IL CUORE DI ALBERTO

FAMIGLIA AFFIDATARIA ROMPE L'OMERTA' SUL BUSINESS DEGLI AFFIDI: ANCHE LORO ALIENATI


Racconto di una famiglia affidatariaOmero Faggionato, ANACRUSI - associazione di promozione sociale, http://www.anacrusi.org, 0444927611 – 3384296616Una giudice onoraria, da noi incontrata, nei mesi scorsi, ricoprente  contestualmente i ruoli di docente universitaria, consulente presso l'ordine delle a.s., nonché curiosamente, presidente di una comunità per minori, hadetto che porterà la storia che riportiamo in seguito, agli studenti del terzo corso, quale esempio da non seguire. Ci auguriamo che possa essere un monitoper tutti. Ogni genere di abuso trova nel silenzio il miglior alleato ...Ecco perché abbiamo scelto di romperlo.. ......non chiediamoci perchè solo una famiglia affidataria su cinque è disposta a rifare affido dopo una prima esperienza.... ..molte..... ......troppe, sono le famiglie affidatarie gettate nel silenzio e nella mortificazione che, hanno preferito dimenticare ..a loro pensiamo nel raccontare la nostra esperienza. La bambina ci è stata affidata dal servizio affidi del comune di Vicenza, nel 2002, con un progetto di lunga durata: almeno otto anni, ovvero, fino al compimento della scuola dell'obbligo. Quando varcò per la prima volta la soglia di casa nostra, l'assistente sociale che l'accompagnava, esordì dicendo: Omero, ha notato come le somiglia?.... vedrà presto la chiamerà papà. Era una bimba esile, tutta occhi e capelli saltava da una sedia all'altra e cantava “fratelli di taglia”.La prima sera vomitò. E' un'immagine che non ci toglieremo mai dagli occhi Ci era stata presentata come una bimba affettuosa, sempre alla ricerca del centro dell'attenzione, vivace, anche se caratterizzata da un lieve deficit cognitivo, che peraltro percorre tutti i componenti della famiglia così come si evince dal progetto stilato dagli operatori. Il papà era mancato da pochi mesi lasciando la madre sola ed incapace di affrontare la quotidianità. Quel vomito era la manifestazione del suo malessere: non aveva la sua mamma con se. Giovanna si era proposta di affiancare la madre dalle faccende domestiche all'uscita per un gelato con le bimbe. Rimase però inascoltata. L'idea di tenere insieme madre e figlie era nelle nostre corde e vedevamo nel rientro in famiglia della bambina il più naturale degli obiettivi. D'altronde cos'altro è l'affido se non un aiuto a superare una momentanea difficoltà che, dopotutto può riguardare ognuno di noi Giovanna ed io, avevamo da poche settimane concluso il corso di adozione. Avevamo però scelto di non darvi seguito, perchè al nostro orizzonte c'era lei, che ancora non avevamo conosciuto. Durante i primi mesi la mamma e la sorella incontravano la bambina, il sabato mattina, da noi. Facevano colazione, uscivano insieme, per poi rientrare nel tardo pomeriggio. La bimba era caratterizzata da dei tratti fortemente oppositivi ed un comportamento spesso provocatorio. Da noi, per quattro anni, sono volate spesso sedie e stoviglie. Secondo l'analisi degli operatori tale atteggiamento era indotto dall'incapacità di tollerare i comportamenti tipici del modello familiare...... forse, aveva solo bisogno di stare con la sua mamma. Dopo poche settimane, la sorella conobbe l'esperienza della comunità, al compimento del dodicesimo anno, in seguito ad un episodio, sul quale, mai, è stata fatta luce. L'educatrice della sorella, ci confidò che le stavano somministrando psicofarmaci (la comunità che l'accoglie è autorizzata alla sperimentazione di fali farmaci dal 1994). Quando gridammo allo scandalo, improvvisamente, l'educatrice scomparve e fu sostituita da una collega che naturalmente ci evitò con cura. La sorella era mite e remissiva. La bimba, da noi accolta, era stata allontanata perchè i suoi tratti oppositivi, costituivano un impedimento alla relazione fra le due. Quando la sorella iniziò a battere i piedi perchè voleva la mamma, fu passata per psicofarmaci. Nel frattempo la sorellina che stava con noi, veniva contenuta a terra da Giovanna, quando i suoi scatti d'ira non