AMORE UNIVERSALE

Renzo Rosso: Veneto felix, «Non c’è crisi a Nord-Est»


 Ha creato lo slogan più intelligente, quasi cancellando l’obamiano «Yes, we can»: «Be stupid». Semplice e rivoluzionario, come è lui, Renzo Rosso, padre patron della Diesel, lui che ha fatto dei jeans un oggetto di culto e della sua azienda nata trent’anni fa a Molvena, a due passi da Bassano del Grappa (Vicenza), una holding da circa 1.300 milioni di fatturato. «Be stupid sono io che ho avuto coraggio di fare scelte aziendali rivoluzionarie. Una persona che dal niente è riuscita a fare qualcosa, che ha osato cambiare le regole, ma sempre con i piedi per terra».Guru della moda e del pensiero positivo, Rosso continua a vivere nel suo Veneto e a Breganze ha deciso di costruire il suo nuovo quartier generale: 50 mila metri quadrati e un progetto ecosostenibile. «Resto qui perché la qualità della vita è bella ed è molto più alta che altrove».Per la verità in cinque mesi qui ci sono stati anche 13 suicidi di imprenditori…Esempi rari, che non sono testimonianza di una intera realtà.La crisi come ha colpito il Nord-Est?La crisi nel Nord-Est non esiste perché c’è già stata anni fa. Da noi gli extracomunitari si sono introdotti bene, i loro bambini vanno a scuola con i nostri bambini, senza screzi come in altre parti d’Italia. La realtà manifatturiera è già stata esportata all’estero, portata in Romania, Marocco, Tunisia, ma sono rimaste le sedi centrali, quindi alla fine il profitto torna qui. La crisi l’abbiamo già vissuta e già superata, siamo in una fase di sviluppo. Se tu esci alla sera e vai al ristorante, è pieno di gente, non come in altre parti del paese.Veneto felix, che ora si aspetta anche le Olimpiadi. Lei è uno degli imprenditori che ha firmato l’appello per portarle in Veneto: che cosa l’ha spinta?Sarebbe una figata per noi, ogni cittadino vorrebbe avere un grande evento nella terra dove è nato. Il popolo veneto è sempre stato veloce, dinamico, riesce a fare le cose in maniera imprenditoriale e non burocratica. Le Olimpiadi qui diventerebbero un esempio da esportare in tutto il mondo.Perché?Con la miriade di imprese che abbiamo, farle qui sarebbe meno dispendioso, possiamo avere molte infrastrutture, si può costruire meno. Quando sono accadute calamità come il Vajont, si è ricostruito in pochissimo tempo. Cosa che con tutto il rispetto non succede in altre parti d’Italia, dove i tempi sono molto più lunghi, la burocrazia è più pesante e soprattutto c’è corruzione.Un’oasi felice in un paese in crisi?In Italia la crisi c’è, i veri licenziamenti avverranno quest’anno, soprattutto nelle grandi aziende. Noi abbiamo piccole realtà artigianali e su queste la crisi incide meno. Io penso che il Veneto sia un esempio da esportare. È una regione all’avanguardia: da noi non esiste un bambino che non sappia usare il computer, a 10 anni hanno già il cellulare. I servizi sociali sono ottimi: fra un nostro ospedale e uno al Sud c’è una grandissima differenza.E dopo il Veneto chi mette?La Cina, paese incredibile, sta crescendo a doppia cifra. È il paese dove si sta investendo di più, dove abbiamo gli incrementi di fatturato più alti. Darà tanto lavoro a tutti quelli che sapranno sviluppare il proprio business e portare il proprio brand. Noi abbiamo già 35 negozi e ne apriamo una media di 10 all’anno. Ci sono città sconosciute da 12 milioni di abitanti.Tutti da vestire. E il sogno americano?Sono nato con il «dream» dell’America, ma oggi è una nazione che vive un momento molto difficile. Il dollaro va giù, esportare è difficile, hanno un sistema sociale da mettere a posto e le banche sono cadute per un modo vecchio di gestire il business.Resterà ancora il paese specchio dei nostri tempi?Dovrà stare