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I Racconti di Guarneri Cirami: Un Fiore sul Precipizio


“L`amore é un bellissimo fiore, ma bisogna avere il coraggio di coglierlo sull`orlo di un precipizio…” (Stendhal)Non sembrava neanche Natale quell’anno! Storia vecchia in verità! Carlo si era ormai abituato a quelle vigilie trascorse in solitudine: da quando Marta era andata via, per prendere un insegnamento al nord, durante i lunghi anni del precariato; da quando erano morti i suoi genitori, in quel terribile incidente stradale, che non avrebbe mai più rimosso dalla sua memoria. Il senso di colpa continuava, infatti, a torturarlo: era lui alla guida della vettura finita fuori strada; seppur le indagini avessero successivamente dimostrato la sua innocenza. Il consulente di parte, ad ausilio della sua memoria svanita, era riuscito infatti a ricostruire la dinamica della disgrazia: Carlo aveva sterzato, per evitare lo scontro frontale con una autovettura proveniente dalla corsia opposta; ma non era riuscito a controllare il suo mezzo a causa delle condizioni viscide del fondo stradale. Egli, sorseggiando l’ennesimo caffè (sosteneva che la caffeina gli facesse passare il mal di testa), guardava ora, con aria delusa ed occhio critico, l’albero di natale che s’era deciso a tirare fuori dalla soffitta. L’Albero della sua infanzia, gigantesco e luminoso, che un tempo aveva ammirato con un’espressione di meraviglia e col naso all’insù, gli appariva, infatti, infinitamente piccolo, scarno, oscuro e privo di senso, come l’intera sua vita adulta. Non c’era nessun regalo da scartare ai suoi piedi, nessuna cosa da donare per lui che, un tempo, aveva provato gioia nel pensare sorprese e frasi d’amore per i suoi cari perduti. Perduti! Esseri che, pure, aveva creduto immortali abitatori di quel cerchio magico ed invulnerabile, di cui un malefico mago aveva d’improvviso rotto l’incanto…Carlo si era alzato, ma invano aveva teso la sua mano: nessuno l’avrebbe accolta tra le sue, tirandolo con forza fino al proprio cuore, per cancellare in un attimo, con un bacio una carezza, il suo scoramento. Non c’era speranza per lui, al di là di quella notte nera, che gli urlava contro, scuotendo le fronde e le imposte, come una schiera di fantasmi maligni. Fu in quel momento, però, che accadde l’inverosimile. Volò fino ai suoi piedi, da uno dei rametti dell’albero, un bigliettino... Meravigliato Carlo si chinò a raccoglierlo, e iniziò a leggerlo col cuore che gli sussultava in petto e gli occhi che gli si velavano di commozione. Era la grafia di Marta, che citava Stendhal “L`amore é un bellissimo fiore, ma bisogna avere il coraggio di coglierlo sull`orlo di un precipizio…” E a lui, ad un certo punto, era mancato il coraggio! Era successo al tempo della partenza di Marta alla volta di Bergamo, quando Carlo aveva deciso di rimanere al paese per intraprendere la scuola di teologia: cosa che, secondo i suoi calcoli, gli avrebbe dato, col tempo, la possibilità di ottenere una cattedra di ruolo per l’insegnamento della religione. Marta, pur non manifestando il suo scontento, era rimasta delusa da quella decisione: avrebbe voluto Carlo su con lei a condividere quella vita difficile, piuttosto che sognarla “ricca e gratificante”; piuttosto che raccontarsela, in straripanti fiumi di frustrazioni e sospetti, nelle loro avvilenti conversazioni telefoniche, o in quegli incontri mensili, dove attimi di dolorosa eccitazione, di sesso disperato e frenetico, sembravano poter appagare la solitudine fisica dei loro corpi, senza tuttavia colmare la spirituale solitudine delle loro anime, che si allontanavano ogni giorno di più, lasciandoli senza speranza, impantanati nella precarietà desolante delle loro esistenze. Se Marta, con romantica incoscienza, avrebbe voluto abbandonarsi tra le braccia della Provvidenza, Carlo ripeteva la solita solfa “Due precari come noi non possono permettersi un matrimonio, e tanto meno dei figli…” La gravidanza di Marta aveva, alla fine, rappresentato il precipizio dal quale Carlo si era codardamente allontanato, preferendo non cogliere quel fiore che avrebbe salvato la sua esistenza dal fallimento, generando, in