erano altrimenti controllabili.La bimba in cinque anni non ha mai preso una sola aspirina. Le manifestazioni rabbiose della bambina continuavano a caratterizzare le nostre serate, in particolar modo nei giorni precedenti l'incontro con la mamma. Sentimenti quali la solitudine, il fallimento nei confronti della bimba, accompagnati da una grande stanchezza cominciavano a farsi strada, in noi. Quando noi riportavamo ciò, nel corso degli incontri agli operatori, questi ultimi ci dicevano che sapevamo a cosa andavamo incontro facendo affido. Le richieste continue di vedere la mamma, di chiamarla al telefono, apparivano a noi più che legittime. La negazione che a tali richieste, nostro malgrado, seguiva, ci procurava una grande frustrazione.... Avevamo rinunciato all'adozione per svolgere il nostro ruolo di “collante” nel percorso di affido, e ci ritrovavamo, invece, ad essere complici in un processo che divideva. Durante gli incontri periodici gli operatori mettevano in luce aspetti riguardanti gli stili di vita della famiglia d'origine, con la sola finalità di farcela apparire inadeguata, giungendo, a volte a deriderne taluni suoi componenti. Nonostante il nostro senso di frustrazione fosse palpabile, il progetto conobbe vari rinnovi. ....ma qual cosa stava cambiando....la bimba stava iniziando ad intrecciare relazioni amicali con taluni compagni di classe e mentre un tempo, preferiva i contatti con gli adulti, iniziava , ora, ad uscire il pomeriggio, a giocare con le bimbe dei vicini. Il suo rendimento scolastico andava decisamente migliorando, destando la meraviglia di tutte le insegnanti. Acquisiva nuove abilità, a lei sconosciute che poi trasferiva nell'esperienza scolastica. Si iniziava a stare a tavola, tutti insieme, amabilmente a conversare. In quei momenti la bambina era speciale, in modo particolare quando c'erano ospiti. Sono innumerevoli le circostanze che potremmo ricordare, in cui ricevevamo complimenti e felicitazioni per la sua prontezza. I vicini , di lei, apprezzavano i bei modi gentili. Aveva un saluto per tutti. Ci divertiva molto sentirla scimmiottare espressioni colte da noi. Insomma, tutto il vicinato le voleva bene. Piano piano aveva cominciato ad andare a scuola da sola. La mandavamo anche a fare, quindi, qualche piccola commissione, e l'indomani chi l'aveva incontrata aveva qualcosa di carino da raccontarci. La domenica andava a messa con la nonna Paola, con la quale aveva un rapporto speciale: era lei che le preparava il panino tutti i pomeriggi, da lei scendeva per vedere la televisione che noi non abbiamo. Con lei faceva delle grandi chiacchierate. Le raccontava del papà, della sorella, della mamma e dei nonni. Con l'approssimarsi della solennità della Prima Comunione, la bambina, come tutti i suoi compagni nutriva grandi aspettative per quel giorno. Tutti non facevano che ripetere che lo avrebbero vissuto in modo speciale. Sarebbero andati chi in campagna, chi in un lussuoso ristorante, chi al mare e così via. Lei manifestò, così, il desiderio di avere per quel tanto importante, la presenza della mamma, della sorella e dei nonni. Ci facemmo così interpreti dei suoi desideri, e girammo la richiesta ai servizi sociali un mese prima della solennità. La risposta non arrivava nonostante le nostre rinnovate richieste. La bambina, era inquieta; sapeva che la decisione non spettava a noi. Arrivammo così alla vigilia. Lei ci disse: mi basta un panino al bar, ma con la mamma, mia sorella ed i nonni. Chiamammo, cosi, per l'ennesima volta l'assistente sociale. La loro presenza fu consentita nello spazio temporale della cerimonia in chiesa. Poi una foto ed ognuno a casa propria. Mi ritrovai così a consolare il nonno piangente sul sagrato. La giornata che appariva compromessa divenne invece motivo di gioia, dopo aver individuato all'ultimo momento un'idea felice per trascorrerla. Il giorno successivo manifestammo con fermezza il nostro disappunto per quella scelta adottata dai servizi. Da quel momento diventammo inadeguati. La denuncia della somministrazione di psicofarmaci alla sorella e