Creato da guarneri.cirami il 18/07/2009
 

Racconti&altro

Le storie di Alberto Guarneri Cirami: i suoi romanzi, i suoi racconti e il suo teatro.

 

 

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I Racconti di Alberto Guarneri Cirami: Campana Campana

Post n°662 pubblicato il 24 Novembre 2010 da guarneri.cirami
 

Quando Franca Buriani conobbe la verità su suo marito, la bella Firenze le apparve all’improvviso come una città triste e piena d’inganni, dove non avrebbe mai potuto abitare ed essere felice. L’alba, in quell’ultimo giorno del suo breve matrimonio, l’aveva sorpresa attonita, immobile sul letto sfatto, con lo sguardo vagante sulla stesa dei tetti rossi, tra gli antichi campanili, mentre lacrime silenziose parevano commemorare la fine del suo innamoramento, delle sue illusioni. Tullio Forziati, il marito, se ne era uscito infuriato, sbattendo la porta, urlandole contro ogni sorta di cattiveria. Egli l’aveva accusata di essere condizionata dal puritanesimo della madre e degli altri suoi parenti siciliani; scambiando la purezza e l’inesperienza di lei per disamore, il fatto che ella non sapesse assecondare la sua lussuria per freddezza.

Ora - mentre l’imprevista passeggiata notturna aveva calmato i nervi del marito ed il treno delle sei e trenta sferragliava, fischiando e cullando il suo abbattimento, per consegnare all’Ufficio di Livorno un inappuntabile dipendente ministeriale in doppio petto grigio- Franca rideva amaramente di sé, pensando con sgomento che nessuna numerosa ed allegra figliolanza sarebbe mai nata dal letto della sua vergogna. Così, prima ancora che nella sua mente si realizzasse compiutamente l’idea di abbandonare il marito, ella, scappando via da quel letto, si rifugiò nella casta vaghezza dei suoi ricordi…

Franca si rivedeva ragazzina quando, aggrappandosi alle vesti nere della madre, con l’abitino di cotonina bianca corto sulle ginocchia sbucciate ed un fiocco rosa in testa, si arrampicava su, per le antiche scale della sua cittaduzza – Girgenti -, fino alla “Batia Granni”. D’estate, per quelli stessa scala, al fine di propiziare il raccolto, s’inerpicavano, vociando e bestemmiando, accompagnati dai tromboni, dalle grancasse e dai piatti della banda  comunale, uomini dal viso bruciato dal sole.  Con le canottiere zuppe di sudore, con braccia dai poderosi bicipiti, essi issavano, sino alla piana del convento, la grande statua lignea “du Santu nìuru”. Allora, al rullo dei tamburi, una grandine di tozzi di pane raffermo si abbatteva sul viso barbuto del Santo Miracoloso. Sulla piana basolata del convento i fedelissimi portavano sulle spalle i “nicareddi” per far loro toccare la bianca barba del Patrono, mentre gli altri distribuivano profumate rosette di pane benedetto. Nel frattempo i portatori, prima che piatti e tromboni rimettessero in riga l’indisciplinato corteo, s’asciugavano il sudore con dei fazzolettoni colorati, che tenevano legati attorno al capo, ed  entravano all’osteria di “ Peppinu ‘u lurdu” a tracannare lunghe sorsate di vino.

Franca sorrise a quei ricordi, mentre una pioggia improvvisa iniziò a tamburellare sui tetti rossi di Firenze. Ella prese così a girovagare, con la testa che le scoppiava, per l’appartamentino ammobiliato, che il marito aveva affittato, in occasione delle nozze ed in attesa di una migliore sistemazione, in quel vecchio palazzo fiorentino, in via Dei Servi. Il picchiettare della pioggia sui vetri di quell’appartamento, squallido crocevia di tante anonime vite di passaggio, privo della cara memoria familiare, la riempiva d’angoscia. La giovane donna guardò allora l’orologio.  Era meglio cominciare a fare i servizi, pensò, per non impazzire di quel dolore, con la testa ed il cuore che le pulsavano forte in quel vuoto pauroso dentro lei.

Fu a quel punto che le accadde di risentire ancora le voci della sua infanzia. Erano le voci dolci e virili dei suoi zii, il clamore delle loro risa e delle loro zuffe; la narrazione commossa e solenne degli eventi tragici della famiglia che la madre le faceva la sera, mentre l’aiutava a sbrogliare un gomitolo di lana Era “lu sparracìu “ dei suoi familiari, quando, le sere d’estate, torturati dall’afa e dalle zanzare, ansiosi di ricevere sui corpi inceneriti il fresco balsamo della brezza marina, si stava fuori sui balconi fioriti di gerani e gelsomini fino a notte tarda a piluccare uva. In quei momenti le ombre dei grandi lenzuoli, penzolando appesi ad un filo comune sulla stretta via basolata, aleggiavano come fantasmi sui muri sgretolati delle antiche case.