luogo di una creatura, un altro dei suoi crudeli fantasmi, un altro dei suoi rimorsi; dando vita all’edificante maschera del maestro di religione, dell’educatore, lui che, con premeditazione, pagando un ospedale, corrompendo la candida anima della sua ragazza, aveva rinunciato alla responsabilità di essere padre e negato a Marta la felicità di essere madre. “Perdonami, perdonami Marta…cosa darei per cancellare tutto questo male, e ricominciare da capo…magari da quella festa, ricordi..?” Si era deciso, infine, a scriverle un messaggio, dopo mille tentennamenti, su facebook… Era il Natale di un anno che adesso gli appariva lontanissimo (il 1989, l’anno precedente alla scomparsa dei suoi…), e Carlo avevo organizzato una serata proprio in quella stanza che ora egli trovava tanto desolata: luogo ideale per la dimora dei suoi fantasmi…Carlo aveva proprio pensato a tutto in quell’occasione: palloncini attaccati al tetto, festoni rossi alle pareti, il giardino illuminato, con l’abete decorato di palle e luci colorate, che splendeva al centro della sala. “C’era tanta bella gioventù” quella sera, come diceva la sua povera madre. Ed era, forse il ricordo della gioventù perduta, così chiassosa e spensierata, a rendere indimenticabile quella festa nella memoria di Carlo. La più bella festa della sua vita, come si sarebbe raccontato in seguito con una punta di malinconia: la notte in cui si era innamorato di Marta… Il suo primo ed unico amore! Marta era una biondina attraente, magra e slanciata, di sedici anni, coi capelli a caschetto e gli occhi chiari, iscritta al primo anno del Liceo Classico. Carlo aveva qualche anno più di lei, frequentava già l’Università. Mentre i ragazzi del gruppo giocavano a carte, i due amici se ne stavano seduti in disparte, nell’angolo del camino, rapiti in una di quelle conversazioni allegre ed intriganti, che spesso sono il preludio di una storia importante. Il fuoco crepitava con insolita esuberanza, generando folletti che incendiavano i loro cuori. Essi ascoltavano della musica: “Le Quattro Stagioni di Vivaldi”, che Carlo aveva regalato a Marta, con grande meraviglia e commozione della ragazza. Gli altri amici li guardavano maliziosi, e già giravano delle storie su di loro. Ma essi erano troppo coinvolti in quel loro inconsapevole gioco di seduzione per accorgersi degli altri. Marta, coi suoi occhi grandi e splendenti, rideva ad ogni cosa raccontata del giovane Carlo, finché non venne via la luce…Il contatore era in garage. Fuori faceva un freddo cane, e quando Carlo si avviò per uscire, Marta volle per forza prestare all’amico i guanti e la sciarpa. La notte era scura e non c'era neanche una stella in cielo; o meglio, una stella c'era: era caduta sulla terra proprio dietro le spalle del fortunato ragazzo. Marta, infatti, lo aveva seguito fino al garage… Ella, un po’ brilla di spumante e martini, danzava e rideva, prendendolo teneramente in giro, nel caos dei mille confusi pensieri, tra i quali Carlo cercava, disperatamente, poesie per gli occhi di lei, ed una frase per farla innamorare. Ma, alla fine, non gli disse niente, e farfugliò soltanto “Dio come sei bella, Marta...” E chissà come se la ritrovò, meravigliato, tra le braccia. Si baciarono, e Marta sussurrò, come cantando; “Ti voglio bene, scemo…” La sua lingua era come un dolce frutto d'estate nella bocca del giovane Carlo... e fu come se in quegli attimi, che gli parvero eterni, Marta gli donasse tutte le speranze, tutta l'allegria e tutta la bellezza del suo giovane corpo in fiore! Quando ritornarono dentro casa, rossi ed euforici com’erano, i due non fecero neanche caso agli sguardi interrogativi e maliziosi degli amici. Come storditi, completamente presi da quella situazione surreale, da commedia americana, essi si avvicinarono allo stereo e, nel raggio limitato di un mattone, ballarono un indimenticabile “lento d'amore”, di quelli che si ballavano una volta: stretti stretti su una romantica melodia... “Quella sua maglietta fina/ tanto stretta al punto che mi immaginavo tutto/ e quell'aria da bambina/ che non gliel'ho detto mai ma io ci andavo matto..” Era l’incipit d’una famosa canzone di Baglioni….E