IL CUORE DI ALBERTO

INCHIESTA DI PANORAMA: AUMENTANO I CASI DI BAMBINI SOTTRATTI AI GENITORI


INCHIESTA DI PANORAMA: AUMENTANO I CASI DI BAMBINI SOTTRATTI AI GENITORI. ED È ALLARMEdi Marcella Andreoli14 LUGLIO 2000"I figli sono la vita" sussurra la madre. "I figli sono nostri" declama il padre. Eccoli, i genitori ritenuti incapaci di curare i loro due fanciulli, 14 e 6 anni, che sono stati allontanati da casa dal tribunale per i minorenni di Trieste. Anna e Jim (li chiameremo così), operai, si erano conosciuti e sposati in Inghilterra, lei napoletana immigrata nel Kent, lui un irlandese dallo sguardo fisso. Poi erano arrivati a Casarsa, terra friulana di Pasolini, poco lavoro e molti problemi. Era lunedì 3 luglio quando le assistenti sociali avevano bussato ancora una volta alla loro porta, casa popolare nè linda nè sporca. "Non voglio andare via" ha detto il ragazzo più grande, sottratto ai genitori perché considerato obeso: 80 chili, è vero, ma è alto più della sua età. Si è messo a piangere il più piccolo. Per loro fortuna, questa volta sono finiti presso una famiglia e non in un istituto, com'era invece accaduto sei anni fa. Nel 1994 la madre aveva chiesto aiuto ai vicini: una vena di depressione, liti col marito e pochi soldi. I vicini avevano avvertito i carabinieri e i carabinieri le assistenti sociali. Decisione presa d'urgenza: via i figli da casa. Il secondo aveva solo sette mesi. Un caso come tanti: sono quasi 15 mila i minori che vivono nelle comunità, quasi 6.500 a causa dei problemi economici della famiglia. Sono circa un migliaio all'anno i bambini che vengono dichiarati adottabili, un quarto contro il parere dei genitori. E quasi 2.500 quelli dati in affido. Per conto di Anna e Jim era intervenuto un avvocato tenace, Annalisa Del Col, di Pordenone, che riusciva a mettere alle strette i giudici. "Signori del tribunale per i minorenni" argomentava il legale "nei bambini sottratti non c'è traccia di violenze, di soprusi. Perché volete tenerli lontani dai genitori?". I bimbi ritornavano a casa. Era il 1998. L'impatto non è facile, dopo quattro anni di vita in istituto. Il più piccolo, ovviamente, non ha "introiettato" la figura materna. Il più grande a scuola si applica con fatica. A volte lancia grida che le assistenti sociali, nelle loro relazioni, definiscono "ululati". "Faccio così per attirare l'attenzione dei compagni" spiegherà il ragazzo all'avvocato Del Col. Ma è troppo tardi. Si è già rimessa in moto la macchina giudiziaria: i pareri delle assistenti sociali finiscono al tribunale per i minorenni. I genitori non collaborano, sostengono costoro. Non vengono da noi per i consulti. La madre è troppo protettiva, il padre troppo rigido. I ragazzi sono vestiti male, forse nemmeno si lavano... E il figlio più grande è sovrappeso. Dunque? Dunque, via da casa un'altra volta. Inutilmente l'avvocato ricorre. Riesce solo a guadagnare tempo: i ragazzi verranno allontanati al termine della scuola, appunto il 3 luglio. La Del Col, come tutti i difensori nei processi per affidi e adozioni, sa che il suo potere è monco. Non c'è contraddittorio tra accusa e difesa. Non esiste un avviso di garanzia per cui il genitore sa che contro di lui si sta procedendo per sottrargli il figlio. Il tribunale decide d'ufficio. "Spesso siamo nell'impossibilità di portare prove a discarico" afferma l'avvocato. "Non abbiamo nemmeno diritto ad avere copia degli atti, delle perizie fatte sui nostri clienti". In nome della privacy, si sostiene. Ma non soltanto. La filosofia è questa: tutela prioritaria e assoluta del minore a scapito di tutti gli altri, anche dei genitori considerati soggetti passivi. Dunque: via da casa il figlio grassoccio, il figlio costretto a seguire la dieta vegetariana, il figlio troppo amato dalla madre rimasta sola ed eccessivamente apprensiva. Sotto tutela giudiziaria il minore cui i genitori impongono la cura Di Bella a scapito della chemioterapia. Stessa sorte per il bimbo bisognoso di trasfusioni aborrite da padri e madri seguaci di Geova. Oppure, sottrazione della piccola Martina, affidata temporaneamente a una coppia di fatto di Grosseto, per consentirne l'adottabilità a genitori regolarmente sposati. La cronaca è ricca di casi che spesso destano perplessità. L'ultimo e purtroppo tragico è avvenuto pochi giorni fa, nella notte di venerdì 7 luglio, a Milano. Un operaio di 37 anni, cui erano stati tolti i figli, un bimbo di 5 e una bambina di 7 anni, si è impiccato. È il secondo caso che accade a Milano. Il tribunale per i minorenni aveva espresso parole severissime contro di lui e la moglie con la quale viveva. Li aveva definiti "genitori incapaci di prendersi realmente cura dei figli" i quali "appaiono come bambini fortemente deprivati e manifestano seri sintomi di malessere". Una sequela di giudizi trancianti che impressiona per la sua ripetitività. In tutti i provvedimenti dei tribunali per i minorenni ricorre la formula "incapacità di svolgere adeguatamente il ruolo genitoriale", premessa per allontanare i bambini da casa e aprire per loro la strada della adottabilità. "I giudici non possono difendersi dalle accuse. Per farlo dovrebbero squadernare i motivi che li hanno spinti a prendere decisioni anche pesanti: spiegare che il genitore X soffre di turbe gravi, che nell'intimità della casa si sviluppano pericolose dinamiche" annota Mario Cicala, già presidente dell'Associazione magistrati. La stessa cosa sostiene Paola Rossi, presidente dell'Ordine nazionale degli assistenti sociali, 30 mila in tutta Italia. "Le assistenti lavorano coscienziosamente ma spesso vengono messe all'indice dai mass media. Se un bimbo viene sottratto ai genitori la colpa viene addossata soltanto a loro". La presidente Rossi ha sollevato il problema con il Consiglio superiore della magistratura: i giudici smettano di instaurare rapporti diretti con la singola assistente sociale. Dialoghino, invece, con i servizi sanitari nel loro complesso. Marcella Andreoli