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Ancora non capisco perché sia obbligatorio dare un titolo. Ma non siamo liberi?


Come di consueto, anche se esiste un libro recente di Filippo Facci sul "signore di Montenero di Bisaccia", per non dimenticare, mi permetto annoiare i lettori con qualche sano copia-incolla dal Giornale. Sia chiaro che non condivido incondizionatamente sempre gli scritti del Giornale e quindi non mi ritengo "di parte" ma il Giornale è uno dei pochi che va contro corrente. Secondo me!di Paolo Bracalini L’ultimo mistero di Di Pietro è un assegno  da 50 mila dollari.Intestato all’ Idv, fu firmato (postdatato) da un falso ingegnere a Miami, durante un viaggio di Tonino negli Usa. Ma lui nega e minaccia querela.Soldi pubblici, scoperto il bluff di ToninoUn assegno post-datato, firmato da un falso ingegnere che vive a Miami e intestato a «Italia dei Valori». Un viaggio negli Usa dimenticato da Di Pietro ma testimoniato dalle foto, una candidatura dai contorni misteriosi, gli incontri in cerca di finanziatori del partito appena nato, l’inevitabile dissidio con l’ex amico. E l’inevitabile minaccia di querela, stavolta al Corriere. Ecco l’ultima evoluzione della spy story di James Tonino Bond (copyright Di Pietro), con un altro viaggio in America, nell’ottobre 2000, tra Washington e la Florida, con l’ex amico e cofondatore dell’Idv, ora arcinemico, Mario Di Domenico. Ricordi però molto annebbiati dopo 10 anni. «Io in America con Di Domenico? Lo escluderei. Credo proprio di no» ha spiegato il leader Idv al Corriere solo due giorni fa. Invece, colpo di scena, la foto c’è, con i due «amici» seduti insieme, sorridenti, su un divano del «Ponte Vedra Beach Resort» di Miami, nell’autunno del 2000. Ma che ci facevano lì? La domanda conduce ad un assegno di 50mila dollari e ad un personaggio sfuggente, Gino A.G. Bianchini, sedicente ingegnere che - stando alla ricostruzione fatta da di Di Domenico - un bel giorno si sarebbe fatto vivo con una mail indirizzata alla sede Idv di Busto Arsizio (a quel tempo il quartier generale del partito), con un intrigante «oggetto»: la «Sanctuaryrome». Bianchini in altre parole lascia intendere (o millanta) di avere relazioni di alto livello, entrature in Vaticano, amicizie con imprenditori Usa sostenitori di Clinton... Un mitomane? Un amico disinteressato del nuovo partito dell’ex pm? No, secondo Di Domenico, solo una mossa per essere candidato al Senato.Nei ricordi dell’accusatore di Tonino c’è chiara una data: il 28 ottobre 2000. Quel giorno, lui, il leader Idv, la tesoriera Silvana Mura e altri due personaggi, un avvocato e un imprenditore americani, si imbarcano sull’aereo con destinazione gli Usa. Prima la capitale, poi l’East coast fino a Miami, «alla ricerca di dollari» scrive il Corriere citando l’autore del libello anti-Tonino. I soldi arrivano sotto forma di un assegno postdatato di 50mila dollari della Chase Manhattan Bank con scadenza 13 maggio 2001, la data delle successive elezioni politiche (sull’assegno, come causale sotto la cifra, si legge “elections”), consegnato da Bianchini a Di Domenico. Secondo Di Domenico, custode per tutti questi anni di quell’assegno, la somma (post-datata) sarebbe servita «come anticipo della ben più cospicua somma, si parlava addirittura di somme dieci volte superiori», da versare dopo l’elezione. Ma qui il mistero diventa ancora più complicato.La candidatura di Bianchini è un fatto certo, come la sua mancata elezione. Ma il finanziamento vincolato all’elezione? La risposta del sedicente ingegnere-finanziatore starebbe in una lettera pubblicata da Libero