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IL SECONDO DEI LED ZEPPELIN Cap. 7

Post n°50 pubblicato il 03 Febbraio 2012 da alex.canu

Fratello, voltati

 

 

   Devo fermarmi, levare le dita dalla tastiera. E` doloroso ripensare a mio fratello, alla piega imprevedibile e amara che  prese la sua vita. Arthur Rimbaud un bel giorno decise di smettere di scrivere le sue orribili poesie. Se ne andò a buttare la sua vita in Africa, nello Yemen. Iniziò loschi traffici, vendette armi, morì da cane. Anche mio fratello programmò consapevolmente la discesa verso il fondo della sua dignità. Diventò volgare e ruffiano. Sposò una donna da poco e la tradì sotto i suoi stessi occhi, fuggì in un’altra città, attraversò il mare grande. Visse rubando nei supermercati, dormendo dentro una piccola automobile, chiedendo l’elemosina ai semafori. Si ridusse a fare il barbone, non sapevamo in quale maniera rintracciarlo. Ora disegna madonne in mezzo alle piazze, con un piattino accanto ai gessetti, affidando la sua vita alla generosità della gente. Persino i due figli avuti da quello sfortunato matrimonio lo rifiutano e hanno cancellato la parola “padre” dal loro vocabolario. Io conosco i luoghi dove abitualmente si ferma a disegnare i suoi santi per terra. Sono andato a trovarlo un paio di volte, ma sempre mi ha cacciato via. Appena due anni fa, andai per lavoro in quella città e lo vidi, chino a terra a colorare un angelo di spalle che suona il violino. Mio fratello era lì in ginocchio, i gessetti sparpagliati sul volto dell’angelo e un rotolo di nastro adesivo vicino. Poco più in la un piattino raccoglieva già alcune monete.  Non lo vedevo da almeno dieci anni. Mi avvicinai, mescolandomi agli altri curiosi che seguivano il suo lavoro. Un mio collega mi tirò per sollecitarmi ad andare, era l’ora del pranzo e avevamo appuntamento in un ristorante li vicino. Li pregai di proseguire e dissi che avrei tardato solo cinque minuti. Osservavo le sue mani che si muovevano rapide sul viso dell’angelo, mettendo in risalto con gesti sapienti l’incarnato gentile del suo volto. Da bambini l’avevo visto centinaia di volte sdraiato a terra a disegnare paesaggi e cavalli al galoppo. I vecchi del paese lo osservavano stupiti e gli carezzavano la testa. Tutto il suo corpo, anche adesso, era concentrato a trasferire sul mattonato della strada la potenza visionaria del dipinto. Dava una rapida occhiata alla foto quadrettata, incollata per terra e nel fare questo guardava attraverso gli occhialini da presbite. I capelli erano diventati bianchi, lunghi e radi sulla nuca, dietro formavano una massa di riccioli sporchi. Mi misi alle sue spalle, per osservarlo meglio e gli andai così vicino che avrei potuto sfiorarlo con la mano e sussurrargli all’orecchio: - Fratello, voltati! Non ti accorgi di me?- Ma lui non si accorse di me. Sapevo bene in che stato di trance entrava quando si metteva a disegnare. Gettai una banconota dentro il suo piatto e lo sentii dire grazie. Quando arrivai al ristorante i miei colleghi avevano già iniziato il pranzo e mi rimproverarono bonariamente il ritardo. Qualcuno, per fare una battuta, mi chiese se dovevo iniziare uno studio sui barboni e io li lasciai senza parole quando risposi che, quel “barbone”, era mio fratello che non vedevo da dieci anni.

- Non dire stronzate, - disse uno.

- Era proprio mio fratello - risposi asciutto, mentre mi sistemavo il tovagliolo sulle ginocchia.

- E allora perchè non gli hai parlato? - mi disse un’altro - perchè non sei rimasto con lui? Non ti capisco.

- Non mi capisco neanch’io - risposi,  mentre iniziavo a tagliare la bistecca col coltello. Il chianti aveva la giusta temperatura e me ne versai un bicchiere più che abbondante. Il locale era ben arredato e proseguii il mio pranzo in silenzio, avvertendo il disagio dei colleghi. 

   Mi fermo e prendo fiato. Trattengo le lacrime. Ho amato questo mio fratello in modo viscerale, voglio dirlo forte e voglio che tutti lo sappiano. Da piccoli mi picchiava col rovescio della mano, truffava con le carte, rubava dal mio piatto, diceva delle parolacce per il solo gusto di scandalizzarmi, ma sapeva parlare il greco e il latino e conosceva tutte le storie meravigliose dell’Iliade che mi facevano restare con il respiro inchiodato in gola, e per ultimo mi ruppe in due il Secondo degli Zeppelin. 

   Squilla il telefono e rispondo, ancora scosso:

- Si?

- Grigio?

- Non mi chiamo Grigio.

- Che hai?

- Come hai avuto il mio numero di telefono? L’ho fatto cancellare dall’elenco.

- Intuito femminile. Noi donne siamo terribili.

- Anche noi uomini.

- Già, ma noi non scateniamo guerre.

- Mi dici per favore chi è il ragazzino dell’ultima foto che mi hai mandato?

- Di quale foto parli?

- Dell’ultima, somiglia in modo impressionante a mio fratello.

- Magari è proprio lui.

- Grazia, chi è quel ragazzino? Perchè ti fai viva adesso, dopo tanti anni? Che vuoi da me?

- Troppe domande. Hai già raccontato di tuo fratello? Hai sempre provato piacere a parlarne. Quando ti accorgevi che la platea era quella giusta tiravi fuori sempre la stessa canzone, ma ogni volta aggiungevi dei particolari che la volta precedente non c’erano. Eri un tipo fantasioso, mi piacevi anche per questo. Non era importante la storia in sè, ma come la raccontavi e come, ogni volta, ti commuovevi, sempre negli stessi passaggi. Sapevi calcolare i tempi, le pause, come un attore di teatro. Hai fatto teatro da qualche parte in questi anni?

- Grazia?

- Si Martino...

- Non ti rilassi mai? Sei sempre stronza 24 ore su 24?

- Come il self-service, dove facevamo benzina?

- Allora sei sempre stronza!

- Sempre, con te sempre.

- Fra dieci minuti troverai su Facebook il terzo capitolo, The lemon song e nelle foto dei miei album troverai anche una immagine di mio fratello all’età di dodici o tredici anni. Somiglia tanto a quella che mi hai spedito.

- Ricordo quella foto e conosco tuo fratello. Ho parlato con lui, non più di un mese fa. Tu gli rubasti dei soldi, vero? Non fu la prima e neppure l’ultima volta. Hai già iniziato il prossimo capitolo del tuo romanzetto? Racconta un po’di come eri bravo a rubare allora. Io dico che non lo farai.

- Grazia, chi è quel ragazzino della foto?

- Chi era, semmai. 

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