Creato da alex.canu il 28/01/2012

alessandro canu

arte, racconti, idee

 

 

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FRAGILE: Otto modi stupidi di ferirsi

Post n°112 pubblicato il 31 Gennaio 2013 da alex.canu

 

 

 

Primo modo

 

La lavatrice ha appena finito di fare il bucato. Li metto dentro una bacinella di plastica azzurra e decido di stenderli nel terrazzino a cui accediamo dalla porta finestra del soggiorno, non è un bucato impegnativo, quel piccolo filo sarà sufficiente. Ma no, mi dico, perché non approfittare del bel sole che abbiamo oggi? Così cambio idea e li porto su nel terrazzo grande, quello che d’estate ci infuoca la casa e che d’inverno ci ghiaccia come in siberia. Adesso però è primavera, la stagione ideale. Decido di stenderli sul grande filo condominiale all'aria aperta e al bel sole di oggi, in tre ore sarà tutto asciutto. Prendo uno straccetto e lo inumidisco, con quello pulirò il filo che non usiamo più dall’estate scorsa. Carico la bacinella azzurra e faccio a piedi il piano che mi separa dalla pesante porta di ferro color ruggine. Non calcolo bene la spinta dell'apertura della porta e questa, sbattendo sullo stipite, torna violentemente indietro e mi colpisce in pieno sul naso. Cado a terra stordito, il sangue esce copioso, il naso è rotto. Stendo comunque i panni e quando torno giù a casa mi stendo sul divano. Metto del ghiaccio che mi fa dolere ancora di più la botta. Telefono che domattina non potrò essere al lavoro. La segretaria con voce spenta mi avverte di portare il certificato e farle sapere al più presto quanti giorni mi darà il medico. Prometto che farò tutto per bene e riattacco ringraziando. Un’ora dopo mi guardo allo specchio. Il mio non è mai stato un naso bellissimo, ma adesso così deformato sembra finto, non appartiene allo stile del mio volto che è fine, elegante, intelligente. Quando qualcuno nota questa dissonanza stilistica e mi chiede come mai, spiego che me lo sono rotto facendo a botte quando ero ragazzo e scapestrato. Mi invento ogni volta una storia diversa, quando una rissa da ubriachi, quando un fidanzato tradito, quando per il semplice gusto di provocare e fare a botte con qualcuno. Mi piace dare questa immagine da gaglioffo marsigliese di me.

 

 Secondo modo

 

Sono andato a correre, otto kilometri, in mezzo alla campagna, che meraviglia! penso. Appena torno a casa una bella doccia calda e un buon tè bollente. Faccio un po’ di stretching e degli di esercizi di allungamento, la fatica si sente. Tornato a casa entro in bagno e mi chiudo la bella porta di cristallo del nuovo box doccia. Faccio scorrere l'acqua, fredda, calda, giusta. Afferro il grosso flacone del bagno schiuma, ma scivola dalle mani e cadendo ruota fino a colpirmi col tappo aguzzo sul dorso interno del piede. Tappo rotto, ferita di due centimetri. Il sangue esce abbondante, lascio scorrere l'acqua, attorno alla ferita tutto diventa blu. Che cazzo! mi dico. Finisce li, alcool, cerotto e ghiaccio.

 

 Terzo modo

 

