nostro concerto…
[Pregherò Celentano]
La chiamavamo "la lividosa" per via delle gambone bluastre. Si vestiva da vecchia, con le gonne troppo lunghe, le magliette smilze dai colori pallidi e i piedi infilati in certi sandaletti d'argento coi tacchi che mi facevano invidia. Faceva perennemente "la tappezzeria" a quelle feste in terrazza che io e Anna Maria, la mia amica del cuore, spiavamo dall'ultimo piano del palazzo, sdraiate sul cornicione ancora tiepido di sole.
Le feste le davano nel palazzetto accanto, più basso del nostro, in terrazza, d'estate. Io avevo sette anni e Anna dieci. Ogni domenica per noi era la continuazione della telenovela della settimana precedente. Ad una certa ora io dicevo a mia madre che andavo da Anna e lei diceva alla sua che veniva da me, invece salivamo in terrazza, dove si stendevano i panni, e guardavamo la festa dei grandi, come fosse il nostro concerto. In quel palezzetto basso abitava una famiglia con cinque figli, quattro maschi e una femmina. Roberto era uno dei fratelli, quello che mi piaceva di più perché assomigliava a uno dei Bonanza. A Anna invece piaceva Maurizio, uno dei cugini, ma quello era fidanzato con Maria dalle elementari e non c'era speranza per nessuna.
"La lividosa" ci era simpatica perchè non l'invitava mai nessuno e se ne stava lì, seduta composta, vicino al tavolo delle bibite e sorrideva sempre quando le passavano accanto i ragazzi.
Poi un giorno l'aveva invitata a ballare proprio Roberto, non solo, ci aveva ballato per tutto il pomeriggio e alla fine della festa era uscito con lei per accompagnarla.
La settimana dopo, "la lividosa" era arrivata con un vestito bianco a fiori e aveva ballato tutto il pomeriggio, non solo con Roberto, anche con gli altri.
Dall'alto l'avevamo vista uscire con Roberto in giardino a baciarsi; io ero diventata tutta rossa mentre il cuore m'andava a mille, Anna sghignazzava dicendo che ero gelosa e la fonovaligia urlava: Pregherò per te… che hai la notte nel cuor".
Poi ero scappata via e quando Roberto partì per l'Australia, con tutta la famiglia, non andai neanche a salutarlo.
2. Valle Giulia ancora…
[C'era un ragazzo Morandi]
"Quelli della mia classe si erano sgranati lungo il corteo, io canticchiavo "C'era un ragazzo", camminando. Era tutto bloccato, c'era un gran rumore di folla inferocita, non ancora le sirene. Saremmo rimaste dietro anche io e Mirella, la mia compagna di banco, se non ci avesse fatto da guida un ragazzo della quarta che aveva il padre guardiano dello zoo. Avevamo fatto un giro lungo ma eravamo sbucati giusto di lato alla scalinata, in tempo per vedere le prime manganellate, le cariche della polizia, il sangue. Per prenderci la nostra dose di ammoniaca e di lacrimogeni. Botte no, ci aveva portato via per tempo un ragazzo di architettura che conoscevamo. "Andatevene, qui si fa sul serio" ci aveva detto e noi ci eravamo offese, noi facevamo il primo artistico e ci sentivamo tanto grandi. Poi s'era aperto tutto, la polizia non riusciva a respingerci, ce l'avevamo fatta, c'erano pure i professori, stavamo nella fila che entrava dentro. Andiamocene, aveva detto Mirella all'ultimo momento, e ce n'eravamo andate. Quando tornammo ad architettura, dopo qualche giorno, sui muri c'erano ancora gli schizzi di sangue."
"Professorè ma che ci andavate a fa?"
"Avevamo in mente di cambiare il mondo"
" E ci siete riusciti?"
"Mi sa più di quanto si creda."
3. A Paris…
( Albergo ad ore [les amants d'un jour] Gino Paoli)
Su un treno che solca la notte da Milano a Parigi a diciassette anni, da sola, per la prima volta. A Losanna una lunga sosta per via dell'ora legale. Un vecchio che spinge un carrettino e ulula nella notte "Caffesciòdsciocolatsuisse!". Mirella arriva giusto in tempo prima che il treno riprenda la corsa. La mattina a Parigi è d'oro. L'ostello della gioventù è in centro a Rue de la Victoir, fermata metrò La Faiette.
Boulevard Saint Michel è ancora senza i blocchetti di marmo, li hanno tirati tutti alla polizia e stanno riuniti in cumuli, pronti per la prossima manifestazione. Non abbiamo una lira, abbiamo soldi per quindici giorni e resteremo un mese e mezzo. Non mangiamo, la fame mi attiva le meningi, mi pare di avere un'energia infinita. Parigi è ancora tutta francese. Con i cessi che lasciano la cacca in bellavista e che quando tiri l'acqua fa un carosello prima di andar via. Con i negozietti che vendono vino e la sera mettono le sedie e tavolini sul marciapiede e i vecchietti giocano a carte abbaiandosi l'un l'altro qualcosa di incomprensibile. Con più librerie che negozi d'abbigliamento. Con le banane che costano meno dei pomidoro. Non dormiamo mai, alle due scendiamo lungo Bulevard Hausman, scavalcando gli ubriachi, alla congiunzione con La Faiette tiriamo dentro e siamo a casa. Mi sveglio la notte cantando "Io lavoro a un bar d'un albergo ad ore…". Alla Comedie Française danno Corneille, conosco un russo che mi segue fino all'ostello. Il giorno dopo mi porta un anello, lo caccio via, ma mi regala due biglietti per la Salle Pleyel, danno i cori russi, non resisto. E' un vecchio principe pazzo che somiglia a Nurejev. M'innamoro dei russi perché sono pazzi. Fine del francese comincia l'era del russo.