quest'ultimo episodio ci fecero apparire agli occhi degli operatori non più rispondenti alle loro aspettative. Da quel momento l'assistente sociale ci negò il saluto. ... più avanti pagheremo lo scotto delle nostre prese di posizione Quell'episodio rappresentò per la bambina un momento chiave. Da quel momento fece un ulteriore grande passo avanti grazie alla complicità che si era instaurata. C 'erano ancora quei momenti ma andavano scemando, e quando accadevano, dopo una lotta corpo a corpo a terra con mamma Giovanna il tutto finiva in un pianto ristoratore. Ultimamente si ritrovavano entrambi a piangere abbracciate. Poi la bimba chiedeva scusa. Alle soglie della pubertà, io e Giovanna iniziammo ad interrogarci sulle nostre capacità di affrontare l'adolescenza della bambina. Saremmo stati in grado di fronteggiare da soli quella delicata fase? Ci inquietava ma allo stesso tempo, sapevamo di voler continuare ad essere per lei una presenza costante nel tempo. Dopotutto noi eravamo diventati mamma Giovanna e papà Omero, così come peraltro gli operatori avevano auspicato redigendo il progetto per la bimba. Vedevamo nell'inserimento della bambina presso una comunità, con il rientro nei fine settimana, e durante le vacanze, la più idonea delle soluzioni. Esponemmo, quindi, la nostra riflessione agli operatori che, approvarono. Questa delicata fase sarebbe iniziata gradualmente, per andare a regime dopo qualche mese. Quando a Gennaio del 2007, in dirittura d'arrivo dell'anno scolastico (la bimba frequentava la quinta elementare presso le scuole di Laghetto-Vicenza), ancora non c'era all'orizzonte una via percorribile, iniziammo a preoccuparci. Quanto più si avvicinava la fine dell'anno scolastico tanto più l'allontanamento sarebbe stato vissuto come uno strappo....... Quei mesi volarono. La bambina fece il suo primo incontro con la comunità il 14 giugno ed il 15 vi entrò, senza più uscirne. Uscì di casa la mattina del 15 giugno stringendo in pugno, la coroncina che la nonna Paola le aveva messo tra le mani e, con un angioletto appeso al collo, che mamma Giovanna aveva comprato pochi giorni prima. Un secondo angioletto, uguale, se lo appese al collo Giovanna. In questo modo , il dolore per la lontananza, sarebbe stato affievolito. Quella mattina, c'eravamo tutti ad accompagnare la bambina a Calvene, in comunità. C'erano anche Marcello, Gianmaria in carrozzella ed i cani Lussi e Figaro. Quando fu il momento di lasciarci, lei scompigliò i capelli di Gianmaria, così come aveva visto fare la nonna Paola per cinque anni. In questi nove lunghi mesi abbiamo visto la bambina una sola volta, per un'ora: il 2 agosto, presso i servizi sociali di Vicenza. Improvvisamente i ruoli si invertirono: gli esclusi non erano più i nonni e la mamma, ma noi. Su di noi scese la notte. Quando chiamavamo i servizi per avere notizie della bimba, ci dicevano che stava bene e non chiedeva di noi. Tutti gli operatori  avevano sempre affermato che non ci sarebbe mai stato rientro in famiglia di origine per la bimba. La dottoressa Moro, in carica fino al 30 agosto, lo aveva anche gridato sulle scale il 14 giugno: Omero, toglitelo dalla testa. Quella bambina non rientrerà mai con la madre. Dietro l'angolo c'era e c'è tuttora per la bimba l'istituzionalizzazione. Sono state vietate le visite anche alle compagne di classe, per mesi. Quando la mamma di una delle compagne si presentò in comunità, con due di loro, per incontrare la bimba, si sentì rispondere da Don Gobbo, referente della comunità, che la bimba non c'era, trascorreva i fine settimana in una località segreta, mortificando il desiderio della signora a ritornarvi. Nell'occasione di uno degli incontri con la psicoterapeuta, la bimba aveva nel frattempo, scritto un biglietto, con la richiesta di farcelo pervenire. Quel biglietto fu poi, invece trattenuto per giorni e giorni, dalla dottoressa Castegnaro. La stessa si affrettò a portarcelo, personalmente, quando la informammo che ne eravamo a conoscenza. Pochi giorni dopo ricevemmo una cartolina, scritta dalla bimba nella quale  scriveva: