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LA VERA STORIA DI CENERENTOLA (racconto educativo). parte I

Post n°101 pubblicato il 30 Settembre 2012 da alex.canu

 

   In un antico e nobile castello che dominava una vallata ridente e fertilissima, attraversata da un fiume gagliardo, vivevano in pace con i propri vicini un re ed una regina. Non dichiaravano mai guerra a nessuno, si accontentavano del poco che avevano e, forse proprio per questo, i sudditi li ricambiavano di un affetto e di una obbedienza che non aveva eguali in nessun altro reame. Questi due nobili sovrani si amavano di un amore tenero e appassionato e il frutto di questo loro amore aveva anche un nome: Ivàn, il principe Ivàn. La vallata ridente, il fiumicello pescoso e gagliardo, l’affetto dei contadini, la pace con i reami confinanti, ecc, ecc. C’era tutto per far felici sovrani più riccchi e più potenti di loro. Tutto. Ma, a ben guardare, avrete forse notato che dall’elenco manca il principe Ivàn.Già, “il principino”. Così lo chiamavano ancora il re suo padre e la regina sua madre. Il “principino” in questione aveva appena compiuto 20 anni e fin dalla più tenera età aveva manifestato una spiccata passione per l’alta cucina. Non verso “l’arte culinaria” propriamente detta, ma specificamente per il gusto del mangiare, mangiare e  mangiare, che lo aveva portato ad essere quello che era diventato ora: un essere onnivoro e incredibilmente grasso.

   A niente erano valsi gli sforzi dei suoi augusti genitori che avevano provato di tutto per distorglierlo dall’insana passione. Non avevano cavato un ragno dal buco. Piccoli successi, quà e la, una riduzione nel numero delle portate che aveva fatto ben sperare. O come quella volta che  a otto anni, ( l’età delle spade e dei fucili per i maschietti), avevano perfino dichiarato guerra al reame confinante a sud-ovest, pur di distrarlo un po. Niente da fare. I servizi segreti “nemici”, avevano scoperto tutto e si era risolto con una gran bolla di sapone ancora prima che scoppiasse la guerra. Avevano provato con i viaggi, peggio: “paese che vai cucina che trovi”. Un disastro! Alla fine un consigliere propose, “ visto che avete provato di tutto e che niente è servito, tenetevelo così com’é e vogliategli bene lo stesso”. Il consiglio parve molto saggio ai due saggi sovrani e decisero di tenersi il “principino” così come il fato glielo aveva dato, grande e grosso come un bue. Il  buon consigliere venne perfino premiato con una generosa pensione a vita. E, visto che il “principino” aveva  appena compiuto 20 anni, decisero di dare una festa grandiosa che avrebbe attirato al castello tutte le ragazze in età da marito nel raggio di svariate leghe. Non badarono certo a spese e organizzarono tutto con grande sfarzo. Di questo giorno si sarebbe parlato a lungo e la festa sarebbe stata di quelle che si ricordano per tutta la vita: le casse dello stato lo permettevano, per anni si era risparmiato. Messaggeri in sella a veloci destrieri vennero spediti in ogni borgo e in ogni villaggio. Ai quattro angoli del regno venne affisso il bando che così recitava: Attenzione, attenzione. In occasione del ventesimo compleanno del principino Ivàn, si darà al castello una magnifica festa da ballo alla quale il re e la regina avranno il piacere di invitare tutte le ragazze in età da marito. La fanciulla più bella e più attraente della serata   sarà scelta come sposa e tutti i membri della sua famiglia, fino al terzo grado di parentela, avranno diritto al titolo di duchi e ad una rendita annuale pari a 15.000 (quindicimila) ducati d’argento”. Seguiva il menu della  serata con un apettitoso elenco delle portate previste.

