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Messaggi di Novembre 2018

Dirigenti incompetenti trascinano Messina verso il baratro

Post n°521 pubblicato il 27 Novembre 2018 da MANonTHEmoonMilano
 

Quando ci fu l’attentato a Papa Wojtyla, il 13 Maggio 1981, si parlò di pista bulgara per giustificare i mandanti di questa orrenda azione cui fu vittima Giovanni Paolo    II.  Adesso si parla di “pista friulana” per l’acquisizione dell’ACR  Messina, ormai moribondo nei bassi fondi della serie D. 

Si tratta anche qui di capire chi sono i responsabili dell’attentato che ha causato la morte del calcio a Messina, che poco più di dieci anni fa militava addirittura in serie A, prima che Franza(vero padrone della città peloritana con i suoi traghetti) decise, dopo aver eluso il pagamento delle tasse  pensando di farla franca, che era meglio chiudere bottega.

E’ inutile fare i nomi di chi, in questi anni atroci, ha condotto la città e il suo mondo pallonaro nel baratro.  Bisognerebbe andare a trovare e cacciare a tutti i costi i responsabili dello stesso scempio a cui è andata incontro la città dello Stretto. Politici, dirigenti, notabili, le famiglie bene, “il verminaio”, una borghesia quasi feudale che fa si che se non si appartiene a un certo giro è meglio andarsene. Depauperare il territorio, sottopagando i migliori elementi con una furbizia da demenziali padroni del vapore, costringendoli alla fuga  ha causato la devastazione finale di tutto quel sottobosco in cui il pallone faceva da valvola di sfogo.

Perché se sei qualcuno a Messina, in genere, sei nessuno in tutto il resto del mondo: te ne accorgi quando te ne vai a cercare a fortuna (come il sottoscritto, che l’ha trovata).  Il mondo si muove in modo completamente diverso e la professionalità che credi di avere ottenuto in riva allo Stretto si  dimostra inadeguata quando ti trovi in realtà seriamente competitive.

Questa è Messina, dove “i buddaci” sono fondamentalmente la libera espressione di quello che è il tessuto sociale: si parla e basta, ci si lamenta e  bastama nulla si fa.  Questo tipo di mentalità ha prodotto le ruberie del  “volemose  bene” dei politici, e gli ultimi due sindaci, Accorinti De Luca, poli opposti di una schizofrenia comune: uno senza scarpe e senza esperienza, profondamente onesto; l’altro sceriffo amante di processioni e superstizioni e propaganda, celata dietro un falso cattolicesimo di convenienza. 

Oggi, dopo la disfatta di Palmi (l’ennesima), anche lo sponsor Fontalba si è scagliato contro la proprietà. Un fatto inedito e assurdo: ti pago, ti getto pure fango addosso per seguire un populismo inutile e senza costrutto.

La verità è una: nessuno vuole Acr o Città di Messina (due  inutili espressioni del calcio cittadinosul serio!  Non esiste nessun gruppo friulano, ne calabresi o arabi facoltosi.  Il dottore che voleva fare il sindaco si è eclissato dopo averle sparate grosse in campagna elettorale, mentre il salvatore della patria, Caffè Barbera, ha reso nervosi i tifosi non prendendo nemmeno la società a costo zero quando si  è formato il nuovo Messina di serie D.

Ed è arrivato   Sciotto, onesto venditore di macchine, completamente a digiuno di sport  che pensava che solo il nome facesse una squadra, l’ha disfatta e distrutta perdendo mesi per colpa di due personaggi, Manfredi e Parisi, che avevano spacciato come certo il ripescaggio in serie C raccontando una panzana immensa.  Si è perso un gruppo di giocatori e un signor allenatore come Giacomo Modica, si è rotto un giocattolo che con opportuni innesti avrebbe riportato la gente allo stadio.  Si sono succeduti allenatori e direttori sportivi, anche Adriano Polenta si è dovuto inventare (vi ripeto inventare) un problema familiare per scappare via.   Nessun vero ritiro estivo, tutto improvvisato. I risultati negativi sono arrivati e si parla di epurazione.

Ovviamente con il calcio mercato aperto i giocatori, in attesa di cambio di maglia, tireranno indietro la gamba.  E già lo fanno. Arriveranno mille giocatori in prova come sempre (mancanza di idee) e si lotterà per non retrocedere.

Nella speranza di un miracolo: gente seria che sappia di calcio e non dilettanti allo sbaraglio.