Nella maremma toscana, una escursione in alta collina. Daini, lepri, cinghiali sgrufanti, alberi meravigliosi, sole stupendo, lei dolce e innamorata. Superiamo avventurosamente torrenti e piccoli crepacci. Salto atleticamente tra due alberi secolari caduti a terra, ma poggio il piede sull'unica tavoletta piatta che ha l'unico chiodo di tutta la maremma. Sento la suola delle mie scarpe da ginnastica che si buca e un dolore acuto sulla pianta del piede. Mi lascio cadere a terra con un grido appena soffocato. Lei si spaventa e chiama soccorso, ma non c'è nessuno. Sento la scarpa riempirsi di sangue denso e appiciccoso. Finalmente, dopo una mezz’ora  passa una camionetta guidata da una guardia forestale, un ragazzo bellissimo, un tipo moro, capelli ricci e forti, mascella forte e volubile. La divisa da guardia forestale lo fa sembrare un indiana jones, ne esalta il braccio saldo che tiene il volante e non permette alla jeep di ribaltarsi sui sassi. Lei fingendo di niente lo guarda ammirata. La mia ferita passa in secondo piano, il mio dolore non conta più. Lui e lei, (la mia lei), parlano della natura e dell'importanza di proteggerla, parlano della ripopolazione del cervo maremmano e del problema dei bracconieri. Si intendono perfettamente, sono sicuro che lei abbandonerebbe tutto, me compreso in quel momento stesso, per andare a vivere con lui in rifugio per guardie forestali in mezzo alla natura selvatica. Finalmente arriviamo al pronto soccorso, indiana jones ci lascia suo malgrado, ma faccio appena in tempo a vedere un bigliettino che lascia scivolare nella mano di lei. Il dottore che viene subito chiamato mi ordina di levare la scarpa, ma non si vede alcun lago di sangue al suo interno, solo una macchia e una ferita lieve. Lei ci rimane male quando il medico deluso mi propone di fare lo stesso l'antitetanica.

 

 Quarto modo

 

Il mio dito medio sinistro è normale, bello e affusolato. Le donne mi dicono sempre che ho delle belle mani. Il mio dito medio destro è però deformato. Se vengono messi a confronto, uno accanto all'altro, si nota la differenza. Io ci scherzo su, mostrando con un sorriso paraculo prima il medio sinistro e poi quello destro. Pensano che lo faccia apposta e talvolta lascio che la cosa prenda una piega ambigua. Stavamo allestendo una mostra di otto giovani artisti lapponi. Quelli sono partiti dalla loro desolata terra ghiacciata a bordo di un pulmino rosso fragola su cui avevano caricato le loro opere e tutto, tra cui una scultura in granito lappone di 120 kg. Un monolito lungo e sottile alto un paio di metri che chiamarla scultura era un’offesa all’arte mondiale. Quando sono arrivati alla frontiera e sono passati in territorio italiano, hanno riempito il pulmino-fragola di vino rosso piemontese in cartone e si sono ubriacati alla grande. Giunti a Roma in condizioni preoccupanti abbiamo scaricato le opere d’arte sepolte sotto montagne di bricchi vuoti e schiacciati di tavernello. Loro ridevano come folli per ogni stupidaggine, ci abbracciavano dicendoci con voce impastata cose nella loro lingua che nessuno di noi riusciva a capire, ma partecipavamo alla loro nuova allegria perché le loro risate erano contagiose. Quando abbiamo trasportato dentro il monolito di granito eravamo in sei, cinque lapponi e me, continuavamo a ridere senza più alcun motivo, semplicemente per la parola “gradino”, perché qualcuno di noi aveva detto, attenti al gradino e questo li aveva fatti ridere. Continuavano a ripetere “cratino” e giù risate a non finire. Arrivati nella sala dove il monolito doveva essere esposto, poggiamo la base per terra e  al tre si doveva lasciare, ma hanno contato in Sami e io non capisco il Sami, cosi 120 kg. di granito Lappone hanno schiacciato un piccolo dito medio sardo. In un attimo si è gonfiato, poi è diventato blu, pensavo che si sarebbe potuto staccare da un momento all'altro. Non sono andato al pronto soccorso, dovevo lavorare e così è rimasto. Quando il tempo cambia il mio dito deformato mi ricorda sempre di otto artisti pallidi ubriachi. Ho provato a imparare la lingua Sami, ma non è facile. Anche tagliare quell'unghia mi è più difficile delle altre.