Voglio tornare a casa perchè non posso stare senza di voi. Presi dallo sconforto telefonammo ai nonni, che non ci avevano mai nascosta la loro gratitudine. Con loro avevamo vissuto un momento di intensa commozione, pochi giorni prima dello strappo. Notammo, però, fin da subito che ci erano  diventati ostili. Con l'inizio della scuola si aprì per noi la sola possibilità di vedere la bimba: piazzarci lungo il percorso del pulmino nel tentativo di catturare il suo sguardo. Dopo pochi giorni, quando gli operatori vennero a conoscenza delle nostre iniziative intraprese, l'assistente sociale Paola Baglioni, ci informò sull'esistenza di una lettera scritta dalla madre nella quale manifestava la volontà che la bimba non potesse vederci. Com'era possibile? La mamma della bimba aveva sempre tenuto con noi un atteggiamento più che cordiale. Ogni qualvolta incontrava la figlia non faceva che ripetere: saluta tutti a casa, dai un bacio a Gianmaria. Ci è stato negato di vedere la bimba anche nell'occasione delle festività natalizie. Dopo estenuanti insistenze abbiamo ottenuto il permesso di chiamare in comunità, il giorno del suo compleanno. Qualche giorno dopo sapremo che la bimba era paralizzata dall'emozione, ed altrettanta ne aveva riconosciuta nella voce di Giovanna. Dopo quella telefonata è stato un susseguirsi di affermazioni e di smentite, di lusinghe ed infine di volgarità pur di distogliere la nostra attenzione dalla bimba, l'assistente sociale ci ha proposto l'affido di una creatura, un bimbo idrocefalo, di 21 settimane abbandonato dalla madre dopo il parto.Aveva appena subito un intervento. Comincia a pensarlo perchè ne ha bisogno, aveva detto a Giovanna, la Baglioni. Giovanna, già all'opera con lana e ferri, per tessere un berrettino aveva risposto: lo sto già facendo da quando me ne hai parlato la scorsa settimana. Due settimane dopo, la Baglioni dirà che si era fatta prendere dall'emotività, che il bimbo era più morto che vivo, che era in vita solo grazie all'accanimento dei soliti medici obiettori clericali, che lei l'avrebbe lasciato alla sua sorte, che doveva subire decine di interventi, che un medico era stato nominato tutore e che infine mai l'avrebbe affidato a noi. Mentre due settimane prima aveva affermato che la nostra esperienza nel mondo dell'handicap ci faceva apparire adeguati a prenderci cura di quella povera creatura, della quale ci aveva fornito le generalità,dirà poi che non lo siamo ne per lui, ne per altri. Avete lavorato bene fino al quarto anno (episodio Prima Comunione); dopo di che vi siete sovrapposti agli operatori, dimostrandovi inadeguati. Nelle settimane a cavallo dello strappo, la dottoressa Moro, ci aveva proposto una collaborazione a Caldogno ed un'altra poi al villaggio sos. Avevamo iniziato a fare affido prima ancora di sostenere il consueto corso. Era stata proprio la Baglioni a catturarci nel 2001 quando noi le avevamo chiesto un aiuto per dare un sollievo alle giovani coppie che si trovavano a fronteggiare la nascita di un figlio portatore di handicap.. Ad oggi, la bimba è sotto ricatto. Se ci vedrà, la mamma non la premierà.......non si sta per sempre in comunità.. ci aveva detto la bimba il 2 agosto. Sembra invece che Don Gobbo abbia affermato che possa essere trattenuta fino al ventunesimo anno di età. Se dovesse rientrare in famiglia d'origine, noi saremo i primi a gioirne. Una cosa è certa, non tollereremo che la bambina diventi una voce di bilancio della cooperativa Radica. Così come non siamo disposti a tollerare il comportamento indecente della dottoressa Baglioni, che da un lato riabilita la figura della madre, dall'altro però, la deride nei corridoi, riportando aspetti che riguardano la vita intima di quella donna. Quando, infine, Omero incontrò casualmente i nonni, all'interno di un negozio, del quale è cliente abituale, chiese loro spiegazioni sul loro immotivato risentimento nei nostri confronti. Il nonno prese ad insultarlo, con epiteti quali: scemo, disonesto, ladro di bambini, minacciando di rompergli la faccia. Dopo un tentativo di ricondurlo alla