alessandro canu

FRAGILE: Cronache di un mentitore (Prima parte)


 Cronache di un mentitorePrima parte       Mentire è un bisogno, una condizione necessaria di sopravvivenza. Mentire sempre, comunque. Mentire a prescindere dalla sua reale utilitá, dal bisogno immediato che ne fa uno strumento di salvezza. Mentire significa alterare la realtá, distorcerne il senso a proprio piacimento, manipolare coattivamente il suo sviluppo cronologico. (La verità, come la luce, acceca. La menzogna invece è un bel crepuscolo che mette in risalto tutti gli oggetti). Mentire é un atto deliberato e consapevole che libera immense risorse ed energie crudelmente positive. Mentire é un atto di difesa, di orgoglio messo a dura prova, persino di coraggio, é il montaggio dei fatti non come si sono svolti realmente, ma come si sarebbero dovuti svolgere. Mentire è un atto di grama vigliaccheria che può rendere eroico qualunque attimo della quotidiana banalitá. Mentire ricrea e potenzia un'emozione che svaporerebbe altrimenti  nel nulla e nell'inutilitá dell’azione che l’ha generata. Sempre mentire nel gioco, in amore, nelle alleanze politiche. Mente la madre al proprio figlio, nella forma più subdola e devastante. Il dir menzogne è l'unica arte della bassa capacità e il solo rifugio dei vili. Mente qualunque religione, quando promette un aldilá luminoso e senza fame, oppure crudele ed eterno, quando annienta e annichilisce con storie a cui non crederebbe neanche un bambino. Tutte  le religioni reggono le loro traballanti architetture sulla menzogna, non possono farne a meno. Una fede religiosa che dicesse chiaramente la verità crollerebbe dopo tre secondi appena. Mentono gli scrittori, i poeti, gli artisti, gli architetti del vuoto-e-del-pieno, sono proprio questi i primi a utilizzare la menzogna come fonte inesauribile di ispirazione.(Eppure fra tutte le menzogne l'arte è ancora quella che mente di meno). Mente l'alta finanza quando commercia in titoli tossici e ti riempie le tasche di derivati a un tasso di 4,60 netti. Mentono le banche costruite-intorno-a-te che strozzano i loro clienti come polli, dopo aver promesso loro comprensione e umanitá. Mentono le pompe di benzina verde che  mostrano automobili sempre piú grandi e sole  e promettono libertá che non ci possiamo più permettere. Mentono le mozzarelle di bufala, i biscotti di un mulino bianco mai esistito, l'amaro Averna sapore-vero, con i suoi aeroplanini di carta stagnola e i suoi  musicisti-bugiardi abbandonati in mezzo al mare. Mente la Conad sotto-questo-cielo, la Coop sei-tu, il Nescafè solo-per-lei-mister-Clooney. Mente l’acqua che bolle quando si butta giù la pasta. Mentono i tortellini di giovanni rana e il pollo-parola-di-francesco-amadori. E alla fine, in culo a tutto, mentono anche i rotoloni regina che-non-finiscono-mai. Mentono la cocaina e le droghe che fanno credere di essere quello che non si potrà esser mai, mentono gli amici che  ti passano quella merda. (Solo le donne e i medici sanno quanto la menzogna è necessaria e benefica agli uomini). Mentono i bambini, gli adulti, le mogli e i mariti. Il matrimonio regge la sua inconsistenza su un fraintendimento, ovvero su un patto che tutti e due sanno coscientemente di non poter rispettare. Mentono i testimoni al tuo stesso matrimonio facendone una farsa deliberata e pretesa, portata al suo livello più alto e sacramentale. Mente la pelle liscia delle suore, levigata da anni di clausura, che accettano di essere  escluse da tutto. Mentono gli omosessuali che fingono di essere gay in diretta televisiva, mentono le lesbiche avvelenate, i froci e i transessuali brasiliani. (La verità è un simbolo perseguito da matematici e filosofi. Nei rapporti umani la menzogna vale più di mille verità). Mentiva Gesú Cristo quando non sapendo come giustificare la propria grandezza si sminuiva facendosi chiamare semplicemente figlio di dio. Mentono gli avvocati parassiti, i passanti ai quali si chiedono indicazioni stradali. Mentono i romani-da-sette-generazioni, le compagnie telefoniche che ti