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IL GUARDIANO DI SANTO TOME` (V. parte)

Post n°64 pubblicato il 04 Febbraio 2012 da alex.canu

 

 

   Il nostro Generalissimo non sta bene. La nostra guida, il piccolo sottotenente della scuola di fanteria della nostra città, il fantaccino di Toledo è gravemente ammalato. I bollettini medici si alternano con notizie ora gravi: il caudillo è stato ricoverato d’urgenza presso il reparto di ..., dell’ospedale tale, ad altre più ottimistiche e rassicuranti sul suo stato di salute: il nostro Presidente ha trascorso una notte serena, che fa ben sperare sul suo stato di salute. I medici hanno dichiarato che, stando così le cose, sperano entro le prossime quarantotto ore di... 

La radio è sempre pronta ad interrompere i suoi programmi con un annuncio che qualcuno ha già preparato da tempo, che avrà il tono luttuoso dell’ufficialità e che, forse, segnerà l’uscita della nostra nazione da tutti questi anni di isolamento e buio politico nel quale, il generale Francisco Franco Bahamonde, classe 1892 , l’ha forzatamente tenuta. Sarà stato per una singolare combinazione, ma notai che quando lei veniva, in quel periodo della malattia di Franco, portava sempre qualcosa di nero. Un accessorio, magari una cinta, le scarpe o un fazzoletto. Qualsiasi cosa, ma un segno nero, imminente al suo futuro lutto, era sempre presente. Dopo l’episodio del vestito rosso, presi a notare con più attenzione e una punta di preoccupazione, i colori coi quali si abbigliava. Capii che nessuna donna li sceglie a caso, ma che essi sono legati a linguaggi profondi che varrebbe la pena di conoscere e interpretare. Il segnale nero nel suo abbigliamento mi inquietava non poco e mi preparai a qualcosa di grande. Il lutto accennato, suggerito nei dettagli delle sue toelette, mi sembrava un codice segreto di comunicazione fra me e lei. Non potevo immaginare ancora a quale fatto si riferisse. Iniziai a intuire qualcosa, quando mi accorsi che le sue visite erano stranamente intonate ai notiziari radiofonici che annunciavano e commentavano gli sviluppi sullo stato di salute del nostro Generale. Appariva più serena e distesa quando le notizie erano ottimistiche, ma non appena il tono cambiava e volgeva al peggio, la sua entrata alla cappella portava come una nota di cupezza, perché tutto il portamento diveniva grave e il suo volto si atteggiava a dolente severità. La sua gamba zoppa ticchettava in modo più marcato sul pavimento della chiesa e il suo incedere appariva incerto e irregolare. Bisogna dirlo, la malattia del nostro Presidente si protrasse a lungo, più di quanto sia lecito che la sofferenza di una persona sia procrastinata nel tempo. Ciò costringeva la Spagna ad uno stallo politico ed emotivo che ci snervava, per ovvi e facilmente intuibili motivi. Lei ultimamente appariva calma, la si sarebbe detta rassegnata, o forse erano tutte mie fantasticherie, suggestionato com’ero da quello che sentivo alla radio. 

    Il Generalissimo, il Caudillo iberico moriva, ma non si decideva a morire mai. Virtualmente era  già defunto, ma non si risolvevano a lasciarlo andare. Come se lo trattenessero a forza quaggiù, in attesa che un valiente prendesse il suo posto. La medicina poteva quel che dio, con la sua inesperienza, non era riuscito a fare: fermare la morte, o almeno distrarla con i messaggi radiofonici. La Morte stessa accendeva la radio la mattina, prima di mettersi all’opera, per sapere dai direttori dei notiziari e dai primari ospedalieri, che cosa doveva fare quel giorno. Me la immaginavo nervosa e irritabile e forse, proprio per questo, si accaniva maggiormente da qualche altra parte: in Africa, in Cile o giù, sulle coste dorate del Libano, tanto per tenersi in esercizio, nell’attesa del piccolo Condottiero. Nessuno aveva il coraggio di lasciarlo morire per davvero. L’incubo della sua scomparsa e del vuoto che avrebbe lasciato, era più grande dell’incubo dei suoi ventisei anni di dittatura, violenta e brutale.

   Il 20 Novembre 1975, la radio annunciò finalmente, a tutto il mondo, quello che gli spagnoli si attendevano da anni di poter ascoltare. Con un comunicato, secco, che interrompeva una canzonetta folcloristica. Con la laconicità, tanto utile in certi passaggi della storia, si annunciava che il piccolo galiziano usciva definitivamente dalla scena di questo mondo. Munito dei conforti della santa madre chiesa andava a porgere i suoi saluti nell’altro, ben più vasto e affollato di grandi condottieri come lui, ed eventualmente chiedere scusa, per questa o quella mancanza, che la Storia, sicuramente, gli avrebbe imputato. Come quei militanti dell’opposizione armata, ad esempio, che aveva fatto in tempo a far fucilare a Settembre, quando le sue condizioni di salute lo avrebbero dovuto rendere più sensibile alla bellezza e al valore della vita, compresa quella altrui. Ad ogni modo, Francisco Franco Bahamonde morì e questa volta definitivamente. Nel nostro paese ci furono reazioni contrastanti e contraddittorie. A manifestazioni di giubilo, per la morte dell’odiato dittatore,si contrapponevano celebrazioni invasate del suo operato. A scritte che inneggiavano al cambiamento e ad una nuova Spagna libera, si opponevano graffiti murali che piangevano il Faro luminoso che, per tanti anni, aveva rischiarato la nostra patria, riportandola ai fasti del passato splendore.

 

 

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