Brevi dall'Africa

Un giorno in questura


Avevo inserito questo scritto nel blog di un'amica ma adesso mi è venuta voglia di averlo anche nel mio. Si, perchè racconta un episodio per me importante e legato a mio figlio, quello di colore. Le norme per l’adozione prevedono che all’arrivo in Italia il figlio venga considerato in affido preadottivo fino alla sentenza definitiva di adozione. Per tutto questo periodo (che nel mio caso è durato più di un anno) il bambino è a tutti gli effetti extracomunitario, con tanto di permesso di soggiorno da rinnovare ogni anno.Il primo rilascio è stato semplice perché è prevista una strada privilegiata per genitori adottivi. Il rinnovo invece mi ha offerto il “privilegio” di provare sulla mia pelle il trattamento al quale sono soggetti ogni giorno migliaia di uomini, donne e bambini stranieri. Quel giorno, dopo avere consegnato all’ingresso della questura il permesso di soggiorno in scadenza, mi “accomodo” in un  cortile in attesa di essere chiamato. Passa quasi un’ ora. Mi viene il dubbio che, essendo il mio un caso particolare, forse non dovevo fare la fila con gli altri, forse c'era un'altra fila per i permessi per adozione. Cerco qualcuno che mi possa aiutare, macchè!  Nessuno sportello informazioni. Un’impiegata gentilissima, unica nota positiva della mattinata, mi indirizza al piano superiore.  Salgo e mi ritrovo in una stanza in compagnia di una ventina di persone, tutte in attesa davanti ad una porta con su scritto in dieci lingue: VIETATO L’INGRESSO.Qui però di impiegati gentili neanche l’ombra.Sto per rinunciare quando vedo uscire dalla porta proibita una signora, provo ad avvicinarla rispettosamente dicendo “Buongiorno, mi scusi, …..” Vengo investito dalle alte urla della “signora”, che, dandomi del tu, mi grida:”Sto lavorando, non ho tempo da perdere, togliti dai piedi e aspetta il tuo turno in fila” Avrei voluto dirle “Ma in quale fila, è proprio questo che vorrei sapere”, ma la “signora” scappa via da una porticina e scende giù. Riesco soltanto a urlarle sporgendomi dalla tromba delle scale “Signora, visto che non ci conosciamo, diamoci pure del lei!!”. Assisto a decine di scene simili a danno di altri stranieri.Vedo cose che stringono il cuore.Un signore  rimproverato e umiliato come un bambino davanti alla moglie e alle sue tre figlie da un impiegato che gli urla contro per non so quale gravissima mancanza. Un altro signore nigeriano che chiede disperato cosa deve fare col pezzo di carta che gli hanno dato. L’addetto allo sportello risponde “deve compilare il modulo”, il nigeriano lo guarda mostrando di non aver capito nulla, allora l’impiegato ripete la frase in “nigeriano”….”DE VI COM PI LA RE IL MO DU LO!!!”“Alè! Ora si che ha capito!!!” esclamo avvicinandomi per aiutare il malcapitato.Decido di rinunciare ad eventuali privilegi legati alla mia condizione di genitore adottivo, mi sento serbo, albanese, africano; torno giù in cortile, con tutti gli altri, sperando che, prima o poi, qualcuno mi chiami. Segue un’attesa che non so quantificare, durante la quale fraternizzo con i miei compagni di sventura. C’è pure una scenetta gustosa: un giovane simpatico si avvicina dicendomi: “io sono albanese, e tu?” “io siciliano”, e dopo qualche istante di perplessità, risponde quasi indignato: “ma…anche voi avete bisogno del  permesso di soggiorno, adesso???”  Finalmente  un signore chiama me con altri 5 o 6 colleghi migranti, e ci “invita” con un grugnito ad aspettarlo allo sportello x . Adesso, l’impiegato, che ha in mano il permesso di soggiorno di mio figlio, lo sa che io sono italiano, genitore adottivo, e cambia tono diventando gentile, quasi ossequioso. Ma solo con me, i miei compagni stranieri continua a trattarli male, urlandogli di togliersi dalle scatole, di mettersi in fila e di allontanarsi dallo sportello.  Conclusione.Per carità, lavoro anch’io in un ufficio pubblico e capisco benissimo lo stress di chi tutti i giorni si trova alle prese con persone che non parlano la nostra lingua, so anche che non è colpa di nessuno se alcuni impiegati non hanno ricevuto una adeguata educazione da piccoli, o se non sono dotati di umanità e comprensione. Ma l’idea che ogni giorno centinaia di esseri umani vengano trattati come animali, che venga calpestata la loro dignità di uomini, che padri di famiglia vengano insultati davanti ai propri figli, è davvero insopportabile! E’ così difficile ad esempio istituire uno sportello di prima informazione, con su un bel cartello con scritto: “INFORMAZIONI”, in tante lingue, almeno in tutte quelle in cui era scritto VIETATO L’INGRESSO, davanti alla porta proibita. Non risolverebbe del tutto il problema, ma sicuramente servirebbe a rendere meno caotica l’attesa. Ecco, quella stanza, quel cortile, quell’ostilità diffusa che mi circondava, lo smarrimento ed il senso di impotenza che si leggeva negli occhi di tutta quella gente in attesa, qualcuno con neonati in braccio, senza un punto di riferimento, addirittura senza la certezza che l’attesa sarebbe servita a qualcosa, tutto questo credo che non lo dimenticherò mai, e mi torna in mente ogni volta che vedo un immigrato in altri contesti. Perché io, uscito da lì, son tornato ad essere italiano; loro le mancanze di rispetto e gli attentati alla propria dignità li devono fronteggiare anche nella vita di tutti i giorni, anche fuori dalla questura restano stranieri, stranieri per sempre