   In men che non si dica la notizia si sparse in tutto il reame e anche oltre i suoi confini immaginabili e inimmaginabili. Quando i messaggeri giungevano nei villaggi, (perfino in quelli più remoti), trovavano già un gran fervore attorno a gale, pizzi, merletti, trine e, più in generale, attorno a tutti gli strumenti di seduzione ( leciti e illeciti), che le donne conoscono perfettamente. Sarte, tessitori, calzolai, parrucchieri, maghi e indovine, ebbero in quel periodo gran fortuna. Ai porti del regno giungevano navi cariche di stoffe ed unguenti  speziati e profumati provenienti dal lontano oriente. Carovane con le sete più preziose arrivavano nelle città del regno e fini ricamatrici lavoravano notte e giorno agli ordini delle più belle damigelle del reame. Orafi vennero chiamati dall’Italia, dalla  Spagna e dalle lontane terre del Marocco. Esperte in portamento e nel celare lo sguardo furono fatte venire dall’antica Babilonia. Ogni angolo del paese era un laboratorio, ogni casa alzava il suo altare alla bellezza, in ogni stanza una fanciulla guardava alla luna, la sera, indirizzandole un desiderio, lo stesso per tutte: sposare il principe Ivàn, o meglio, arraffare i 15.000 ducati d’argento annuali e i titoli nobiliari, per sé e per la propria parentela. Da quel momento in poi tutte le ragazze in età da marito si misero a ”dieta stretta”. Il gioco valeva la candela.    In una elegante casa, in una onorevole contrada di una linda città ai confini del regno, viveva una povera fanciulla della quale pochissimi conoscevano il vero nome, ma che tutti chiamavano familiarmente Cenerentola, dato che per la maggior parte del suo tempo stava davanti al camino a rimestare la cenere. Pur essendo figlia di primo letto del padrone di casa ella era relegata dalla matrigna agli incarichi più umili e disonorevoli a tutto vantaggio delle “sue” figlie che e rano trattate come regine. La giornata di Cenerentola cominciava all’ alba col primo cantare del gallo, (maledetto!), e finiva la notte quando la luna era calata da un bel pezzo. La povera ragazza cuciva, lavava, portava l’acqua dal pozzo, svuotava i pitali della notte e tutti i carichi e i pesi più gravosi erano sulle sue spalle. Non aveva un attimo di riposo e la sua matrigna e le sorellastre non perdevano occasione per deriderla e tormentarla in tutti i modi. Il padre,non era mai in casa, e le rare volte che trascorreva con loro qualche giorno si dispiaceva  per la sorte della figlia, ma pensava che era un po’ tocca di cervello e quindi non se ne dava troppa pena.