 

Quinto modo

 

Una contusione al gomito destro, ma con versamento di sangue, cioé un colpo secco che mi ha fatto vedere le stelle. Andavo in giro con una vespa bianca, un 150cc di cilindrata che mi permetteva di raggiungere i 120 kilometri orari. Una volta durante una discesa lunga e impegnativa, sotto Vignola prima di arrivare a Costa Paradiso, io e il mio amico Salvatore Ruiu, stavamo piegati in due per tagliare meglio l'aria che ci ostacolava. Avevamo levato il pesante parabrezza di plastica per filare dritti e veloci. Il portapacchi era carico con due zaini e la chitarra legata stretta con gli elastici. A metà della discesa si rompe improvvisamente la ruota posteriore mentre eravamo lanciati a 110 orari. Tutta la moto prese a sculare pericolosamente a destra e sinistra. Il mio amico gridava, mamma mia siamo morti! e si disperava. Io mantenendo la calma lavorai abilmente di manubrio per controbilanciare gli sbandamenti. Non toccai mai i freni, lasciando che la moto si stancasse da sola, e quella scema piano piano rallentò. Arrivammo al piano e riuscii a portarla verso una piazzola. Il copertone era completamente andato, ma per fortuna avevamo la ruota di scorta. Aprii il cofano e mi diedi da fare con bulloni e chiavi inglesi, mentre il mio amico si mise a terra sdraiato che ancora non credeva che ce l'avevamo fatta. Ci accendemmo una sigaretta ai mezzi e attaccammo a ridere come matti per lo scampato pericolo. Tutto bene, pareva, nelle situazioni estreme so esattamente cosa fare, riesco a mantenere i nervi saldi. Non era la prima volta e non fu neanche l'ultima. Basta sapere cosa devi fare e stai a posto. Un’altra volta peró, dovevo imbarcarmi con la nave delle ferrovie dello stato e mi misi a seguire a 10 all'ora i binari del treno, che poteva imbarcarsi entrando dentro la pancia del traghetto. Non so perché mi é venuta un'idea tanto stupida, sapevo che non avrei dovuto farlo e allora? La ruota anteriore della vespa si incastrò perfettamente nel binario interrato e si bloccò li, non andava più ne avanti ne indietro, allora persi l'equilibrio e caddi, come cadono gli idioti. La moto si piegò di lato e si adagiò al rallentatore, come la nave di schettino. Io rimasi attaccato al manubrio, impotente e mi osservai cadere, come Willy Coyote nei cartoni. Mi feci male al gomito. Il parabbrezza si ruppe in due e, mentre precipitavo al rallenty, pensai che nuovo costava settantamila lire e io non le avevo per ricomprarne un’altro. Del gomito non mi preoccupai affatto, ma l'indomani mattina non potevo muovere il braccio.

 

Sesto modo

 

