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Svizzera: la sperimentazione sui farmaci si fa con le cavie umane

Post n°459 pubblicato il 08 Agosto 2013 da arte1245
 

Arrotondare o campare sottoponendosi volontariamente alla somministrazione di farmaci da testare è un espediente lavorativo che pare richiami molti italiani, soprattutto studenti universitari, verso le cliniche della Confederazione Elvetica, a un passo dal confine italiano. I 1200 euro offerti in cambio di 6 giorni di ricovero attirano ogni anno 750 italiani provenienti soprattutto dal Nord della Lombardia.
Sarebbero questi i dati salienti, negli attuali tempi di crisi, di un mercato che per quanto oscuro è stato scoperto da almeno un decennio. Il che la dice lunga sulla sua pre-esistenza. Un mercato che non sarebbe confinato tra i confini svizzeri, né solo europei, ma che sfrutta sempre chi è mosso dal bisogno, dall'ignoranza o dalla sete di un guadagno facile e innocuo, almeno nel breve periodo. Non sono nuove le denunce mosse alle multinazionali dei farmaci di eseguire più della metà dei loro test nei paesi del terzo mondo, complici le amministrazioni e le autorità locali.
La persistenza di un siffatto mercato coi relativi rischi scuote l'ingenuità generale di tutti noi, quando in qualità di consumatori (occasionali o abituali) di farmaci di cui magari contestiamo la sperimentazione farmaceutica sugli animali, non verifichiamo in che misura la stessa passa sull'essere umano, in quali stadi e con quale trasparenza. Ancor prima che la farmacopea, la fitoterapia è nata dall'auto-somministrazione e osservazione degli effetti sull'uomo, poi tramandati da una generazione all'altra.
Balzato di recente alla ribalta, e documentato dalle inchieste condotte da giornalisti (vedi Il Fatto Quotidiano, le Iene) che hanno fatto in prima persona da degenti per testimoniare le modalità d'arruolamento e il decorso dei test, il mercato delle cosiddette cavie umane denuncia un incremento degli italiani che volontariamente si offrono, a fronte di una bassissima percentuale di svizzeri che rifuggono da questa pratica pur avendola a portata di mano.

Il mercato è aperto, tanto che sul web leggiamo anche qualche annuncio di reclutamento pubblicato da una società farmaceutica italiana con sede in Svizzera. Tuttavia, è soprattutto dal passaparola che si arriva al contatto, alla presentazione e infine alla convocazione presso l'Ipas, Institute for pharmacokinetic and analytical studies di Mendrisio, divenendo delle cavie umane.
Vietati in Italia, o almeno ostacolati dall'iter burocratico, i test clinici su soggetti sani sono legalmente regolamentati nella Confederazione Elvetica da almeno un decennio; la stampa italiana (da Repubblica a Panorama) riporta testimonianze del fenomeno che attira persone principalmente dalla Lombardia. A fronte della retribuzione già citata, non è dato sapere quali rischi si corrano, proprio perché il campo degli effetti è quello oggetto d'indagine.
Risale al 2000 la creazione in Svizzera di un registro dei volontari per i test di medicamenti. Uno strumento invocato nel paese dopo che nella primavera del 1999 era scoppiato lo scandalo VTX 981030, nome in codice della sperimentazione di un nuovo epatoprotettore affidato alla società farmaceutica Van Tx, registrata a Fiburgo, sul cui operato la procura di Basilea aprì un'inchiesta per le tante inadempienze: selezioni di soggetti stranieri reclutati peraltro con modalità non sempre documentate, compensi non specificati, consenso dei soggetti incompleto. E si noti che, oltre alle grandi multinazionali, la Van Tx annoverava tra i clienti società farmaceutiche di ben dieci paesi stranieri.

Tornando alle modalità della sperimentazione, i volontari ricevono un'informativa delle procedure e dei rischi cui vanno incontro, e le sottoscrivono. Vengono sottoposti a esami clinici, test per l'aids e per l'epatite, misurazione della pressione e l'anamnesi medica. Affinché la sperimentazione abbia valore clinico, il volontario deve essere sano e non deve assumere droghe né altri farmaci perché deve godere di buona salute e impegnarsi a rispettare le regole della clinica durante la degenza. Il ricovero non potrà ripetersi prima dei tre mesi. Il sospetto legittimo è che l'informazione fornita non sia sufficiente o completa (perché per definizione non può esserlo ciò che è oggetto d'indagine) e che anche altre regole non sempre vengono osservate con rigore.
A quali danni per la propria salute incorrono i volontari sani, non si sa ancora con precisione. Se chi si offre, lo fa volontariamente (talvolta senza essere in bolletta) e dopo essere stato almeno in parte informato, verrebbe da dire, perché preoccuparsi dei rischi cui va incontro? Ci sovviene il tema della tutela dei soggetti più deboli, proprio perché tali, perché si trovano nella condizione di bisogno, per malattia, ignoranza o povertà.
Il diritto all'informazione appare come inaggirabile per chi si affida a quel sistema farmaceutico sempre alla ricerca di nuovi rimedi da testare in fretta, prima sugli animali, poi sui soggetti sani e infine sugli ammalati, tanto più gravemente sofferenti quanto più a rischio di fungere da cavia inconsapevole e non retribuita.

Commenti al Post:
jigendaisuke
jigendaisuke il 08/08/13 alle 18:51 via WEB
volontari sani??? Mi garba poco la cosa. Posso capire chi, avendo un male incurabile, si offre volontario. Ma chi è sano, anzi sfruttare chi è sano, è folle. Gli altri post, preferisco non leggerli o commentarli, sono troppo anche per me
 
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