Marta, abbandonata tra le sue braccia, fu gioia segreta e sofferenza per il suo corpo impacciato ed eccitato; fu brace ardente per i suoi nervi malati d’amore e d’infinito… La verità (terribile verità!) era che non l’aveva mai dimenticata! Aveva frequentato tante donne dopo Marta, ma solo per distruggere, per distruggere l’ossessione di quel giovane amore perduto, per dimenticare il suo rimorso, senza alcuna speranza di una vita nuova. Le lacrime di Carlo si fondevano ora con i fili della pioggia che era scesa abbondante e silenziosa per tutta la giornata della vigilia, profumando di sé la campagna abbandonata al rigore di un inverno freddissimo, per materializzarsi, infine, sui vetri degli infissi, in un alone gelato di vapore, soffuso a tratti dalla intermittente luce di viaggiatori sconosciuti…Da un baule aveva tirato fuori la sciarpa e i guanti: il ricordo s’era impossessato dei suoi stessi sensi, ed essi gli odoravano ancora della lavanda di rose, della fresca pelle di Marta… Sciami di melodie e risate lontane arrivavano a tratti a ridare speranza al suo cuore triste: ma si spegnevano presto, assorbite nel rombo di un motore in fuga, lasciandolo nell’echeggiante vuoto della sua anima, della sua irragionevole attesa. Ma era da stupidi illudersi che qualcuno si potesse fermare a quel suo cancello: i suoi amici si erano, infatti, “sistemati” tutti lontano dal paese, a far carriera nell’industrioso nord, lasciandolo solo nell’ostinata attesa di una luce di verità su se stesso, agli eterni vaniloqui del suo ovattato mondo provinciale, della sua piovosa ed umida “cittaduzza”. Ma non poteva certo imputare al “fato” la sua “mancata riuscita”: era stato lui a non voler lasciare quel suo paese di cocci dipinti…come se un veliero con un nome sognante, invece di affrontare il mare aperto, finisca per trovarsi arenato alle petrose sponde di uno stagno, tra canne, vipere ed una miriade di noiosi insetti. Aveva sempre pensato a se stesso, come ad un “sentimentale” innamorato della sua terra, che per affetto verso i suoi genitori aveva rinunciato ai suoi sogni di infinito, riducendosi ad un’esistenza “minima” tra quegli “ermi” colli, con un lavoro monotono e frustrante, che non lo appassionava, dove tirare avanti era “il minimo sindacale”. Ma forse era stato ed era solamente vigliacco e pigro, una povera anima malata di immaginazione…Come invidiava la “padronanza di sé” dei suoi giovani studenti – “idee chiare e dritti allo scopo”-, che, iscritti alle università del nord, ora gli mandavano cartoline da Parigi, Londra, Madrid, ed erano così diversi da lui, che si era fatto sempre governare dai suoi sogni impossibili…. Tuttavia una macchina si era fermata vicino al cancello e ne era sceso qualcuno che, illuminato dalla luce gialla dei lampioni, dai tratti della figura esile e dalla sua andatura, parve a Carlo essere una donna. Con sorpresa dell’uomo, quella figura ora, dopo aver vinto la rugginosa resistenza di un anta del cancello, ed essersi concessa qualche attimo di dubbio all’inizio del vialetto, si dirigeva con passo risoluto verso la sua casa. Man mano che si avvicinava, Carlo notò, sempre con l’aiuto dei lampioni, che portava un trench, forse di colore blu, ed un cappellino impermeabile tondo, da cui fuoriuscivano delle ciocche ribelli. Un pensiero allora afferrò il suo cuore mettendolo in agitazione. Che fosse lei, Marta? Che avesse letto il messaggio..? Si erano incontrati, un mese prima durante la festività dei Morti all’ingresso del cimitero del paese, dopo quasi vent’anni di silenzio. Un incontro molto formale in verità: un sorriso imbarazzato, una stretta di mano, delle considerazioni banali sul tempo, sulla festa, su come il paese si espandesse in modo prodigioso verso sud; qualche ragguaglio sui propri rispettivi lavori, senza però toccare le loro vite personali, affettive, anzi sfuggendo decisamente da ogni cosa che potesse anche lontanamente ricordare l’emisfero dei sentimenti. Aveva poi saputo, da amici comuni, che lei non si era mai sposata, dopo alcune storie sfortunate…”La verità è che Marta non ti ha mai dimenticato…rimarrà una zitella, credimi, se tu non ti darai da fare..” Così aveva