Quella mattina l’immagine allo specchio gli restituì tutta l’infelicità di cui poteva essere capace. I capelli gli sembravano più radi e vedeva geografie di vuoti che non aveva analizzato precedentemente. Lo consolava sapere di essere un maschio, i maschi non si fanno problemi per quattro capelli che cadono, aggiungono fascino e danno una sana impressione di virilità che le donne apprezzano. Per lo meno così pensava, ma quella mattina le cose non andavano per il verso giusto e la faccia riflessa nello specchio era quella di un signore con dei problemi non risolti. Riflessi insieme a lui gli asciugamani appesi dietro avevano delle pieghe che lasciavano intravvedere riferimenti al primo rinascimento. I flaconi colorati degli shampoo e dei detergenti gli promettevano un approcio più rilassato alle cose del mondo. Si ricordò improvvisamente, provando una punta di fastidio, che aveva avuto dei problemi al lavoro. Una banale discussione, iniziata per futili motivi e che era presto degenerata in uno scontro non voluto su argomenti di nessuna importanza. Quella discussione gli lasciò l’amaro e non servì la cena leggera che ebbe la sera, il sonno tardò e non lo rigenerò affatto. Eccolo li, quarantenne, solo, con la casa piena di gadget Ikea, a osservarsi di tre quarti in una fiacca interpretazione di se stesso. Si ricordò di quello che gli disse il padre una volta: Quando sei giù e non sai che pesci pigliare, fatti la barba, guadagna tempo. Gli sembrò un ottimo suggerimento, giusto, “quasi quasi mi faccio la barba”, cantò, parafrasando una nota canzone. Aprì il cassetto del mobile dove teneva la schiuma rapida, cambiò la lama del rasoio e ne testò l’affilatura sull’avambraccio. Quel contatto gli diede un brivido che lo fece sorridere. Buono, si disse, mentre si spogliava. La pelle del viso aveva però degli arrossamenti dovuti alla rasatura del giorno precedente. La pelle ha bisogno di riposare, tra una rasatura e l’altra, dicono i dermatologi, è come la terra, come un campo, bisogna dargli tempo. Tempo, che idiozia, erano già le sette e un quarto, se voleva arrivare in orario doveva sbrigarsi. Pensò che poteva solo lavarsi il viso e lasciar perdere la barba, ma il consiglio del padre gli tornava come un rimprovero. Si insaponò con una schiuma abbondante e iniziò a passare il rasoio prima nella gola, poi sotto il mento, quindi risalì sotto il labbro inferiore, variando l’ordine solito della rasatura. Attaccò le basette e scese verso la bocca, superando in un colpo le guance che non opposero alcuna resistenza. Sciacquò il rasoio prima di tagliare i peli sopra le labbra, ma lo fece in maniera maldestra e questo gli scivolò e cadde dentro l’acqua torbida del lavandino. Lo seguì istintivamente con la mano e tentò di afferrarlo, ma si ferì al dito e si procurò un taglio che gli fece sentire una scossa improvvisa. Tagliò via i baffi e si sciacquò il viso. Il dito continuava a sanguinare e macchiò l’asciugamano bianco. Sua madre non gli avrebbe perdonato un’imprudenza come quella.

 

 Settimo modo

 