ricaricano- mentre-parli. Mente l’acqua-che-elimina-l’acqua, Federica Pellegrini che non-sa-cosa-fa-quando-non-si-allena. Mentono i ciclisti della domenica, che a grappoli, con i loro deretani larghi, occupano le carreggiate provinciali, e se li mandi a quel paese mentre li sorpassi, ti mandano a fare in culo, minacciandoti col pugno alzato. Mentono i calciatori idolatrati che vendono le partite dei loro tifosi a organizzazioni criminali con sede a Singapore. Mentono le diete sette-chili-in-sette-giorni. Mente l’Alitalia che usa in maniera fraudolenta compagnie sgangherate. Mentono gli uomini politici che hanno case vista-colosseo a loro insaputa, vacanze pagate su yacht di lusso a loro insaputa,  appartamenti a Montecarlo di cui giurano di non sapere niente. Mente il comandante ¡Schettino-vada-a-bordo-cazzo! Mente ikea che da ai suoi lavoratori carne di vitello con dentro pezzi di cavallo carichi di anabolizzanti, mente il mio vicino di appartamento, quando giura che non sa di cosa parlo quando gli faccio notare la pipì del suo pitt bull sulle scale condominiali. (Talvolta la menzogna dice meglio della verità ciò che avviene nell'anima). Mente il sindaco della mia città quando dice che la centrale a carbone non è dannosa per la salute, perchè tanto il vento gira sempre in tondo e manda le polveri sottili agli altri. Mentiva mia madre quando mi diceva che la gravidanza era andata bene, quando mi assicurava che, benchè ultimo di troppi figli, ero stato voluto e cercato. Mentiva mia moglie quando rispose Si, senza riflettere, mente anche adesso quando dice di odiarmi e che vorrebbe che andassi via dalla Sua casa. Mente mia zia quando umilia sua sorella perché gelosa di lei, mentiva il prete del mio paese quando accarezzandoci la pancia e la schiena diceva che eravamo i prediletti del signore. Mente un popolo corrotto quando fa finta di credere che una puttanella di 17 anni è la nipote di un dittatore egiziano. Mente il meccanico che ripara la mia automobile, il professore di mio figlio che sbadiglia della sua stessa lezione, la slot-machine che promette vincite e felicità, mente Costa-Crociere quando sostiene che quello scoglio non era segnato sulle carte nautiche. Mente trenitalia con i suoi vagoni sporchi. Mentono i bambini-x-box viziati e odiosi, i cani da compagnia col cappottino burberry che abbaiano in una lingua sconosciuta, le iguane che stanno immobili per mesi su un sasso dentro gli appartamenti riscaldati, i rettili attorcigliati e gelidi, gli uccellini in gabbia che cinguettano cose senza senso. Mentono le ragazze anoressiche e i maschi palestrati e gonfi. Mentono i social-network, mente facebook, you tube, la pornografia, la televisione, i giornali, i new media, i sondaggi elettorali. Mente persino lo specchio dove mi guardo stupefatto ogni mattina. Mente la schiuma da barba e il mio rasoio a tre lame la-prima-tira-fuori-il-pelo-la-seconda-lo-taglia-la-terza-non-si-sa. Mente il tubetto del dentifricio che promette un sorriso smagliante, mente il rubinetto dell’acqua calda, la donna che non può entrare in asensore, no-problem-molli, la-vita-è-bella, ho-un-bruciore-intimo-, dove-c'è-barilla-c'è-casa. Mentira, todo es mentira.     ¿E allora, perchè non dovrei mentire anch'io? Io che sono cosí piccolo, inutile, futile, vigliacco e infingardo, naturalmente incline alla codardia e alla diserzione. Io che ho fatto dell'infingimento, della simulazione, del doppio senso, dell'ambiguità, il nord che mi guida. Chiedo perdono a tutti se tradiró qualcuno che aveva sinceramente creduto in me. Non ne sono degno e adesso lo dimostreró.      