sentenziato Maurizio, il suo migliore amico, sposato da vent’anni con la migliore amica di Marta. Carlo ci aveva fatto su una risata, ma la verità è che non si era più tolta più quell’idea dalla testa, tanto da riscoprirsi “segretamente e disperatamente innamorato” non più di un fantasma, ma della donna sconosciuta veduta al cimitero: da qui la romantica idea del messaggio su fb; da qui l’idea di voler attribuire a quel bigliettino di Marta, caduto dall’albero dopo ben quattro lustri, un significato divinatorio…Ma alla fine di quel suo convulso ragionare, Carlo concluse che la visitatrice non poteva essere Marta, quanto piuttosto una delle sue pietose alunne, preoccupate per lo squallore della sua vita sociale. Così, quando la sconosciuta suonò il campanello, egli aprì la porta col cuore in gola, tentando di vincere la sua speranza con quel senso di disincanto acquisito nel lungo tempo della sua solitudine. “ Ti decidi a farmi entrare, Carlo, o vuoi lasciarmi qui sulla soglia..?” Marta si era alla fine svelata sotto la luce inghirlandata del portoncino, ed ora rideva dello stupore di Carlo, di quella sua gioia contenuta che, venendo timidamente fuori dal guscio consumato del suo dolore, sembrava paralizzarlo. “Ma cos’è che ti sei messo addosso..? Ah, credo di ricordare…sei stato carino a conservarli!”. Marta si riferiva alla sciarpa e ai guanti che il suo ex aveva indossato dopo tanti anni. Nei suoi occhi ridenti era balenato all’improvviso un lampo di commozione subito repressa. “Comincio a credere, Carlo, che tu mi stessi aspettando..” “Affatto, affatto…anzi non credevo che tu fossi tornata per Natale…” s’affrettò a rispondere Carlo, tentando disperatamente di recuperare una disinvoltura che, per natura, non aveva mai posseduto, mentre si toglieva d’addosso i “galeotti” accessori. “Oh, scusami Marta…è stata tale la sorpresa di rivederti qui…ma entra, entra, ti prego!” La fece così, finalmente, accomodare, togliendole dalle mani i doni che la donna aveva portato per lui: delle stelle di natale ed un pacchetto avvolto in una carta natalizia. “Questi sono per te, Carlo…” “Oh, grazie, ma non ti dovevi disturbare! Io, io non ho niente per te…non ti aspettavo proprio Marta!” “Non preoccuparti Carlo! L’essere qui, in questa casa, dopo tanti anni, per me è il regalo più bello…Dio Mio che emozione!” Marta si guardava attorno, ed il rimpianto di quello che avrebbe potuto essere ora velava i suoi occhi. “Dammi il cappotto, ed accomodati…” le disse Carlo, trafitto anch’egli dall’emozione. “No, non preoccuparti, vado via subito…Sono passata solo per salutarti ed farti gli auguri!” “Ma perché non ti fermi a cena…Certo non aspettarti caviale e champagne…” “Sei solo stasera..?” “ Si, sono solo…ma non solo stasera…” “ Capisco…anch’io, anch’io non ho nessuno! La vita non è andata proprio come ce la immaginavamo, è vero Carlo..?” “ In verità, anch’io ci ho messo del mio…Marta!” “Non è solo colpa tua Carlo! Anch’io, anch’io non ho fatto nulla per…” “Dio Mio, Marta, abbiamo ucciso il nostro bambino…e con lui il nostro futuro, il nostro stesso amore. Non me lo perdonerò mai!” Piangevano entrambi attorno all’albero che aveva illuminato la loro giovinezza e i primi musicali passi del loro amore. Marta tese la sua mano e lui l’afferrò, mentre un tumulto di singhiozzi gli scoppiava nel petto. “ Eravamo così giovani Carlo…ed a un tratto abbiamo perso di vista il nostro futuro, abbiamo perso la speranza! Abbiamo sbagliato…ma adesso è arrivato il tempo di perdonarci, di vivere, o forse per te è troppo tardi..?” “Troppo tardi..? Che dici? Io non ti ho mai dimenticata, Marta!” “Ma sono passati vent’anni, ed io non sono più quella bambina di cui eri innamorato. Ho quarantasei anni, più ricordi che sogni, e tante sofferenze e delusioni strada facendo…” Ad un tratto andò via la luce, e Carlo ne approfittò per prendere Marta per la vita e stringerla a sé. “La luce che va via…come quella sera, ricordi?” disse Marta con la voce arrochita, turbata da quell’abbraccio. “Ma non siamo più i ragazzi di allora, Carlo! Non vorrei fossimo solo degli esseri patetici alla ricerca della giovinezza perduta…” “Non preoccuparti, Marta, io non