Lo vedi questo bozzo che ho qui sulla fronte? Il mio amico si tira indietro i capelli ancora neri e folti e mi mostra un piccolo bernoccolo non più grande di una nocciolina. Non me ne sarei mai accorto se non me lo avesse fatto notare, eppure sono anni ormai che ci conosciamo, sono stato il suo testimone di nozze. Un matrimonio nato male e finito peggio. Lei aveva quindici anni meno di lui e tutti gli sconsigliavamo di sposarla. Sulla spinta della sua giovanissima età e sul malinteso bisogno di dimostrare che l’età non conta, gli stava sempre appiccicata a sbacciucchiarselo ogni trenta secondi. Dai, le diceva lui mostrandosi fintamente infastidito, lasciami stare, ma i suoi occhi la dicevano lunga sul confronto che faceva con le nostre donne. Era sempre la più piccola, la più allegra, pronta a seguire ogni iniziativa. Le nostre donne le sorridevano imbarazzate, lasciandole prendere in braccio i nostri bambini e trattandola come una figlia ancora da crescere. Non durerà, dicevano, lo lascerà dopo tre anni di matrimonio. Chi glielo fa fare di caricarsi una responsabilità così e poi sarà lui a pagare il conto più alto. Naturalmente avevano ragione, ma si sbagliarono sul “quanto”. Quel matrimonio durò cinque anni, due di più di quello che avevano previsto. Il mio regalo di nozze se lo portò via lei, un acquerello che ritraeva una quercia piegata dal vento, lunga distesa parallela alla terra. Anche la cornice avevo fatto io stesso, lavorando il legno con la sgorbia. Questo non gliel’ho perdonato mai, quel dipinto era per loro, ma di più per lui. Una sera glielo dissi, la tua ragazzina ti sta tradendo, ma lui non volle credermi, quindici giorni dopo lo andai a recuperare sui binari della ferrovia alle quattro del mattino, si voleva suicidare, ci teneva a farmelo sapere. E quel bozzo in testa, come te lo sei fatto? gli dico. Lui mi racconta che proprio il giorno che lei doveva presentarlo agli zii gli aveva dato appuntamento a casa loro. Abitavano in un condominio, disse, si doveva entrare per un cancello, attraversare un vialetto di una decina di metri e poi parcheggiare. Trovai un piccolo gruppetto di pensionati sulla settantina, seduti su delle sedie sotto una serranda di garage tirata su per due terzi, a prendere il fresco e pulire i finocchi che avevano raccolto in campagna. Riguardai il foglietto dove aveva scritto l’indirizzo, indeciso se chiedere ai vecchi, oppure cercare da solo il nome sul citofono. Decisi di fumare una sigaretta e scaricare la tensione. Tornai indietro verso la macchina e presi l’accendisigari, non mi ricordai della serranda semiabbassata, guardavo ancora verso la macchina quando sentii un colpo forte alla testa, come se mi avessero dato una mazzata all’improvviso. Il suono metallico mi rimbombò dentro al cervello e persi l’equilibrio. I vecchi mi chiesero se mi ero fatto del male e io li liquidai rapidamente dicendo che non era niente, che avevo la testa dura, sorrisero imbarazzati. Suonai al campanello e lei aprì il portone. Arrivato su la trovai da sola che guardava la televisione, mi disse che Tonio Cartonio la divertiva ancora. Ma che hai fatto, ti sanguina la testa, mi disse preoccupata. Mi sdraiai sul divano e respirai forte, ingoiando quanta più aria riuscissi a mettere dentro i polmoni, mentre lei prendeva un disinfettante e del cotone idrofilo. Niente, ho solo battuto la testa sulla serranda lasciata aperta da quegli stronzi di vecchi che stanno pulendo finocchi la sotto, le dissi con un motto di stizza, ma i tuoi zii non ci sono? Sono quelli che hai incontrato la sotto, rispose lei distrattamente, riprendendo il suo interesse per Tonio. Anche tu guardavi la melevisione da piccolo? No, risposi, io guardavo il Magico Alvermann, Rin Tin Tin e Lassie. Non li conosco, disse lei, però mi ricordo che da piccola nostro padre ce ne regalò uno. Di cosa? Chiesi io, di Lassie, il cane!

 

Ottavo modo

 

 

   E` un momentaccio per tutti. Ognuno ha qualche suo particolare motivo per lamentarsi di qualcosa che non gira per il verso giusto. Prendete mia suocera, si era messa in ghingheri per andare a comprarsi due merdosi panini all’olio, per via della dentiera, ed è cascata giù per terra come un sacco di patate. Risultato, una spalla lussata, l’osso sacro che la fa strillare dal dolore e mia moglie che non riesce più ad avere un attimo di tregua. La madre la chiama in continuazione, confonde le scatole dei medicinali, dimentica la fiamma del gas accesa e da qualche giorno anche la testa non le funziona più a dovere. Il medico con poca convinzione dice che recupererà pienamente tutte le sue facoltà, ma che per quanto riguarda il cervello li c’è l’età avanzata che la frega e non si può sapere niente. Dico questo perché in un momentaccio così ci sono passato anch’io qualche giorno fa. Avevo appena deciso di fare una pausa nel lavoro che mi ero portato a casa. Da qualche tempo lavoro parecchio, anche di pomeriggio fino a tardi. Il medico me l’ha sconsigliato, mi ha detto che dovrei muovermi di più, frequentare qualche piscina o iscrivermi in palestra. Lavoro sodo in questo periodo, gli ho detto, devo solo far passare questo momento, gli ho spiegato, poi avrò tutto il tempo che mi serve per tenermi in forma.