Adesso Franca, per sfuggire alla malinconia, con gli occhi ancora lucidi di lacrime represse per quel piccolo caotico suo mondo perduto, cominciava ad inamidare e  stirare le bianche camicie del marito. Ella rideva rideva amaramente di sè stessa, stranita per quei moti irragionevoli del suo animo. Incredibile, ma vagheggiava il paese natio! Quel paese che, durante la sua adolescenza, le stava così stretto, tanto da sognare che un forestiero la portasse via da lì, verso la libertà di un matrimonio e di una città sconosciuta.

I suoi pensieri rincorrevano l’azzurra corriera di Calogero Lumia, che scendeva traballando lungo la valle degli dei falsi e bugiardi, verso il mare...La valle, illuminata da un tiepido sole primaverile, che scorreva, nei suoi occhi di adolescente, agghindata coi fiori rosa e bianchi dei mandorli...I suoi occhi felici ora rivedevano il mare e si posavano sulla scogliera, dove un tempo aveva confidato a Lidia, la cugina del cuore, la storia di un amore immaginario e felice.

Era estate laggiù, sulla sabbia dorata popolata da una colonia di gabbiani, quando (qualche anno dopo la guerra) aveva detto di no a Mimì Marchica, il suo amico d’infanzia…

Così sentendo sulla sua fronte calda l’alito del suo mare, mentre l’appartamento pareva stillarle dentro il cuore il suo silenzio ostile, Franca all’improvviso decise.

- Potevo maritarmi con Mimì…- si sorprese a pensare sul treno del ritorno.

Aveva preso, infatti il primo regionale che le era capitato. L’importante per lei era andar via da Firenze e scendere giù.

- Non era brutto Mimì, anzi… Ricordo che un sacco di ragazze gli facevano la corte. Ma lui, no, lui era innamorato di me. Povero Mimì!  Ma io glielo dicevo… “Mimì io ti voglio bene come un fratellino, però non ti amo!”

Che assurde idee trascorrevano adesso per la testa confusa di Franca, mentre il treno si avvicinava a Roma, dove l’aspettava lo zio Peppino. Lo zio non le fece domande, ma dalle occhiaie, dai lividi sul collo e sulle braccia di Franca, dal pallore del suo viso, s’accorse subito del disagio e dell’infelicità della nipote.

- Non mi rimproverare zio, – gli disse. - - Lo so, lo so cosa pensavate voi di Tullio. E che vi devo dire, avevate ragione! Lui era un forestiero, un estraneo per me, ma senza sapiri comu, mi pigghiai d’amuri pi iddu...

Ora, mentre attendeva lo zio nella camera a pensione che teneva a Roma, non vedendo l’ora di ritornare al suo miserabile paese, alla vecchia casa di “Bataranni”, si ricordò di un gioco che faceva da ragazzina nel cortile del convento...

- Campana, campana, come si giocava?

Franca rammentava che si lanciava un sassolino in un riquadro tracciato con un gessetto, dove era disegnata una figura, e che poi bisognava raggiungerla saltellando su un solo piede, attenti a non calpestare le linee del riquadro. Ora Franca saltellava tra riquadri immaginari, e rideva pensando alle faccia del marito se l’avesse scoperta in quel suo gioco infantile. Fu in quel momento che avvertì una fitta alla pancia, che la testa prese a girarle. Affannata, la giovane scivolò lungo la parete di carta fiorata e si ripiegò su sé stessa, con le braccia serrate attorno alle cosce, dove aveva appoggiato il suo visino pallido, impaurito.

Oh Dio, era dunque possibile che da quel suo amore breve, brusco, senza dolcezza…

Così passata la prima paura, Franca felice intuì subito di essere incinta e, mentre una nuova speranza rifiorì nel suo cuore triste, ella cominciò ad immaginare il suo bambino…

 

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Commenti al Post:
concetta.ti
concetta.ti il 01/06/11 alle 22:17 via WEB
Ciao, eccomi , bellissimo, toccante questo racconto, Alberto, l'ho sempre saputo che sei bravo!!!
 
 
guarneri.cirami
guarneri.cirami il 03/06/11 alle 20:31 via WEB
Grazie Concetta l'ho scritto con il cuore...
 
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