e datata 14 maggio 2001, il giorno dopo le elezioni, in cui Bianchini scrive che «è ormai penosamente chiaro che non sono stato eletto, quindi strappa il mio assegno che annullo. Nel caso di un miracolo, ve lo sostituisco con altro ben maggiore». Il destinatario della lettera però è Di Domenico, non Di Pietro, e in tutta la transazione il leader Idv sembra essere un convitato di pietra. «Non appena si parlava di quattrini (durante il viaggio negli Usa da Bianchini, ndr) Di Pietro si alzava e si allontanava con un pretesto qualsiasi. Mi lasciava da solo ad affrontare scabrosi discorsi», sostiene oggi De Domenico.  Di Pietro come risposta non spiega chi fosse Bianchini e che rapporti avesse con l’Idv, non smentisce quel viaggio negli Usa «a caccia di finanziamenti», ma annuncia querela, attacca il Corriere («spero di poter stringere la mano a De Bortoli il prima possibile...) e promette un’indagine personale su «chi c’è dietro sto altarino»: «Questa storia dovrà finire con un provvedimento giudiziario», minaccia. Tonino esclude «di aver mai visto, ricevuto, nè tanto meno incassato, nè personalmente nè per conto dell’Idv, l’assegno a firma Bianchini che da ben nove anni era nelle mani di Mario Di Domenico senza che lo stesso ne avesse titolo». «Da una parte - prosegue Di Pietro - si è caduti molto in basso, dall’altra si è fatto in modo dozzinale. Che ruolo avevano Borrelli, Davigo, Ghitti, polizia e carabinieri, erano complici o vittime? Se tutta Mani pulite è stata un’invenzione, tutta questa operazione doveva servire a salvare gli americani per fare entrare i comunisti?». L’assegno però c’è, come le foto di Di Pietro con Bianchini e Di Domenico, su un jet privato in volo negli Usa. Soltanto un complotto di chi vuole delegittimare Mani pulite?  L’ASSEGNO CHE METTE NEI GUAI DI PIETRO Solo pochi mesi fa sembrava destinato a essere l'ago della bilancia della politica italiana. Oggi è in trincea, ferito dalle mezze verità che stanno emergendo dopo 18 anni di ambiguità, silenzi, cose e fatti mai chiariti in modo convincente e definitivo. Parliamo di Antonio Di Pietro, leader dell'Italia dei valori, la stampella della sinistra che dopo il crollo dei partiti comunisti italiani ha fatto da collettore al popolo sbandato rimasto orfano di bandiere rosse, verdi e arcobaleno da sventolare dentro il Parlamento e nei salotti televisivi, quel partito dell'odio che ha come obiettivo abbattere a qualsiasi costo Silvio Berlusconi.Nell'ipotesi a lui più favorevole, Di Pietro è vittima di quel metodo da lui inventato e che strada facendo ha messo a punto con compagni di viaggio capaci di usare la lingua italiana e i mezzi di comunicazione. In primis Marco Travaglio e Michele Santoro. In base a questa ricetta la lotta politica va condotta seminando sapientemente veleni e dubbi in modo che la parola del pentito di mafia diventi verità giudiziaria, una assoluzione per prescrizione una condanna, la fotografia di una festa un corpo del reato, una querela un attentato alla libertà di stampa, un silenzio una condanna. Eccetera.Così ha fatto carriera politica Antonio Di Pietro. E adesso che foto, verbali e documenti che lo riguardano, e gettano su di lui una luce sinistra, escono dai cassetti di rivali anonimi e amici traditi lui urla al complotto. I cattivi sono i giornali e le Tv, tranne la Repubblica e Annozero che tacciono e quando parlano, poco, lo fanno per difendere l'amico. I campioni della libertà di stampa non affondano, non cercano di capire se, come pare in modo sempre più evidente, Mani pulite fu inquinata dai servizi segreti italiani e stranieri, se il fiume di