AMORE UNIVERSALE

Eutanasia, si riapre il dibattito


Si dovrà rifare il processo che ha impedito al padre di staccare la spina alla figlia Eluana Englaro. La Suprema Corte: due le ragioni per cui si può interrompere la vita, ora serve una legge. Dì la tua  Si riapre di nuovo il discorso sull'eutanasia. A dare un nuovo slancio al dibattito è la decisione della Corte di Cassazione di riaprire un nuovo processo sul caso di Eluana Englaro, la giovane in coma dal 1992 a seguito di un incidente stradale. La Suprema Corte ha infatto deciso che "il giudice può, su istanza del tutore, autorizzarne l'interruzione soltanto, dovendo altrimenti prevalere il diritto alla vita, in presenza di due circostanze concorrenti: a) la condizione di stato vegetativo del paziente sia apprezzata clinicamente come irreversibile, senza alcuna sia pur minima possibilità, secondo standard scientifici internazionalmente riconosciuti, di recupero della coscienza e della capacità di percezione; b) sia univocamente accertato, sulla base di elementi tratti dal vissuto del paziente, dalla sua personalità e dai suoi convincimenti etici, religiosi, culturali e filosofici che ne orientavano i comportamenti e le decisioni che questi, se cosciente, non avrebbe prestato il suo consenso alla continuazione del trattamento". I supremi giudici hanno infatti annullato con rinvio il decreto con cui la Corte d'appello di Milano, nel dicembre 2006, aveva respinto la richiesta del padre di Eluana di interrompere l'alimentazione artificiale che tiene in vita la ragazza. In rete la solidarietà nei confronti di Eluana sono tanti. Soprattutto stride in modo incredibile la differenza di trattamento tra la sua vicenda e quella del povero Lorenzo D'Auria, l'agente Sismi tragicamente ucciso in Afghanistan e sposatosi in coma perché c'è stata la possibilità di farlo "in articulo mortis". Il militare sposato da morto perché aveva manifestato volontà prima di morire, Eluana costretta a "vivere" nonostante avesse manifestato l'intenzione di morire. Stranezze e crudeltà della legge. Nel mezzo tante sentenze e sofismi sull'interpretazione delle cure giudicate "invasive" ma non tanto da essere "accanimento terapeutico". Di fatto c'è una ragazza su un letto immobile da 15 anni che non riesce a morire nonostante la sua volontà e uno Stato che le impedisce di farlo, limitandone in qualche modo la libertà individuale. Ma si può essere liberi di morire? Snorki nel suo blog sottolinea il fatto che c'è grande confusione intorno al tema. Se "negli ultimi dieci anni l'Unione europea ha investito 15 milioni di euro in iniziative nel mondo intero per combattere la pena capitale. L'istituzione di una giornata comunitaria è fallita per via della Polonia. Varsavia si è opposta perché chiedeva l'estensione del dibattito a temi quali l'aborto e l'eutanasia". In un posto di Gvgiusti si può leggere che "le cure a cui è sottoposta Eluana 'non rientrano nell'accanimento terapeutico' e la loro interruzione potrebbe avvenire solo se ci fosse un «consenso effettivo» della persona che nel caso non può avvenire". Ma il tema è delicato e va affrontato con serenità ed equilibrio. Anche perché come dice giustamente il libro di Adriana Pannitteri "Vite sospese. Eutanasia un diritto? Vivere o morire dopo il caso Welby. Un viaggio shock ai confini della vita", riportato dal blogger Massimiliano Gentile, si vede bene come sul tema si intrecciano "le ragioni di coloro che chiedono di morire agli appelli di chi rifiuta qualsiasi forma di morte assistita. Ora che per la prima volta si vuole affrontare il tema dell\'eutanasia, davanti al quale la magistratura non sa bene come comportarsi, la Pannitteri racconta anche il confronto bioetico, giuridico e politico".In attesa di maggiore chiarezza legislativa si rende sempre più urgente il testamento biologico: un documento che renda esplicita la volontà di una persona in merito alle terapie che intende o non indende accettare nell'eventualità in cui dovesse trovarsi nella condizione di incapacità di esprimere il proprio diritto di acconsentire o non acconsentire alle cure proposte per malattie o lesioni traumatiche cerebrali irreversibili o invalidanti, malattie che costringano a trattamenti permanenti con macchine o sistemi artificiali che impediscano una normale vita di relazione.