4. Mezzanotte a Mosca…
(Il mio canto libero Battisti)
E' mezzanotte quando arrivo a Mosca scortata da due militari. Mi hanno "beccata" a duecento km. dal limite oltre il quale avrei dovuto essere col mio visto. Il portone di Piazza Dzerjinsky si è richiuso silenziosamente dietro le mie spalle. Hanno intenzione di interrogarmi subito. Me lo dicono con una certa gentilezza, come se mi comunicassero un'operazione chiurgica purtroppo necessaria. Non dormo da un giorno, non ho mangiato da quasi due, non ho più tanto chiaro cosa sia giusto e cosa sia sbagliato e soprattutto non ho più paura. Mi lasciano sola in una stanza bianca con dei mobili un po' kitch, mi addormento. Mi svegliano, è un graduato quello che mi interroga, le solite domande che mi fanno da due giorni. Perché era lì, ha preso foto, chi conosce, come mai è a Mosca, quando è arrivata, quando andrà via. Poi qualcosa di diverso, ha visto la Tretjakov? Ma certo che l'ho vista, mugiko! Sorridono. Quello che mi innervosisce di più è che non mi sono né lavata né cambiata da due giorni e le mutande mi pizzicano. Mi riaddormento, mi risvegliano, Stavolta il tipo parla francese, stesse domande, qualche tranello o almeno mi pare, ho una percezione ovattata delle cose, forse non era un tranello, forse non ho capito qualcosa. Mi portano in un'altra stanza. Penso che dovrei chiedere di chiamare la mia ambasciata, ma non so il numero e questo mi pare un problema insormontabile, insieme al fatto che forse loro ci resterebbero male. Non voglio che mi mandino via, sono arrivata da una settimana e dovrei studiare, capperi, se mi mandano via succede un casino. Mi risvegliano, non m'ero accorta di essermi addormentata. L'interrogatorio e' in italiano stavolta e faccio fatica a ricordarmelo. Sorridono. Torna il graduato. Lui fa il buono, mi dice che non mi manda via perché sono stata alla Tretjakov. Zeleznaja logika! Ma non m'ero innamorata dei russi perché erano pazzi? Non mi mandano via! Non mi mandano via! Mi fanno una ramanzina che capisco solo in parte. Di sicuro c'è la fregatura ma non ce la faccio a stargli dietro. Mosca all'alba è rosa, la macchina che mi riaccompagna verso Ostankino è immersa nel buio mentre il cielo è chiaro e chiare sono le cime dei palazzi. Non ho più sonno né più inibizioni. Canticchio "In un mondo che… prigioniero è… " l'autista mi guarda e ride. Mosca è uno splendore e nonostante tutto continuo ad esserne innamorata. "E' bella eh?" mi fa lui come avesse capito i miei pensieri "bellissima" rispondo.
5. The wall…
(Alexander Platz Milva)
Giro per Berlino di notte. Di qua, di là. Di qua. Check Point Charlie su quel ponte di ferro. Di qua una città in crisi che non trova più la sua identità. Di là una città piena di illusioni che non trova più pace. Sui muri delle case di là, ancora i segni dei proiettili della guerra passata. Niente luci nelle strade, niente negozi. Pezzi di muro sbrecciato ovunque. Pezzi di muro con gli strati di pittura di generazioni di sognatori. Di qua i magazzini pieni di merci scadenti per quelli di là che non si sono ancora organizzati. Le trabant che spippettano residui di piombo grandi come proiettili dalle marmitte. Mercedes platinate con signori in doppiopetto che caricano le puttane di là per portarle a scopare di qua, che si sta più comodi. Una città allo sbando che per anni ha inseguito un sogno, lo stesso di qua e di là e ora si accorge che non è facile e che realizzarlo è quasi peggio che averlo tanto agognato. Berlino torbida dello Zoo. Berlino torbida delle strade del sesso. Il prezzo delle puttane è improvvisamente calato. Il prezzo dei preservativi improvvisamente aumentato. Berlino senza identità, mi sento estranea mentre attraverso Alexander Platz..
Inviato da: terrafuocoaria
il 27/11/2009 alle 19:03
Inviato da: Ahira28
il 05/05/2009 alle 19:53
Inviato da: wublock
il 29/04/2009 alle 19:19
Inviato da: Ahira28
il 11/04/2009 alle 00:26
Inviato da: Arvalius
il 10/04/2009 alle 18:34