denaro finito nelle casse dell'Italia dei valori, come sostengono alcuni cofondatori, ha preso strade misteriose. Non si chiedono rogatorie per accertare voci su conti all'estero. E non indagano su un assegno da 50mila dollari consegnato all'Idv da uno strano personaggio durante un viaggio in America che Di Pietro ha negato di aver mai fatto e che invece alcune fotografie (pubblicate ieri dal Corriere della Sera) dimostrano essere avvenuto.Forse adesso è chiaro perché Di Pietro è contrario all'immunità parlamentare: lui ce l'ha già, per diritto divino e non solo. È intoccabile. Da qualche giorno però lo è un po' meno perché ciò che sta emergendo sembra essere qualche cosa di più di veleni e pettegolezzi. Che la questione sia seria lo hanno capito anche i suoi. Ieri si è aperto il primo congresso del partito. Dicono che il suo braccio destro, l'ex magistrato De Magistris, si stia preparando ad azzannarlo e a prenderne il posto. È possibile, anche se scommetto nel colpo di scena perché quando tira brutta aria lui, Di Pietro, di solito scappa prima di rimanere bruciato.    durante Mani pulite «teneva d’occhio» l’ex pmdi Redazione Anche l’ex superpoliziotto oggi seduto in Parlamento nelle fila del Partito democratico ha un ruolo da protagonista nella spy story di Tonino. Parola del Fatto Quotidiano di Padellaro & Travaglio, e precisamente della firma di cronaca giudiziaria Gianni Barbacetto. Ebbene, nella ricostruzione-assoluzione pubblicata ieri (dal titolo eloquente: «Di Pietro e Contrada? Era lo 007 a spiare il pm») emerge lo scenario di un pool di Mani Pulite costantemente «sotto la lente dei servizi segreti», tutti schierati «per colpire Di Pietro e i suoi colleghi del pool». E in questa fitta trama di spiate controlli ai danni del Tonino allora eroe nazionale, spunta nientemeno che Achille Serra, all’epoca questore di Milano e oggi senatore del Pd. Lo stesso Serra che appena quattro giorni fa ha bollato come un «finto scoop» la foto di Di Pietro a cena con Contrada. Lo stesso Serra che ha quindi aggiunto: «L’esistenza di rapporti equivoci tra l’allora magistrato Di Pietro e la Cia? È un’ipotesi che suscita solo ilarità e non merita alcun commento». Chissà se ha suscitato ilarità in Serra anche la ricostruzione del Fatto, e in particolare la citata relazione del Comitato di controllo dei servizi di sicurezza, del 6 marzo 1996: «Il questore Achille Serra teneva contatti periodici con Di Pietro per disposizione di Vincenzo Parisi, allo scopo di informare il capo della polizia sulle implicazioni che le vicende giudiziarie milanesi potevano avere sull’ordine pubblico, sulle istituzioni, sulla stabilità delle grandi imprese coinvolte nelle inchieste». E ancora, continua il documento: «La disposizione impartita a Serra dimostra che vi era una preoccupazione politica circa i rischi di destabilizzazione. Questa preoccupazione politica è stata incoraggiata dall’autorità di governo e risulta, come vedremo, fortemente avvertita dal presidente del Consiglio Giuliano Amato». Insomma, un’attività informativa articolata che Barbacetto bolla come «assolutamente “illegittima” ed estranea ai compiti istituzionali degli organi di polizia e di intelligence», un dossieraggio illegale ispirato nientemeno che da Bettino Craxi in persona. Ingranaggio di questo complesso meccanismo, fonte di informazioni e analisi preziose e rigorosamente «off the records», proprio l’allora questore di Milano che dopo un passaggio nelle fila di Forza Italia è stato uno dei fiori all’occhiello della campagna veltroniana alle ultime Politiche.   Se avete da dire qualcosa, io sono qua.Saluti