Ho sempre fatto il portiere di notte, in grandi alberghi come in piccole pensioncine da poco prezzo, per me non faceva alcuna differenza. L’unica cosa che contava veramente era la libertà che avevo alle tre di notte di mettere mano allo sportello del frigo del bar, stapparmi una bottiglia e scolarmela in santa pace. Non avevo preferenze, poteva essere qualsiasi cosa non ero schizzinoso, vino da poco, birra in lattina, o l’anice con cui allungavo il caffè dei clienti, era la stessa cosa. Verso le due e mezza facevo il giro completo dell’albergo, ispezionavo i corridoi, i sottoscala, uscivo in giardino a dare un’ultima occhiata alla piscina, rientravo e ricominciavo il giro dalle stanzette delle guardarobiere. Fatto il tour completo iniziavo a sentire la bocca seccarsi dalla sete ed ero costretto a inumidirmi le labbra con la lingua, impastata dalla fretta di finire e dal desiderio di infilarmi nell’angolino più buio del bar.  Prima però dovevo abbassare le serrande, chiudere la porta a chiave e spegnere le luci, lasciando soltanto due lampade che rischiaravano appena la hall dove più tardi mi sarei addormentato sotto una coperta di lana, sdraiato sopra un divano. Per ultimo dovevo battere a macchina il menù del giorno dopo, ma questo lavoro richiedeva non più di quindici minuti. Le due ore che mi separavano dalla fine del turno di notte avrebbero attenuato e mascherato gli effetti dell’alcol, dandomi anche il tempo di gettare bottiglie e lattine nel sacco della spazzatura e chiuderlo per bene. Le bottiglie e le lattine brillavano all’interno del frigo, rischiarate dalla luce che si accendeva non appena aprivo lo sportello. Alle tre di notte non accade nulla in un albergo, tutti dormono o fanno all’amore, non ci sono altre alternative. Gli agenti di commercio dormivano, confortati dalle innocue bottigliette di plastica da mezzo litro d’acqua che si portavano in camera, accompagnati dagli sbadigli della buonanotte. Dalle tre alle quattro bevevo e leggevo romanzi americani e quando sentivo che il calore del mio corpo aveva raggiunto la giusta temperatura allora smettevo, preparavo il divano con una coperta di lana e barcollando mi ci infilavo sotto. Non dovevo attendere molto prima che mi addormentassi. Due ore dopo solitamente, il camion che veniva a caricare i rifiuti col suo rumore di ferraglia mi richiamava al dovere delle sveglie ai clienti. Scherzavo con loro, li immaginavo nei loro letti o già in bagno: buon giorno, dicevo con voce bassa, sono le sei e trenta e fuori c’è un bellissimo sole. Oppure, buon giorno, purtroppo una pioggia sottile scende giù dal cielo grigio, stamane. Ai clienti piaceva essere svegliati così, sentivano di essere trattati come esseri umani e quando partivano mi lasciavano sempre qualcosa in più di mancia. Ecco, questo era all’incirca il mio lavoro, mi piaceva, lo devo dire con totale sincerità. Ma fra un paio di mesi al massimo lo avrei perduto, come avevo perduto tutti gli altri impieghi. Non avrebbero tollerato ancora gli errori di battitura sul menù, le schede dei clienti non compilate, le sveglie ritardate di mezz’ora. Per tacere delle bottiglie che sparivano dal bar e che il cameriere a volte copriva con altri carichi, ma che prima o poi si sarebbero scoperte. Aspettavo quel momento con ansia, lo provocavo io stesso, ne acceleravo la venuta, la fine del lavoro e il ritorno a casa dei miei a quarant’anni suonati. A nessuno gliene importava un fico secco di chi io fossi, purchè svolgessi con precisione le poche mansioni che mi venivano affidate. Alle tre, luci spente e tutti a ninna; alle sei, sveglia e giro completo di scampanellate: sveglia e tutti a lavoro, non era poi così difficile tenerselo stretto. Questa era la mia vita, fino a quel mattino, quando arrivò la telefonata più strana e inattesa della mia vita.     ¿Signore mi conferma il suo nome? Mi chiese una voce da oro-saiwa all’altro capo del telefono. Confermai senza nessuna difficoltà e quella come se non avesse dato alcun peso alla mia risposta parlò così rapidamente che fui costretto ad interromperla e farle riprendere tutto il discorso da capo. Ehi, vada piano, le dissi, di che diavolo sta parlando. ¿Lei è il professor Del Bravo? chiese ancora voce-saiwa con tono leggermente più gentile. ¿Il professore chi? dissi io stupito. ¿Del Bravo, professor-Ettore-del-Bravo, è lei? Io sono Ettore del Bravo, ma non sono un professore, dissi, domandandomi chi fosse all’altro capo del telefono a quell’ora del mattino e se non si trattasse di uno