AMORE UNIVERSALE

Per la sinistra soltanto scenari sinistri


Ecco il segretario di Rifondazione Comunista Franco Giordano alle prese con il dubbio amletico che sembra tornare implacabilmente a tormentare la sinistra del Centrosinistra. Ecco, dopo la Finanziaria, altri bocconi amari. Ecco il welfare e fra poco il pacchetto sicurezza. E poi chissà cosa. Sembrano passati anni luce da quell'autunno dell'anno scorso con i manifesti del partito di Bertinotti che festeggiava al grido di "anche i ricchi piangono" la Finanziaria che ha, infatti, avviato il crollo di consensi del governo Prodi. Adesso è il tempo della voglia di rottura con il resto della coalizione, del richiamo della foresta degli elettori duri e puri, dell'appello al mitico programma di 286 pagine dell'Unione. Quello per cui tutti gli elettori hanno scelto il Centrosinistra, avendolo letto e imparato a memoria riga per riga. Insomma è il tempo per chiedersi ancora una volta come nel 1998 (in quel caso dopo due anni di governo Prodi) se sia più logico o deontologico per la sinistra dell'Unione perdere teoricamente voti restando fedele al governo del Professore o andarsene compatta nella vasta prateria dell'opposizione. Vasta prateria dove Rifondazione Comunista e i Comunisti Italiani si troverebbero a cavalcare forse più sereni e in pace con la loro coscienza ideologica ma con una compagnia lievemente imbarazzante di quel Centrodestra e di quel Berlusconi che i loro elettori vedono come dracula vede l'aglio. Non solo. Ma il dubbio è reso ancora più doloroso dal fatto che per la seconda volta sarebbe la sinistra comunista a determinare (come era accaduto dopo la "spallata" di Bertinotti a Prodi del 1996) il ritorno al governo del Cavaliere e la fine del Professore. Diciamo che quello di Giordano e Diliberto è un dubbio che ha sostanzialmente almeno due certezze in funzione di quale sia la scelta. Se questa pendesse, come sembra (almeno fino a gennaio) a favore del Professore, i sondaggi a favore del Pd continuerebbero a crescere e quelli per la sinistra a scendere, causa fuga dell'elettorato più deluso da chi dice ma non "fà abbastanza di sinistra". Se invece la scelta replicasse il botto del '96 (allora le 35 ore adesso il welfare), di certissima ci sarebbe la vittoria del Centrodestra alle elezioni anticipate (ammesso che il Centrodestra sia di nuovo unito) e un'impennata di consenso militante orgoglioso da ultras di sinistra, che distruggerebbe il governo ma non necessariamente il Centrosinistra. Primo, una scelta di uscire dal governo da parte della sinistra comunista aiuterebbe quel Partito Democratico che di certo non è una passione di Giordano e soci. Lo aiuterebbe perché darebbe il segnale dell'autonomia di quel Pd dalla cosiddetta sinistra radicale e quindi porterebbe paradossalmente a far salire le quotazioni nella borsa elettorale moderata di Veltroni, pur in presenza di una probabile crescita anche della stessa sinistra. Secondo, l'uscita dal governo lancerebbe una scialuppa di salvataggio a quel Berlusconi che in due settimane è già passato dalla fondazione di un partito tutto nuovo alla difesa di Forza Italia, passando per uno scontro fratricida con An e Udc. Come e quando la sinistra con falce e martello farà la sua scelta non possiamo saperlo. Ma possiamo sapere che la vera sfida per Giordano e Diliberto forse non è neanche nella scelta di oggi domani o dopodomani sulla fedeltà a Prodi. La vera scommessa della sinistra italiana a livello parlamentare come negli enti locali è nel decidere cosa fare da grande. Decidere se i cambiamenti ad una società complessa come la nostra si vogliono davvero realizzare o se sono semplici bandierine ideologiche e carne da propaganda. Se la scelta cadesse sulla prima alternativa allora Giordano e Diliberto dovrebbero entrare in una nuova fase in cui stare al governo mediando e ottenendo il minimo a volte e il massimo altre è il centro dell'identità "rivoluzionaria" della sinistra. Se la tentazione dell'opposizione protestataria fosse invece molto più affascinante allora dovrebbe esserlo in modo definitivo e determinare la trasformazione della sinistra in una forza di pressione sulla politica e non più in una forza politica. Questa sarebbe la strada più semplice e nel nostro Paese spesso le scorciatoie hanno un certo successo, anche se di solito di breve periodo. Nel lungo portano a dei fiaschi clamorosi. Solo facendo davvero questa scelta la sinistra cosiddetta radicale uscirebbe una volta per tutte da quella specie di non-luogo cul de sac che si trova più o meno a ovest di Paperino tra Prodi e Berlusconi. Un non-luogo da dove non si vede il panorama, l'aria è immobile e di orizzonte neanche l'ombra.