    Stavo lavorando di brutto l'altro pomeriggio allora, quando, ad un certo punto, non riuscivo più a seguire il filo di quello che stavo facendo, la testa mi andava a mille, ronzando random in altre direzioni, ma non su quel maledetto compito che dovevo portare a termine. Mi alzo e decido in un attimo di mettermi la tuta da ginnastica e di andarmene a correre. Non lontano da casa mia passa una strada di campagna che qualche anno fa ai contadini di quella zona gli è venuto in testa il capriccio di asfaltarla. Morale, traffico e podisti di ogni genere, ciclisti e gruppi di donne sui cinquant'anni la battono ad ogni ora del giorno. L’asfalto, di scarsa qualità, nel frattempo si è invecchiato, lasciando ricrescere qua e la ciuffi d’erba e aprendo buche e scorticandosi in più punti. Si corre sull’asfalto, ma è un asfalto, come dire, casareccio, rustico, di quelli che si integrano con la natura armonizzandosi con essa. Sono tre kilometri costeggiati da campi di finocchi, fragole in serra e, d’estate, l’odore dei pomodori e delle angurie che toglie il respiro.  

    Vestito di tutto punto, con calzamaglia in clima-cool nera, scarpette runner- antishock, maglia aderente climatizzata-maniche lunghe, affronto le scale del condominio sperando che la bella signora del secondo piano si affacci e mi veda così tecnologicamente dinamico, a mio agio nei nuovi materiali. Arrivato sotto casa apro lo sportello della mia macchina parcheggiata e frugo nel cruscotto, alla ricerca di un paio d’occhiali con le lenti specchianti che ho appena acquistato su e-bay. Me li infilo e mi guardo dentro lo specchietto retrovisore, il risultato non mi sembra un gran che e decido di lasciarli in macchina. Attenzione a questo dettaglio, perché questa decisione mi costerà assai cara.

   La campagna in questo periodo si risveglia dopo il lungo sonno invernale, sul ciglio della strada l’erba cresce rigogliosa e selvaggia. Gli uccelli, a migliaia, gridano nel cielo, le rondini si inseguono come pazze e si infilano al volo dentro sciami di piccoli insetti. Correvo, di un trotto leggero, sciolto e rilassato, quando un insetto, di modeste dimensioni, mi punta contro, trovando il mio occhio sinistro libero da lenti protettive. Il piccolo insetto ha in un lampo preso la difficile decisione più difficile della sua vita, centrarlo in pieno pensando di infilarcisi dentro. Nessun problema, mi sono detto, è tutto a posto, perché altre volte mi era già successa una cosa del genere. Certo è fastidioso, ma nel giro di una decina di minuti l’intruso, tramortito, riesce fuori e tutto torna come prima. Stavolta però le cose non sono andate così e il piccolo insetto ha lasciato dentro il mio occhio una sua piccola zampetta che, sulle prime, mi ha causato un leggero disagio, ma con l’andare del tempo il fastidioso corpo estraneo si è trasformato in un dolore continuo e pungente. Ho provato ad inondare l’occhio offeso con irrigazioni di collirio, senza ottenere però nessun risultato. Ho provato davanti allo specchio ad aprire la palpebra, ma la fastidiosa zampetta nera, si era arroccata giù in fondo e non si lasciava prendere. Al mattino mi sono risvegliato con un principio di infezione e del pus che si andava formando, vedevo tutto appannato e non stavo per niente bene. Un mio collega di lavoro, mi ha detto, mettiti sdraiato su quella sedia, ha preso un fazzolettino di carta e mi ha frugato dentro l’occhio aperto. Dopo un poco che stava li a rimuccinarci dentro mi fa, guarda qua, e vedo sulla punta del fazzoletto la zampetta nera dell’animale.

   La leggera infezione all’occhio è peggiorata, ma con un trattamento a base di Tobral gocce, con principio attivo a base di tobramicina tre/quattro volte il dì, sento già un sensibile miglioramento. Di andare a correre non se ne parla nemmeno, ho ancora tanto lavoro arretrato da portare avanti.

 

 

 


 

 
 
 
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