scherzo, magari di uno dei camerieri o delle donne ai piani, che chiamavano da una delle stanze dove stavano facendo le pulizie. Senta, proseguì oro-saiwa, dovrebbe darci la sua disponibilità per una cattedra di diciotto ore settimanali a tempo indeterminato per Storia dell’arte, accetta? Avrei dovuto dire, senti oro-saiwa, di che cazzo di diciotto ore parli, che cosa dovrei accettare? che non ho capito niente di quello che mi stai dicendo, storia dell’arte? Io non mi ricordo più una sega di storia dell’arte, è stato tutto molti anni fa, quando ero studente e mi sentivo che avrei fatto qualcosa di grande, ma ora sono solo un cazzo di alcolizzato. Avrei voluto dirle così, ma oro-saiwa mi incalzò dicendo, domani mattina si deve presentare alle otto e trenta nei nostri uffici, ¿sa dove stanno i nostri uffici, professor Del Bravo?         Fu quel “professor Del Bravo”, detto in un tono che lasciava immaginare ancora del rispetto che mi fece decidere in un attimo. Accetto, dissi, frugando nelle mie corde vocali bruciate un estremo residuo di dignità. Mi darebbe cortesemente l’indirizzo, signora…, Aurora, mi chiami Aurora, professore, domattina, alle otto e trenta, si ricordi. Seguì l’indirizzo e come arrivarci coi mezzi pubblici.    Quando posai la cornetta del telefono, mi resi conto, all’improvviso, di quanto la stanza dove vivevo fosse silenziosa, di quanto le pareti fossero ingiallite e le tende alle finestre mai lavate. Professor Ettore del Bravo, quel titolo mi suonava strano eppure così familiare. Mi diressi verso il mobile dove conservavo ancora alcuni vecchi libri e ritrovai i volumi della Storia dell’arte italiana di Giulio Carlo Argan. Le copertine verdi erano gualcite e rotte in diversi punti, presi il terzo volume e aprii a caso a pagina 157, un’immagine a colori sbiaditi dell’Assunta aveva resistito agli anni, schiacciata tra pagina 156 e 158. La maturità di Tiziano, fig.115: Con la pala dell’Assunta, Tiziano spezza il legame che univa la pittura di tono all’intimismo giorgionesco: dimostra di poter fare una pittura monumentale con la sola struttura coloristico-tonale, senza impalcature prospettiche e architettoniche; afferma che un’intensa emozione visiva può aprire orizzonti spaziali e comunicare una concezione universale della realtà, anzi del rapporto tra il naturale e il soprannaturale, come e meglio che una costruzione intellettuale tradotta in immagine.L’Argan terrorizzava tutti col suo linguaggio colto e privo di ammicamenti agli ignoranti. Si arrivava a quei quattro volumi perché si era scelto quello e  chiedeva fedeltà cieca, condivisione piena di astratti ideali filosofici, impegno e costante studio. Superare l’Argan, prescindere dall’Argan, ho studiato sull’Argan, ho preparato gli esami con l’Argan, non trovo più il quarto dell’Argan, a chi l’ho prestato? Sembrava che esistesse solo quello, gli si era fedeli come ad un dio, nessuno l’aveva mai visto in faccia questo signor Argan, ma lo immaginavamo con occhiali spessi dentro una casa con le stanze ampie in penombra, lontano, circondato da immense opere d’arte e volumi rilegati, ammucchiati dappertutto. Richiusi il libro e sentii la bocca asciugarsi e la lingua che lavorava a mulinello nel tentativo di inumidirne le pareti senza successo. La gola era secca e mi sfregavo le mani senza riuscire a smettere, professor Del Bravo, io. Dopo la laurea mi ero dimenticato in fretta di tutto quanto, non amavo l’arte, non l’ho mai potuta soffrire, non l’ho mai capita. La scelta di quell’indirizzo di studi fu dettata dalla pigrizia esiziale alla quale sono soggetto, dall’incapacità ad immaginarmi un futuro, dalla convinzione che fosse un corso di studi opaco, privo di quei pungoli e quelle spine che altre facoltà ponevano e fornivano in gran quantità. La mia famiglia premeva per una mia rapida scelta, mi chiedevano in continuazione, e adesso che farai, che cosa sceglierai? Di cosa ti vorrai occupare? Dissi all’improvviso, Storia dell’arte, senza riflettere, giusto per levarmeli dai coglioni e finii col crederci anch’io.