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STORIA DEL DECIMO FIGLIO figlio settimo

Post n°74 pubblicato il 06 Febbraio 2012 da alex.canu

Figlio settimo

Jahnua Chnua

 

 

     Due anni dopo la nascita di Miràha, Aisentha, per la settima volta, dovette affrontare una nuova gravidanza e un nuovo parto. Quando nacque Jahnua aveva trentasei anni e sei figli che crescevano. Anzichu avrebbe compiuto quarantaquattro anni, mentre il figlio maggiore, Nughavi, di anni ne aveva appena tredici e odiava sua madre per quelle continue gravidanze di cui si vergognava. Non dava la colpa al padre, era la madre la cagna, e così la chiamava anche con i fratelli e i pochi amici che aveva. - Cagna- le sussurrava all'ora della cena, quando sua madre gli si avvicinava per riempirgli il piatto. - Cagna- le ripeteva la mattina, quando lo veniva a svegliare per andare a scuola. -Quella Cagna in calore di mia madre-, diceva agli amici, quando lo prendevano in giro per il nuovo fratellino che stava arrivando. Aisentha lo sapeva e se ne vergognava, avrebbe voluto parlare con quel figlio che le aveva messo paura fin dal primo momento. L'unico che le dava del tu e non del voi come era consuetudine e che la chiamava per nome quando era arrabbiato. La madre aveva paura del figlio e ogni volta che doveva comunicare una nuova gravidanza lo faceva col terrore del suo sguardo. Lo vedeva alzarsi e uscire sbattendo rabbiosamente la porta di casa. Se ne stava fuori, seduto sui gradini, finchè Anzichu non lo andava a riprendere, minacciandolo con la cinghia arrotolata nel pugno. - Cagna, cagna-, pensava Nughavi e odiava la sua famiglia, perchè aveva dei genitori che erano delle bestie. Presto se ne sarebbe andato via, lo sapeva, non c'era posto per lui, avrebbe chiesto alla nonna di stare con lei per un po' e poi se ne sarebbe andato per il mondo. Immaginava l'Australia da dove, dicevano, non si tornava più, tanto era lontana, ma naturalmente li non ci andò mai.

    Quando nacque Jahnua, Anzichu aveva quattro ettari di terra; uno per l'oliveto, con cinquanta alberi ben potati e il terreno sottostante pulito e asciutto. Due ettari erano destinati alla rotazione annuale di grano e legumi, che fornivano il grosso del fabbisogno familiare e parte destinato alla vendita. Rimaneva un altro ettaro di terra che era il passatempo di Anzichu e che costituiva il suo orgoglio, un vigneto di uva da vino pregiata e uva bianca da tavola . La cura del vigneto lo impegnava costantemente, eppure il vino che produceva non era mai così buono come lui si aspettava. Quando a natale offriva agli amici il vino novello accompagnato con il tradizionale formaggio con i vermi, gli elogi si sprecavano, ma lui capiva che non erano mai sinceri. L'arte del vino è cosa da intenditori, non da contadini e bisogna conoscere le mescolanze delle uve, attendere con pazienza che dentro le botti antiche il mosto si trasformi miracolosamente in vino. Anzichu era un povero contadino ignorante che giocava a fare il viticultore parlando da maestro vinaio esperto.

    Quando nacque Jahnua, il mondo non era per niente tranquillo, le conseguenze della guerra si facevano sentire e la ricostruzione tardava a decollare. C'era così tanta miseria che Anzichu lasciava un pezzo della sua terra ai poveri, piuttosto che farsi derubare. Dopo che il popolo di Sion occupò le misere terre dei palestinesi venne dichiarato lo stato di Israele e l'ONU decise la spartizione della Palestina in due stati, ma i palestinesi non accettarono di dividere la terra con gli ebrei immigrati e scoppiarono i primi incidenti. La lega araba dichiarò guerra al nuovo stato e da allora una catena infinita di guerre ha decimato l'uno e l'altro popolo. Nacquero i primi campi profughi in Siria, Libano e Giordania, con quasi due milioni di persone povere, turbolente ed invise anche agli arabi locali, tanto che i giordani massacrarono migliaia di questi poveri senza più terra. La vita dei Palestinesi in tali campi si trasformò presto in un inferno e così, del resto, continua ad essere ancora oggi. Questa era la stella che vide nascere questa bambina, una stella dolorosa, come dolorosa fu la prima parte della vita di Jahnua.