 
 
 

Gigetto e il condono

Post n°520 pubblicato il 07 Novembre 2018 da MANonTHEmoonMilano
 
Tag: condono

Luigi di Maio risponde aRepubblica sulla vicenda delcondono della casa di famiglia a Pomigliano d'Arco. "Ho chiamato mio padre e gli ho chiesto cosa avesse combinato, mi ha spiegato che nel 1966 mio nonno, che ora non c'è più, costruì la casa dove vive tuttora la mia famiglia. Nel 1966 mio padre aveva sedici anni - ricorda Di Maio - e la casa fu costruita in base ad un decreto regio del 1942, ancora vigente nel 1966. Nel 1985, quando mio nonno non c'era più, mio padre venne a conoscenza di una legge per regolarizzare qualsiasi manufatto costruito in precedenza, e chiese di regolarizzare la casa".

Di Maio, che si lamenta di come "non sia bello vedere la propria famiglia sbattuta a pagina 10 come i 'furbetti del condono edilizio", prosegue ricordando che il padre "presentò una domanda ad aprile 1986, io nasco tre mesi dopo, spero che mi si riconosceranno le attenuanti dell'incapacità di intendere e volere. Mio padre presenta la domanda ad aprile '86, io nasco a luglio '86. Nel 2006 mio padre riceve la risposta del comune che gli dice di pagare duemila euro e regolarizzare così la casa costruita nel 1966. Questo sarebbe il grande scoop diRepubblica, io condonista... Peccato però che non abbia mai titolato per gli scudi fiscali sotto i governi Renzi, Letta e Gentiloni".

E aggiunge: "Mi perdonerete se oggi ho comprato Repubblica non lo farò spesso, lo farò solo quando serve".

Ecco la risposta di Repubblica

I fatti non si piegano alle convenienze. È una delle regole attraverso cui passa la credibilità e la trasparenza di un leader politico. Prendiamo atto che il vicepremier e capo del M5S Luigi Di Maio lo abbia appena sperimentato, confermando in una diretta Fb tutto quello che Repubblica - rigorosamente attenendosi a dati pubblici e incontestabili - aveva scritto, relativamente alla sanatoria concessa a suo padre, dal Comune di Pomigliano d’Arco, nel 2006, avente per oggetto il palazzetto in cui risulta residente il leader del Movimento.

Di Maio, tuttavia, anche stavolta incorre in qualche imprecisione. E in alcune omissioni.

Sfrondando l’intera vicenda di meta-messaggi e sarcasmo sulla libertà di stampa - che appesantiscono la verità come un abuso su uno scheletro d’immobile - per estrema chiarezza, ripercorriamo alcune evidenze.

Primo punto, tecnico. Suo padre, il geometra ed imprenditore edile, Antonio Di Maio, ha effettivamente chiesto ed ottenuto un condono per manufatti ed ampliamenti abusivi, eseguiti al secondo e terzo piano, richieste che sono state depositate in Comune a partire dal post-terremoto esattamente come abbiamo rilevato e raccontato? Sí. Invece qui cominciano i ‘ma’ dell’onorevole Di Maio.

“Ho letto Repubblica (...), ho chiesto a mio padre cosa hai combinato. Mio padre presentó una domanda ad aprile 1986. Ma la casa fu costruita nel 1966, realizzata da mio nonno in base al Regio decreto del 1942".

Una genealogia interessante, ma c’è una prima imprecisione. Due terzi della casa, ovvero secondo piano e terzo piano sono connotati da abusi che, secondo quanto registrato negli atti, sono stati realizzati almeno dieci anni dopo. Ciò non toglie che si sia trattato di ampliamenti per complessivi 150 metri quadri.

Secondo punto. Tecnico. Suo padre ha effettivamente definito tutta la pratica nel 2006, col pagamento di 2mila euro a fronte di quel volume, tra nuove camere da letto, tinello e studiolo con lucernai ed altro? Sí. “Mio padre riceve la risposta del Comune che gli chiede di pagare 2mila euro”, spiega ancora Di Maio.

Anche qui c’è una omissione. A quanto pare, il papà geometra - nonostante la sua esperienza e la competenza tale da esaminare pratiche altrui per il Comune - aveva sbagliato a proprio favore il calcolo di alcuni - pochi - metri quadri. Una dimenticanza certamente non voluta.

È vero o no che fu costretto a tornare a Palazzo e a saldare quella differenza?

Terzo ed ultimo punto. Politico. “Questo sarebbe il grande scoop di Repubblica. Mi perdonerete oggi ho comprato Repubblica, non lo farò spesso”, dice Di Maio che addirittura consiglia di mettere “più amore” nella cronaca politica; riecheggiando anche qui antichi slogan berlusconiani.

Il vicepremier Di Maio, se leggesse di più e meglio, saprebbe cose che evidentemente in casa, gli erano sfuggite, almeno da 12 anni. E soprattutto dica cosa pensa del condono e di come possa ora vietare a Ischia ciò che in casa sua era stato concesso. I fatti, come lui stesso ha dimostrato spiegando, non si piegano alle convenienze.

 
 
 
 
 

INFO


Un blog di: MANonTHEmoonMilano
Data di creazione: 30/12/2009
 
 

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