AMORE UNIVERSALE

A GORI, la "PATRIA" di Stalin devastata dalle bombe dei Ming


Il reportage / La città natale del "piccolo padre" bersagliata dai cacciabombardieri dopo la concentrazione dei riservisti.Un superstite: "Chiediamo il cessate il fuocoma poi siamo noi i primi a non rispettarlo"dal nostro inviato PIETRO DEL REGORI (Georgia) - Sono anziane signore, di nero vestite: una claudica legermente, l'altra respira con affanno. Camminano per le strade deserte tenendosi per mano, come due scolarette. Nel quartiere del mercato di Gori, nuovamente centrato dalle bombe russe, sono loro le uniche persone rimaste. "Non c'è più nessuno, sono scappati tutti", ci dicono. "Ma noi non sapremmo dove andare, perciò non ci siamo mosse. Ci aiutiamo a vicenda. Quando c'è l'elettricità, guardiamo un po' di televisione. Adesso stiamo andando a cercare qualcosa da mangiare. Ma è tutto sbarrato. In giro non si vede anima viva". Già, la città natale di Josip Stalin sembra un luogo da fantascienza. Post-atomico. Da qui, nel pomeriggio di ieri, sono dovuti fuggire in fretta e furia anche il presidente georgiano Mikhail Saakashvili e il ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner: Saakashvili voleva mostrare al capo della diplomazia d'Oltralpe i danni provocati dai bombardamenti di sabato scorso, quando sulle loro teste si è improvvisamente materializzato un elicottero "sospetto". All'alba di ieri, i caccia russi sono tornati a colpire. Hanno distrutto i radar dell'aeroporto internazionale di Tbilisi, qualche carro armato del lillipuziano esercito della Georgia, altre postazioni militari sulla costa del Mar Nero. L'aviazione ha però concentrato la sua potenza di fuoco soprattutto su Gori, già duramente ferita durante la prima rappresaglia di Mosca all'offensiva georgiana in Ossezia meridionale. Secondo il ministero della Difesa, sono una cinquantina gli aerei delle forze russe che adesso sorvolano il territorio. Cinquanta caccia ormai indisturbati da una contraerea che pochi razzi hanno disintegrato in un battibaleno. Gori dista una sessantina di chilometri da Tbilisi, lungo l'arteria principale del paese. Sulla sinistra, un chilometro prima di imboccare lo svincolo che porta in città, c'è la strada per Tskhinvali, capoluogo della repubblica indipendentista. L'Ossezia del Sud è a un tiro di schioppo. Basta salire sul tetto di una casa per riconoscerne in lontananza le fattorie, i boschi di noci e, un po' più in alto, sulle montagne, le vaste abetaie. All'ingresso della città, un soldato con la bandana ci fa segno di accelerare. "Non si può sostare", urla in georgiano. "Ogni veicolo fermo è un possibile obiettivo per i russi". Poco più avanti, anneriti dagli incendi, compaiono i casermoni popolari sventrati tre giorni fa dai Mig. Tra i calcinacci s'aggira qualche cane abbandonato. C'è anche una troupe televisiva straniera. Al secondo piano di uno degli edifici colpiti dalle bombe, una donna, anche lei anziana, cerca di ricoprire con un telo di plastica la voragine provocata dalla scheggia di un razzo. Anche ieri mattina, i Mig hanno sparato su obiettivi civili. "Ma gran parte della popolazione aveva già abbandonato le case, perciò non ci sono state vittime", ci spiega un altro militare, pure lui con la bandana in testa. A Gori è deserto anche l'ospedale, là dove la settimana scorsa sono state portate le vittime dell'ecatombe russa. Soprattutto, non ci sono più le centinaia di riservisti che occupavano ogni angolo della città. "Sono loro che hanno attirato le bombe di Mosca", sentenzia Giorgio Keshaze, guardiano della casa natale di Stalin. Il museo è chiuso, ma lui non lo abbandonerebbe per nulla al mondo. Anche perché oggi, vista la malcelata ammirazione di Putin per il dittatore sovietico, è il posto più sicuro di tutta la Georgia. Keshaze sta prendendo il fresco sotto al colonnato che protegge la casa dove nacque il "piccolo padre". Dice: "I riservisti che la settimana scorsa sono arrivati in massa non sono soldati, ma dei militari hanno la stessa presunzione. Senza tuttavia possederne l'esperienza. Sono guerrieri senza storia. Incoscienti dei rischi che corrono e che fanno correre al paese. Lo sa perché i russi hanno sparato contro quei casermoni popolari? Perché la Guardia nazionale georgiana ci aveva appena nascosto un deposito di munizioni. I caccia non sono riusciti a centrarlo, ma hanno distrutto tutto quello che lo circondava". Perché allora, ieri mattina, l'aviazione di Mosca si è nuovamente accanita contro questa cittadina? "Per una scelta del nostro governo: quella di concentrare a Gori il grosso degli effettivi militari georgiani. I russi hanno centrato l'obiettivo che s'erano prefissati: disperdere queste forze. Dopo le bombe di sabato i soldati si sono tutti ammassati attorno a Tbilisi, sperando di trovare rifugio presso le ambasciate". Lungo le strade non ci sono macchine parcheggiate. Sono tutte servite alla grande fuga dei giorni scorsi. Tuttavia, le finestre delle case non sono sprangate. A una pompa di benzina, le ultime auto cariche di bagagli fanno il pieno prima di lasciare la città. Un uomo con i baffi a manubrio è seduto sulla panchina di una piazza così deserta da sembrare metafisica. Si chiama Sandro Kvavilashvili. È un insegnante in pensione. Anche lui non si è mosso perché, dice, è solo al mondo e non saprebbe a chi chiedere ospitalità. Gli domandiamo cosa pensa dell'aggressione georgiana in Ossezia del Sud. "Una porcheria", risponde. "E poi, ancora ieri, colpi di mortaio hanno provocato tre morti tra i soldati russi. Dio solo lo sa quanto li odio, ma non mi sembra il momento di scherzare col fuoco. Che figura ci facciamo con il resto del mondo? Imploriamo il cessate il fuoco, ma siamo i primi a non rispettarlo".