calma, se ne andò, con la faccia “rotta pubblicamente”. Ora, ci sembra evidente che i sentimenti espressi con tanta virulenza dal nonno sono stati alimentati da altri ....... lo stato di svantaggio sociale in cui si trova la bimba e la sua famiglia, cavalcato dagli operatori del servizio affidi, non può diventare un alibi per garantire un posto letto coperto alla cooperativa Radikà, alla quale il comune di Vicenza e l'ulss 6 riconoscono una retta giornaliera prossima a 120 euro/giorno. La legge 149/2001 assegna ai servizi affido il compito di facilitare il dialogo fra la famiglia di origine e la famiglia affidataria, non di mettere l'una contro l'altra. La legge 149/2001 nata per dare a tutti i minori in difficoltà una famiglia, ha visto invece crescere a dismisura comunità e case famiglia, particolarmente in Veneto dove 2 minori su 3 sono in comunità. La regione Piemonte attraverso politiche virtuose, ha fatto precipitare in pochi anni il numero degli inserimenti in strutture. Solo un minore su tre, infatti, è collocato in comunità.Lo stato spende oggi più di 500 milioni di euro/anno per tenere i minori lontani dai loro affetti. Il Veneto ne spende da solo 24 milioni. Sia rivalutato il ruolo della famiglia affidataria, come ha saputo fare la regione Piemonte. I bambini non possono finire nelle mani dell'industria della solidarietà.Ho chiesto al nuovo assessore ai s.s. di Vicenza, GIULIARI: Assessore, lei non  crede che sarebbe opportuno cominciare a chiudere qualche comunità/casa  famiglia se non vogliamo che la lotta all'istituzionalizzazione che ad ogni convegno viene puntualmente evocata, rimanga lettera morta?.... Sig.  Faggionato, se lei avesse un figlio dipendente di una cooperativa sociale non si preoccuperebbe che potesse perdere il posto di lavoro??....Riporto di seguito uno stralcio di uno scritto indirizzato al Pubblico Tutore dei minori della regione Veneto. Lo faccio nella remota speranza che questo tema esca dal ghetto nel quale è coattamente relegato. ..........non disponendo della possibilità/facilità di accesso all'informazione riconosciuta/spettante ai titolari delle risorse destinate al settore famiglia-­minori, è anche possibile che nostre affermazioni cadano alla stregua di strafalcioni. E' un rischio che corriamo volentieri.Fateci capire.Se riconosceremo di aver offeso qualcuno, faremo pubblica ammenda.Don Gobbo (ex presidente CNCA del Veneto) si è risentito perché gli ho detto che ha un'azienda cui pensare.Non è forse vero? Oggi il privato sociale parla inglese, come un'aggressiva azienda della new economy. Assume educatori, con contratti a termine, mercanteggia con i  dirigenti dei servizi territoriali importi delle rette, e con un po di puzza sotto il naso snobba quelle strutture, concorrenti, che si pongono sul mercato con condizioni troppo vantaggiose, commissiona analisi di mercato, assume neo­laureati, poco più che ventenni, con contratti a progetto, alla guida di reparti strategici quali le relazioni esterne, risorse umane, ecc.. Riceve elargizioni dalle fondazioni bancarie che attraverso i loro istituti operano nei mercati finanziari emergenti, caratterizzati da assenza di welfare e reti di tutela, lavoro minorile, quando addirittura non implicati in scambi legati agli apparati bellici. Per contro. Sembra pensare in russo, cinese:Stanno sotto un tetto che non è loro, mettono insieme il pranzo con la cena grazie alle rette di comuni ed ulss, (120 euro al giorno con una copertura media di 8 minori, sono circa 30.000 euro al mese), costringono i loro educatori a scendere in piazza per avere lo stipendio, dopo avere magari marciato a fianco di rappresentanti sindacali contro la precarietà, la flessibilità, hanno ai loro poggioli le bandiere arcobaleno per il disarmo, e la pace universale. Fateci capire.Salvo poi dividere a fine anno i residui, fra i soci, perché hanno scelto un regime fiscale che glielo consente.Fateci capire. Contestualmente, non pongono alcun velo alle loro criticità nei confronti dell'affido familiare, dopo essere stati attori nei piani di zona.Fateci