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TraMe e Me

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Rimini: bagno 79

Post n°13 pubblicato il 09 Febbraio 2009 da Ahira28
 

Simone

 

 

 

Era arrivata di mercoledì, e si sa che le settimane al mare cominciano di sabato.

 

L'unica bianca in una spiaggia di peperoni rossi e di noi, abbronzatissimi locali. Forse è per questo che la notai al volo.

 

Piccola, minuta, un bel sorriso, un costume nero a fiorellini, avrà avuto sedici anni. M'era subito venuta voglia di parlarle.

 

Però di sorriso in sorriso eravamo arrivati a sabato e neanche ero riuscito a dirle ciao.

 

Stava al bancone del bar quando arrivai, quella domenica.

 

Non so nemmeno come feci a vederla, erano tutti lì per la Ferrari, un pienone e tutti davanti alla televisione. M'avvicinai e le sorrisi, poi ci fu la partenza.

 

- SSiii - le sentii pronunciare, mentre la rossa scattava in testa.

 

Le caddero le patatine, mentre si chinava a raccoglierle intercettai il suo sguardo e le sorrisi di nuovo.

 

Ogni tanto buttavo lì uno sguardo ma non sapevo proprio come incominciare.

 

Aveva una pelle liscia, tutta uguale come un gelato alla nocciola. Che sofferenza non allungare una mano per toccarla. Il profumo del suo solare, qualcosa di misto vaniglia e cioccolato, m'andava dritto in testa .

 

Stare lì impalato e non guardarla era difficile e per non fare la figura dello scemo ad un certo punto me ne andai.

 

Più tardi, dopo che la Ferrari aveva vinto, la puntai mentre andava a farsi il bagno.

 

- Bella gara eh? - Oddio, sì, le dissi proprio così… bella gara, e neanche l'avevo vista.

 

Però da quel giorno io e Francesca diventammo amici.

 

Ce ne stavamo insieme quasi tutta la giornata, bagno, passeggiata, pallavolo, non parlavamo tanto, ma stavamo bene insieme. I suoi ci lasciavano fare.

 

Poi le chiesi se voleva uscire con me.

 

Quando mi disse di sì mi resi conto che non avevo programmato niente, e chi ci credeva che avrebbe accettato.

 

Quella sera avevo le formiche in corpo. Mi sembrava che l'ora non arrivasse mai, poi avevo paura che succedesse qualcosa, qualunque cosa.

 

Mi sentivo un dio a portarmela in giro per le vetrine e ridevo e rideva anche lei.

 

Quando mi disse che restava fino alla fine del mese le misi un braccio intorno all spalle e la strinsi.

 

Fu due o tre giorni dopo che la portai alla rimessa delle barche.

 

Giovanni mi lasciava la chiave per fare i lavoretti e di sera non c'era mai nessuno.

 

Avevo paura che il cuore si sentisse da fuori. Era la prima volta che facevo una cosa del genere.

 

Partì due settimane dopo.

 

Dopo averla salutata andai a pattinare. Non pensavo a niente quando pattinavo. Da solo su quella spianata bianca, accecante, io e il rumore delle ruote. Mi sembrava di tagliuzzare il dolore in ognuno dei giri e rigiri delle ruote.

 

 

 

***

 

Gilberto

 

  

Ero ancora piccolo quell'anno. L'ultimo di un branco che cominciava a sfaldarsi.

 

Mauro s'era fidanzato con la Gina a ottobre e con noi non ci veniva più. Paolo era partito per il militare. Luca ancora scriveva a quella di Torino e non ci raccontava più niente. Enrico e Franco s'erano comprati la moto e Simone era stato sempre più sveglio di me.

 

 

 

L'estate cominciò presto, non mi piaceva andare in spiaggia all'inizio,  ci si trovavano solo le vecchie e ragazzini, però Giovanni mi aveva chiesto se l'aiutavo a sistemare le cose prima della stagione. A scuola andavo bene e qualche soldo in tasca non mi dispiaceva.

 

Mi ricordo che andai giù la prima volta di Giovedì, avevo religione e ginnastica insieme, erano aperti solo tre o quattro ombrelloni.

 

Mi piaceva smartellare, piantare i chiodi, mi sfogavo. Se lavoravo con le mani non pensavo tanto, e in quel periodo certe volte mi sembrava che la testa non potesse fermarsi mai.

 

La vidi la prima volta che stavo sistemando una sdraio. Non era bella. Insomma, neanche male. Stava sdraiata sul lettino, occhiali da sole e tette al vento.

 

Dovevo fermare la tela con qualche chiodo ma gli occhi mi schizzavano su di lei e il martello sulle dita. Non fiatai nemmeno quando mi presi di brutto, e quell'unghia nera, poi,  me la ricordò per tutta l'estate.

 

Mi sembrava che mi guardasse da dietro gli occhiali. Io invece buttavo lo sguardo tra le gambe, sulla striscetta turchese del costume, cercando di immaginarmi il resto. Lei non si sottraeva, sembrava divertita. Era come un gioco. Io guardavo e lei si faceva guardare, almeno mi piaceva pensarlo. Di tanto in tanto mi toccava piegarmi e nascondermi così decisi di comprarmi un bermuda lungo e largo, per stare tranquillo.

