strade, queste strade insicure vedi polizia, vigili urbani intenti a “controllare” la velocità delle auto e a colpire chi va forte dove non deve ( a scoppio ritardato con grave pericolo per altri utenti) e chi supera, anche di poco, i limiti che si trovano per strada, magari posti in maniera sbagliatissima, uno alto, uno basso, uno storto, uno rotto, così, per far cassa, non per correggere ma nessuno di questi vede o segnala anche con insistenza, difetti stradali.

Non è così? Si, è così! Bene, avanti tutta, allora.

E veniamo al povero Epifani. Questo signore, diventato anacronistico e cioè fuori dai tempi, superato dal  genere di vita odierno, pur di mantenere la poltrona perché senza non saprebbe come vivere, ha inventato uno sciopero, tra l’altro primo caso nella storia, precedente di pochi giorni le elezioni, adducendo come motivazione che il governo deve abbassare le tasse perché lavoratori a reddito fisso e pensionati non ce la fanno ad andare avanti.

( stipendiati e pensionati sono due categorie con entrate mensili sicure da cui attingere fondi per il sindacato e non dimentichiamo che un sindacalista del suo livello dovrebbe guadagnare certamente più di Bonanni che mi pare abbia dichiarato a Report quattromila euri al mese - diconsi quattromila per la bellezza di 13 ( 14?) mensilità-).

Ma perché, gli autonomi, le casalinghe e chiunque attinga solo dalle proprie forze non sono esseri umani? Come mai porre in evidenza solo chi ha un reddito fisso? Perché si pensa che solo loro, avendo la busta paga o il certificato di pensione, siano i “puliti” del sistema?.

 

Per piacere, basta con questa solfa; è musica vecchia! Io ho fatto l’impiegato e ho lavorato come piccolo imprenditore e so bene come funzionano le cose.

Divide et impera era il motto latino! Non facciamoci prendere per i fondelli!!

Ma non vedete che tutti mirano alla poltrona? TUTTI. Guardate, ad esempio, il Prefetto.

La sua figura è quella di rappresentante del Governo in una provincia. Ora, il Prefetto passa ad un partito politico. Ma vi sembra giusto, corretto, rispettoso che un servitore dello Stato si allinei con un partito politico? Come dite? Dopo la scadenza del mandato? Come dite? Ognuno è libero di manifestare le proprie idee? Certo ma ditemi un po’, se quel partito non è il vostro come la mettete? Con quale bilancia ha pesato l’equilibrio democratico del suo lavoro, delle persone?

 

Ragazzi, ma siamo matti per davvero? Ma scherziamo? Un servitore dello Stato è e deve essere persona irreprensibile: corretto, incensurabile, credibile, onesto, che segue i principi della moralità e la morale è, tra l’altro, una logica conforme ai principi di ciò che è buono e giusto. Come d’altro canto, chi è impegnato come sindaco deve fare solo il sindaco, chi ministro solo il ministro e così via e questo per garantire comportamento in linea col mandato, serietà, applicazione concentrata, UNO stipendio possibilmente vicino a quello di persone normali ( mentre i nostri eroi parlamentari hanno da poco votato per equiparare il loro stipendio a quello dei magistrati e io non capisco il perché ). Invece abbiamo un branco di ladroni che siedono su scranni dorati e quando smontano salgono sul carro altrettanto, se non di più,dorato, della pensione. E io pago, diceva il buon Totò! E chi va in un senso NON TORNA indietro.

Il magistrato che si butta in politica, scaduto il mandato NON TORNA magistrato; se vuole, può andare a raccogliere margherite. Non vi pare? Direi proprio di si!

 

Ecco dove casca l’asino, anzi, dove cascano GLI asini: nella regolamentazione del nostro sistema protodemocratico, molto proto e niente affatto democratico, noi, quelli più, non abbiamo pensato a queste situazioni incresciose e soprattutto negative per la vera democrazia. Ed ecco che abbiamo ministri con tre, quattro e anche cinque incarichi, 3,4,5 stipendi, molto tempo perso, risultato poco incoraggiante cioè rendita zero.

Ed ecco perché, al di là di quattro imbecilli che non sono riusciti a presentare i candidati nel tempo a disposizione , non esiste un regolamento a difesa e tutela dell’elettore che, comunque, innocente, rischia di essere estromesso dal diritto di voto. Questa è la nostra grande millantante democrazia. Che schifo!

 

Noi siamo un cesso, un cesso che però non piace a tutti. A me non piace e voglio cambiare le cose perché cambiare si può. Cambiare vuol dire deporre il vecchio e mettere in moto il nuovo.

 

In quanti siamo?

 
 
 

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Post n°63 pubblicato il 07 Marzo 2010 da anchemolo

Domenica 7 marzo 2010.

Domani sarà la "festa" della donna.

Pochi sanno che, invece, domani si celebra la morte di tante donne rimaste intrappolate, in fuga da un incendio, alle porte di uscita che si aprivano verso l'interno di una fabbrica, in America. (oggi, dopo tantissimi anni, abbiamo capito di rivolgere le ante all'esterno! Che intelligenti, eh? ). Io, fossi donna ( magarii!!), mi offenderei a festeggiare non si sa che

Stamattina alla "televiscion" ci hanno fatto vedere e sentire i candidati alle prossime elezioni. Ma non c'è il silenzio stampa e altro che riguardi la propaganda? Boh!


Ognuno decida ciò che vuol fare: se pensiamo di essere "rappresentati", andiamo a dare la preferenza a chi dovrà rappresentarci . SE INVECE qualcuno pensa che in questa società, con questo sistema non è rappresentato, se il tempo sarà buono, che vada a farsi due passi in collina, in montagna, in pianura o al mare. Se pioverà, niente di meglio di un buon libro.

Mi raccomando, però, sempre zitti!

 
 
 
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