   Ora, dobbiamo proprio dirlo: Cenerentola, non aveva un aspetto, per così dire, normale. Era un po’ fuori misura, una “over-size”, molto “over-size”. Relegata in casa non aveva altri interessi se non occuparsi della cucina e assolvere a tutti i lavori più pesanti che le sorellastre, magre ed eleganti, non potevano certo sbrigare. Cenerentola non si dispiaceva per questo e il rancore non sapeva neppure cosa fosse. Era abituata così. Subiva i rimproveri della matrigna e prendeva le botte dalle sorellastre come un dazio che si paga tutti i giorni, senza prendersela tanto. I primi tempi che il padre si era risposato l’avevano trattata con ogni riguardo, ma poi vedendola così remissiva e inadatta alla vita di società, avevano preso a darle degli ordini sempre più imperiosi e di lì a un po’ a trattarla decisamente come una pezza da piedi e a giocarle degli scherzi crudeli quando le due sorelle si annoiavano un po nelle lunghe serate invernali. Se c’erano delle visite  o dei giovanotti venivano a trovare le sorelle a casa, era cacciata via in cucina e nessuno perciò la vedeva mai. Già da un bel pezzo aveva superato i 140 kili e la sua massa abnorme ingombrava la cucina pur grande, facendola apparire al suo confronto piccola e inadatta alla sua persona. Il vestito era perennemente logoro, né lei si curava di averne uno nuovo. Era scalza e addirittura incapace di camminare con delle scarpe ai piedi. Figuriamoci con delle strette scarpe da signorina! Il suo piede, però, era incredibilmente proporzionato ed elegante. Bizzarrie delle favole! Non resta molto altro da dire di Cenerentola. La bellezza ha i poeti che la cantano, i pittori che la ritraggono, i musicisti che le creano sottili impalcature di note per farla volare in alto. Ma a chi bella non è rimane null’altro che il silenzio o qualche rara fiaba, con orchesse e mostri a spaventare i bambini che non vogliono dormire la sera. Cenerentola viveva così, abbandonata a se stessa, dimenticata nel suo quintale e mezzo da una società che aveva bisogno solo di persone magre, belle e obbligatoriamente “felici”. Eppure, la povera fanciulla, coltivava una sua grande passione che agli sprovveduti che ascoltano la nostra storia potrà sembrare ovvia, visto il personaggio, ma che invece con lei rasentava la poesia pura. Ebbene sì: Cenerentola amava cucinare. Per lei i fornelli erano come una orchestra da dirigere, le salse i colori degli artisti, i mestoli i pennelli. La lista della spesa da portare al mercato un romanzo a puntate di cui non si intravedeva la fine, il lieve borbottare degli intingoli e dei sughi un dolce contrappunto ai tappi delle bottiglie che saltavano. Cenerentola amava, amava pazzamente cucinare. ma al contrario dei grandi cuochi che non amano mangiare e sublimano una infanzia di castighi e divieti, osservando gli altri che lo fanno,  lei amava pazzamente mangiare. Motivo per cui ingrassava  senza darvi troppo peso. Questa era la situazione quando il bando del re venne a rompere l’armonia anche in quella casa: Attenzione, attenzione, in occasione del ventesimo compleanno del principe Ivàn, si darà al castello una magnifica festa da ballo ...ecc, ecc... la fanciulla più bella e più attraente della serata   sarà scelta come sposa e tutti i membri della sua famiglia, ...ecc... avranno diritto al titolo di duchi e ad una rendita annuale pari a 15.000 (quindicimila) ducati d’argento”. Seguiva il ricco menù della serata. Le sorelle impazzirono di gioia. Una di loro, sicuramente sarebbe stata la prescelta! Erano sicuramente le più belle di tutto il reame. Le uniche cose a cui prestarono attenzione furono i titoli nobiliari per la madre e le 15.000 ghinee annuali. Il principino Ivàn era un dettaglio, niente più che una postilla scritta tra la superbia e la vanità. Nessuno prestò attenzione al menù, che fra l’altro era scritto in piccolo, come una cosa di poco conto. Nessuno lo lesse, tranne Cenerentola e ogni portata che veniva nominata era come una spada che si conficcava nel suo cuore, perché-lei-non-avrebbe-mai-partecipato-a-nessun-ricevimento-da-nessuna-parte-del-mondo. Almeno finché era ridotta così.