rivoglio affatto la nostra stupida e superficiale giovinezza. Voglio questa età piuttosto, addolorata e forte, che mi ragiona d’amore con un po’ di sapienza e tanta fiducia in più; che mi chiede amore con una sete ed una fame che allora non conoscevo. Io non rivoglio quella bambina. Io voglio questa donna bellissima che ora sto stringendo tra le mie braccia…” Marta con la falange e la nocca di un dito cercava di cancellare le lacrime attorno agli occhi e scuoteva il capo. “Sarò orribile a quest’ora con tutto il rimmel che mi cola sul viso…” Ma lui non la stava a sentire: gli mordeva i lobi delle orecchie, la baciava lungo il collo, sulla tempia, sulle piccole rughe accanto alla bocca, per poi sussurrarle sulle labbra rosse, che per lui profumavano delle suggestive essenze della lontananza e del desiderio, “sei bellissima e tenera così, ti amo Marta…” “Carlo, Carlo, non facciamo altre stupidaggini...Tu lo sai, vero, che non potremo più avere un bambino? Ho quarantasei anni, sono troppo vecchia ormai...” disse lei, prendendo il viso di lui tra le mani. “ Non importa, non importa Marta...Io ti amo, ho bisogno di te...Mi basta il tuo amore per dare un senso alla mia vita!” “ Sai, Carlo, la scienza medica ha fatto passi da gigante in questo campo: sono riuscite a procreare donne più vecchie di me! Ma per me sarebbe bellissimo poter adottare un bambino, che dici? Questo si che darebbe un senso al nostro amore, al nostro ritrovarsi...” “ Tu mi leggi nell'anima...anch'io desidero adottare un bambino!” “Perfetto! Allora siamo d'accordo!” Risero felici e si baciarono ancora. Corsero poi fuori a riattivare il solito contatore, nel giardino buio e gelato, con un'allegria che non temeva il destino: tanto già la sorte si era presa abbastanza delle loro vite, e il peggio sembrava già passato. Quando rientrarono in casa infreddoliti ed euforici, Carlo sturò una bottiglia di vino bianco: “per riscaldare il cuore” disse! Anche se nessuno dei due sembrava averne bisogno. Marta si era per un attimo negata ai suoi baci: aveva infatti scartato il dono che aveva portato per Carlo, correndo poi verso il dvd. “Cos'hai fatto Marta? Hai aperto il mio regalo? Ma cos'è? Scommetto qualcosa da vedere...” Marta nel frattempo si dava da fare con il telecomando. “Ma non una cosa qualsiasi! Si tratta del tuo film preferito...” “Oh Dio! Ma è...è Casablanca! Grazie, grazie Marta, mi hai fatto davvero felice...” Carlo si era seduto, ma con suo stupore Marta aveva portato avanti il film per poi bloccarlo sul fotogramma del pianista del "Rick's Café Americain". “Suona la nostra canzone, Sam. Come a quel tempo...” recitò Marta, sorridendo a Carlo. Ella ricordava ancora la battuta di Ilsa. “ Non ricordo signora. Mia testa un poco stanca. ..” rispose Carlo, imitando alla perfezione il pianista. “ Allora,” rise Marta, “ fammi almeno ballare! Anche se non è affatto carino che sia la donna a chiederlo...” “Oh, ti riferisci ad uno di quei nostri lenti ormai demodé..? “Proprio a quello...” . Stavano di nuovo legati, come un tempo, nel raggio di un mattone. “Tuttavia se Sam non suona...” disse Carlo, prendendo teneramente in giro la sua compagna. Marta aveva infatti dimenticato di far ripartire il video. “Oh, che sbadata! Rimedio subito...” Così Sam iniziò a cantare: “ You must remember this / A kiss is just a kiss / A sigh is just a sigh / The fundamental things apply / As time goes by. / And when two lovers woo / They still say, "I love you" / On that you can rely / No matter what the future brings / As time goes by...Fuori continuava a piovere, e già suonavano le campane, che annunciavano la nascita del Salvatore. Marta cantava insieme a Sam. “In questa casa ci vuole un presepe...quantomeno una grotta con Giuseppe, Maria ed il bambinello..” fece ad un tratto. “Ci penseremo il prossimo Natale..” accondiscese Carlo. “Allora fai sul serio, Carlo, quando dici che non rivuoi più la tua bambina?”. “ Che sciocca…certo che rivoglio la mia bambina!” Allora Marta salì coi suoi piedi scalzi sulle scarpe di Carlo, come faceva un tempo, e cominciarono la loro lenta rotazione attorno all'albero di Natale, come un unico astro luminoso nella notte fredda...