capire.Piani di zona e costituzione centri per l'affido. Quali sono gli attori? In nome di chi agiscono? Le conferenze dei sindaci, in nome di chi agiscono? La politica locale poco o niente conosce in tema di affido. Certamente per i 39 comuni, che sottoscrivono la delega è più comodo pagare qualche retta, e lasciare che siano altri ad occuparsene.I cittadini lo sanno? Chi autorizza il sindaco xxxx a sottoscrivere una cambiale in bianco a nome di decine di migliaia di contribuenti che ne diventano ignari debitori? Come potete parlare di lotta all'istituzionalizzazione? Don Gobbo al tavolo, attraverso una sua emanazione –Giudici tutelari che sono al contempo presidenti di comunità – rete di tutori volontari costituiti prevalentemente da operatori dei servizi territoriali – sindaci con cento e oltre tutele su di sé ­ dirigenti dei servizi che hanno affermato di subire le iniziative dell'ufficio da lei presieduto.­ Ancora.I medesimi dirigenti che una volta usciti dal servizio per il quale ed in nome del quale hanno abbracciato linee guida approcci, intendimenti, cambiano casacca ed indossano quella della nuova AZIENDA, che vanno a dirigere).Come potete, ai convegni, evocare la necessità di scelte omogenee se ciò che andava bene qui non va più bene lì, domani, semplicemente perché è cambiato il detersivo. Ribadiamo COME POTETE perché naturalmente noi ci chiamiamo fuori nonostante il Dr.xxx, la dr.ssa xxx si siano accomiatati dicendoci andate avanti con questa iniziativa dall' ALTO VALORE CIVICO. Nel frattempo, mentre noi ci dilunghiamo in questa fastidiosa querelle, mentre il privato sociale attraverso le varie sigle che lo compongono lancia ai convegni proclami in nome ed a tutela dei bambini sfortunati, proclami che paiono sempre più slogan svuotati di ogni significato dove il solo messaggio sembra essere “le nostre comunità lavano più bianco”, un'anonima maestra è in questo momento protagonista di una bella storia; una storia che a dispetto della società liquida nella quale noi tutti sembriamo essere sprofondati, lancia un raggio di luce, fra le molte ombre di cui troppi operatori sembrano alimentarsi. Si tratta di una mamma, rimasta sola, trovatasi all'improvviso a fronteggiare una momentanea difficoltà economica, con un bambino in età scolare.Quante vicende analoghe, sono sotto gli occhi di chi ha occhi per vedere, quotidianamente? Noi tutti sappiamo che oggi le difficoltà economiche costituiscono una fra le prime cause di allontanamento di minori dalle loro famiglie. Paradossalmente, da un lato ci si pone come paladini difensori dei più svantaggiati, con proclami sui portali web, dall'altro però si approcciano questi “casi” con un atteggiamento “punitivo”. Ebbene, l'anonima maestra, lungi dal segnalare zelantemente il “caso” agli organi preposti, ha coinvolto alcune mamme volonterose della classe, si sono rimboccate le maniche, si sono sporcate le mani, e stanno conducendo la sfortunata o meglio, “fortunata” mamma fuori dal tunnel. Quale miglior esempio di spontanea applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale. Ognuna di quelle mamme, e quella maestra (che DIO LA BENEDICA), deve aver in cuor suo affermato:L'état c'est moi. Questo, se ci è concesso ricordarlo, è il medesimo sentimento che animò Giovanna sei anni fa, quando si propose, per un affiancamento nei confronti della madre della bimba. E' lo stesso moto che sta muovendo la giunta regionale Piemonte, e la giunta comunale di Torino, che attraverso iniziative coraggiose, stanno da un lato facendo scuola, dall'altro suscitano la levata di scudi dei dirigenti del privato sociale (leggasi la lettera aperta della dr.ssa Cesarini del CNCM).Noi pensiamo che sia intollerabile che temi quali la cura e la tutela di bambini, bambine, ragazzi e ragazze continui a rappresentare una sorta di “riserva protetta”, all'interno della quale solo distratti sindaci, operatori dei servizi territoriali, giudici onorari, ordini professionali, agiscono indisturbati.Omero Faggionato, ANACRUSI - associazione di promozione sociale, 0444927611 – 3384296616