   Come abbiamo già detto le due sorellastre di Cenerentola erano bellissime e, un po’ tutti, davano per scontato che una delle due sarebbe stata la prescelta dal principe. Non dovettero faticare molto, la loro bellezza unita alla loro alterigia, non aveva certo bisogno dei sarti migliori, quelli li lasciavano alle meno fortunate di loro. Ma quello che le rendeva veramente odiose era la loro superbia e chi ne scontava i capricci era come sempre la povera sorellastra grassa e stupida. Cenerentola dovette correre per una settimana intera, lavare stoffe, ricamare, tagliare, cucire, preparare il pranzo, la cena, spolverare, lavare i piatti, attingere l’acqua alla fonte da sola, salire e scendere la scale cento e cento volte al giorno. La chiamava la matrigna: “Cenerentola, hai ricamato i guanti di pizzo?” La chiamavano le sorellastre: “Cenerentola, sei andata dalla sarta per i broccati?”  Le strillava perfino il padre, esasperato da tutto quel pandemonio e rimasto a casa a dar man forte: “Cenerentola! L’arrosto non è ancora pronto?”  Cenerentola correva, di quà e di là, sù e giù, a destra e a sinistra, non mangiava, non parlava, non respirava, sarebbe morta se, finalmente, non fosse arrivato il giorno tanto atteso, il giorno del Gran Ballo, il giorno del trionfo delle sorellastre. La sera una magnifica carrozza si portò via sorellastre, matrigna e padre. La scostarono dalla porta, giacché la ingombrava, e partirono verso l’inevitabile trionfo. Cenerentola richiuse la porta, si ravviò i capelli grassi, si stropicciò le mani sugli occhi, belò qualche lamento e trenta secondi dopo svenne, stremata dalla gran fatica e dalla tensione. Si svegliò che era quasi tramontato il sole e in cucina una luce rossastra batteva sul pavimento e si andava a spegnere sul ripiano dove un barattolo di fagioli era scampato all’uragano di quei giorni. Si alzò e pensò che per quella sera i fagioli sarebbero andati benissimo. Cercò l’apriscatole e l’aprì, piangeva, ma cacciò un urlo fortissimo quando dalla scatola sortì fuori una signora malamente vestita che, senza badare allo spavento della ragazza, sbuffò forte e strillò: “chi mi ha messo dentro una scatola di fagioli me la pagherà cara! Ah, se me la pagherà”. Ciò detto si rassettò il vestito, si levò qualche buccia e, dopo essersi asciugata dal sugo degli odiati legumi, disse a Cenerentola, col tono più scortese che le riuscì: “Che vuoi, perché mi hai chiamato!?”. “Io non ti ho chiamato!”, disse Cenerentola ancora spaventata. “ Aprivo la scatola dei fagioli per mangiare, visto che non ho altro, e all’improvviso sei saltata fuori tu, ma che si spaventa così la gente?”. La fata, perché era una fata buona, vedendo la fanciulla ancora così spaventata, si pentì di essere stata così sgarbata. “ ...E’ che a me fanno sempre certi scherzi”, disse, “ l’ultima volta sono dovuta uscire da un barattolino di pepe nero. Sapessi gli starnuti. Se ci penso ancora me ne viene..eeee....ancora.....eeet.....uno...eeeetci!!!”. “ Salute”, le disse Cenerentola e le porse un fazzoletto. “Grazie”, disse la buona fata, “sapessi quante me ne combinano. Ancora pochi mesi però, e poi andrò in pensione”. Cenerentola la osservava, poi disse: “ ma tu sei una vera fata? Una vera, vera fata?. “Certo”, le disse quella stupita della domanda, “non ci vuole mica molto a capirlo. Una che ti salta fuori da un barattolo di fagioli lessati, bleah! alle sette di sera che può essere, secondo te?”. “Ma tu, potresti esaudire un desiderio?”, disse la povera ragazza animandosi, “ un desiderio che io ho e che nessun’altro al mondo potrebbe esaudire, se non una fata?”. “Certo, figlia mia”, le disse la fata, “Io posso esaudire ogni tuo desiderio. Vuoi essere ricca? ...ehm...più magra? Vuoi far cadere ai tuoi piedi il principe più bello del mondo? Vuoi far soffrire una persona che odi (è questa la mia specialità)”, e così elencando, trasse fuori dalla tasca della gonna un depliant con tutte le specialità, nel bene e nel male, che la sua professione le permetteva. Con fare professionale le disse: ” Dimmi, cocca, che ti serve? Che vorresti che Fata tua ti faccesse?” Cenerentola trattenne il respiro, si fece rossa in volto, e in un solo fiato le disse: “V’rrei-‘nd’re-al-b’llo-d’l-pr’cipe-‘và’-an”. “Eeh?”, disse la fata, “che hai detto? Parla piano che sono vecchia e un po sorda”.  “V’rrei-and’re-al-ballo-d’l-pricipe-‘và’-an”, disse ancora Cenerentola, arretrando un poco per l’audacia che aveva avuto. “ Come, al ballo di chi? Parla come si deve, benedetta ragazza. Non aver paura di me, io posso esudire ogni tuo desiderio. Allora a quale ballo vorresti andare, sù! Dillo bene.”. “ Al ballo che il principe Ivàn darà questa sera nel suo palazzo”, disse Cenerentola calma. La fata , che pure era abituata a magie assai più difficili che spedire ad un ballo una ragazzina, provò un po di imbarazzo dicendole che lei poteva esaudire un solo desiderio e che, insomma...grassa com’era nessun giovane l’avrebbe mai invitata a danzare. Le suggeriva, pertanto, se accettava il suo consiglio, di desiderare di dimagrire e che poi, più avanti, si sarebbe visto... Cenerentola accorgendosi del malinteso si scusò e disse che a lei non interessava il ballo o il principe e, aprendo un cassetto le mostrò il bando. La fata lo lesse , ma Cenerentola le indicò il menù, scritto piccolo piccolo. Alla buona fata fu sufficiente dare una rapida occhiata all’elenco delle pietanze per capire il desiderio di Cenerentola e decise così di aiutarla.

 
 
 
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