molto attento. La Cina si sta comprando l’America. Dovrà gestire la propria politica in maniera più globale possibile, dovrà allearsi con il mondo come sta facendo Barack Obama, che è una persona eccezionale. Ma la Cina fa paura, è un paese che non sta alle regole, che non rispetta il messaggio globale.Noi, invece?Sono sempre molto deluso dal nostro sistema politico. La storia di Trani mi fa ridere, però mi fa anche desiderare di allontanarmi sempre di più dalla politica. Io non sono per la destra né per la sinistra, sono un apolitico. Sono per i team che lavorano per costruire, ma noi proprio non ci riusciamo. Così, se una parte propone, l’altra tenta di distruggere, offendere, creare scandalo. E sarà sempre così, perché in Italia ci sono troppi poteri: quello dello Stato, quello della magistratura, quello del Papa. Tutti questi modi di pensare, di parlare portano alla disfunzione, alla distorsione. Questo è un paese di invidiosi.Ha avuto molto successo, è stato molto invidiato?Ho sempre guadagnato il rispetto sul campo di battaglia, ho sofferto tanto, ogni mio successo è stato guadagnato. Ho fatto cose da pioniere e non è stato facile. Ho sempre lavorato umilmente e con spirito positivo.Che educazione ha dato ai suoi sei figli?Un’educazione semplice, gli ho insegnato i valori della vita, a rispettare le persone. E ogni volta che chiedono qualcosa cerco di farglielo guadagnare. Vivono con me, le mie frustrazioni e le mie soddisfazioni.Quali sono le sue frustrazioni?A livello professionale può essere una sfilata che va male, una collezione non bella.Sta faticando anche la Diesel?Credo nel made in Italy, ho sempre lottato per tenere le nostre produzioni più importanti in Italia, anche con molta fatica. Prima bastava solo vendere, oggi devi dare cortesia, assistenza, ogni stagione andiamo a visitare tre volte in più il cliente. Bisogna dare maggiori servizi, in maniera da tenere le quote di mercato.Non è facile.Accidenti, se è difficile…I giovani la chiamano guru, ma lei a chi si è ispirato?All’inizio a Luciano Benetton, imprenditore coraggioso, che ho sempre stimato. Poi Steve Jobs, la filosofia Apple è molto vicina alla nostra. Ho imparato da Nelson Mandela, dal Dalai Lama con cui ho fatto un viaggio in aereo.Che cosa le ha detto?Gli avevo raccontato che volevo mollare tutto, che avevo lavorato troppo e volevo dedicarmi a qualcosa di sociale.E il Dalai Lama ha approvato il suo distacco dalla vita terrena?Per niente, mi ha detto di continuare ad andare avanti, di sorreggere le famiglie che lavorano per me. E poi mi ha detto che, se dovevo fare qualcosa per gli altri, il mondo doveva saperlo, dovevo essere un esempio per gli imprenditori. Mi ha cambiato la vita: ho creato la Only the Brave foundation, che si occupa di progetti in ogni parte del mondo, dalle scuole in Veneto ai villaggi in Africa.L’altro suo padrino è stato il fondatore della Mediobanca, Enrico Cuccia.Mi invitava da lui e mi faceva parlare, voleva che portassi la freschezza, la mia visione delle cose. E per me che ero un ragazzino era come vivere un film.Oggi di cosa parlerebbe con il grande banchiere scomparso?Parlerei della tristezza di questo Paese, creata dalla brutta informazione fatta solo di scandali, che porta le persone a essere sempre più tristi.E lei come fa a non essere triste?Utilizzo il profitto in maniera utile, sono contro il lusso arrogante, contro i soldi spesi per oggetti che costano tanto e vengono usati poco. Predico un lusso più abbordabile, che chiamo «Contemporary». Meno oggetti e più attenzione al sociale.Davvero le manca solo la politica…Me lo hanno chiesto in tanti, ma mi pare sia impossibile in un sistema come il nostro. Certo mi piacerebbe fare politica. Ma in Danimarca.