 

 

 

Le mattine dopo facemmo conoscenza. Mi chiese di prenderle un giornale, il caffè, spostarle la sdraio. Io trovavo sempre qualche cosa da sistemare intorno al suo ombrellone e si ricominciava. Lei si metteva in posa e io guardavo. Avrà avuto sui quarant'anni, forse più.

 

Avevo l'impressione che lo facesse apposta, e il pensiero mi faceva tremare le mani mentre lavoravo e cercare qualcosa intorno a lei da fare. Non riuscivo più a sottrarmi, neanche quando Giovanni cominciò a prendermi in giro.

 

 

 

Chiacchieravamo certe volte. Mi faceva i complimenti. Poi un giorno mi chiese di aiutarla a portare una borsa in albergo. Era leggera la borsa.

 

Finimmo a letto subito, fece tutto lei.

 

Stavo sdraiato, con gli occhi chiusi e lei mi chiese di guardarla, ma io ne avevo piene le tasche delle immagini e avevo solo voglia di sensazioni.

 

Mi ricordo che era morbida e tanta. Troppa per quello stecco che ero.

 

Mentre salivo le scale di casa mi faceva male la schiena. E quella sera mio padre non mi sembrò nemmeno tanto insopportabile.

 

 

 

 

 

***

 

 

 

Paolo

 

 

 

Paolo tornò in licenza di venerdì, con dietro la morosa di Padova. Non mi piaceva. Federica era bella, alta, bionda, però aveva le gambe secche e un modo di guardare da disinvolta che mi metteva i brividi.

 

Cominciò subito a cinguettare con Franco. Gli parlava e intanto accarezzava il sellino della moto, lui ingoiava saliva e le guardava le mani. Paolo sembrava distratto, anzi era proprio un estraneo, aveva persino addosso un altro odore, di mele e di caserma. Non lo riconoscevo.

 

- Quella lì non mi piace - gli dissi quando fummo da soli, ma lui si fece una risata e mi disse che ero invidioso.

 

Sabato andammo in discoteca.

 

Avevo adocchiato una ragazzetta di Perugia e stavo sopra a bere con lei appoggiato alla balaustra. Federica stava di sotto, e se non fosse che proprio non la sopportavo, avrei detto che era bella. Ballava con Franco, poco più in là  Paolo faceva lo scemo col solito gruppo di anconetani.

 

Che successe dopo me lo raccontò più tardi Enrico.

 

Mi ritrovai Paolo davanti  - Prestami la moto - chiese, io ci rimasi male ma non fiatai.

 

- Mettiti il casco - dissi, ma lui rispose - Fanculo! -  Era incazzato.

 

 

 

Alle cinque ero ancora lì che lo aspettavo. La  perugina se n'era andata e io avevo voglia di tornare a casa. Enrico mi dette un passaggio.

 

Quando vidi tutte le luci accese a casa mia, mi venne un colpo.

 

- La moto! - pensai e mi sentii subito un verme.

 

Paolo lo avevano fermato dopo una rissa. Se l'era andata a prendere col solito gruppo di neri che stanno alla rotonda, perché aveva trovato Federica che dava un bacio a Franco, e loro lo avevano pestato per bene.

 

Lo riaccompagnai alla Stazione quattro giorni dopo.

 

- Begli occhi…sembri un panda - gli urlai dietro mentre partiva il treno.

 

- Quando torno t'ammazzo - Mi rispose, però mi sembrava proprio lui, finalmente.

 

E Panda gli rimase attaccato per sempre.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

***

 

L'ultimo bagno

 

 

 

Stavamo seduti tutti e quattro sul muretto davanti al mare, un vento leggero faceva schioccare le falde degli ombrelloni. Dondolavamo i piedi e non parlavamo. Per diversi giorni il tempo non era stato bello e la spiaggia s'era svuotata.

 

Paolo era in Kossovo, proprio dall'altra parte del mare, dove quelle nuvole rosate camminavano veloci.

 

Mauro non s'era più visto, dopo la storia del romano con la Gina, non aveva più messo i piedi in spiaggia. Luca andava a Torino quasi ogni fine settimana.

 

Mi dispiaceva. Mi ricordavo l'estate precedente, i giri dietro le ragazze, la discoteca e le serate interminabili a discutere e a sfidarci in sala giochi.

 

Avrei voluto fare inversione ad u e ritornarci e invece era quasi di nuovo autunno e noi eravamo rimasti  solo in quattro.

 

- Si sta come in autunno sui rami le foglie - citò Enrico che gl'era presa fitta con la poesia. Simone gli diede una spinta e lui cadde di sotto. - Ecco le foglie cadono - sghignazzò ma Enrico si sedette sotto al muretto come se niente fosse.

 

- Ci pensate mai a Paolo voi? - fece Gilberto - Magari noi stiamo parlando e lui è morto -

 

Era la prima volta che pensavo a uno di noi morto davvero, certo c'erano gli incidenti, ma non sembrava mai una eventualità vera, mai avrei pensato che uno di noi sarebbe andato in guerra. Il silenzio si fece lungo, poi Franco scivolò di sotto.

 

- Tutti a farsi l'ultimo bagno - urlò - e chi arriva ultimo paga la birra a tutti -

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