    Soffrì di un male strano che si presentò la prima volta all'età di quattro anni, non si capiva da cosa fosse originato. Le prendevano dei mal di testa orrendi che la portavano allo sfinimento, abbattendola a terra come morta. Rimaneva così in uno stato di catalessi per ore. Respirava a fatica e più di una volta i due genitori disperarono di salvarla. Il dottore del paese, don Simàha, che aveva curato Anzichu dall'asma e di cui lui si fidava ciecamente, sembrava stavolta perplesso e impotente, la sua medicina non funzionava più. La povera bambina si svegliava anche di notte, scossa da un pianto convulso e nessuno riusciva a calmarla. Aisentha se la stringeva al petto e sussurrava a se stessa che quella figlia non sarebbe dovuta mai nascere, perchè era il frutto di un ricatto, di una violenza che il marito le aveva usato, di un atto di forza a cui non aveva saputo opporsi. Nelle notti in cui Jahnua piangeva, Nughavi si alzava e, rabbiosamente, si muoveva per la casa intera chiamando cagna la madre, sicuro che la malattia della bambina fosse la punizione per i loro accoppiamenti. Fu a lei che Anzichu dedicò la sua seconda poesia, una poesia tragica, forse la più bella che l'inesperto poeta abbia mai scritto. Ne riporto la prima e l'ultima strofa:

 

"Su piantu chi faghes tue Jahnua,

a notte intrèa e non tenes ferìzza.

Deo no drommo e 'nde tremo che canna

proìte ses cina e malaidìzza".

 

   (Il tuo pianto Jahnua

che dura tutta la notte senza ferita apparente

Io non dormo e tremo come canna

perchè sei fragile e malaticcia)

 

e poi prosegue, accusandola di essere lei stessa causa della sua malattia, ingrata per il dono della vita che le è stato fatto:

 

"Essende tue in cùssu modu ingrata,

ti tia chèrrer bìder mèzzus morta!"

 

   (Poichè sei tu stessa in quel modo ingrata,

preferirei meglio vederti morta!)

 

     Anzichu fece leggere la sua poesia all'unica donna che era in grado di capirlo, ma che non aveva potuto sposare, a quella tia Manthoi, sorella di Aisentha. Manthoi lo cacciò via intimandogli di comportarsi da uomo. Quella poesia venne ritrovata molti anni più tardi dentro il bauletto di legno che accompagnò Anzichu per tutta la vita. Eppure quando il male la lasciava libera, Jahnua era una bambina allegra e piena di brio. Le piaceva farsi pettinare da Mihlusa che le raccoglieva i capelli in crocchie complicate come vere architetture. Mihlusa apriva il suo armamentario femminile fatto di forcine, becchi d'oca, pinzette e bigodini. Con un pettine dal manico lungo le raccoglieva i capelli e, osservando le foto dei fotoromanzi che teneva nascosti sotto il letto, riproduceva le acconciature delle attrici che ammirava. Come lacca fissativa usava la birra che vaporizzava soffiandogliela con un sistema formato da due cannucce. La sottoponeva a stressanti sedute per levarle i "peli superflui" dalle sopracciglia che aveva folte e scure. Dalla stanza dove si rinchiudevano, ad intervalli di pochi secondi l'uno dall'altro, si udivano una serie interminabile di Ahi!

    Jahnua era una bambina ubbidiente, ma non era adatta ai lavori della campagna, così Anzichu la lasciava a casa con Epihnea, la mistica della famiglia. Giocavano insieme e le insegnò tutte le preghiere che conosceva, le insegnò soprattutto a concentrarsi nella meditazione e se Jahnua si distraeva le pizzicava le gambe magre. Dio, la madonna, i santi del paradiso, ma anche i demoni terrificanti erano i protagonisti dei racconti sconvolgenti che le faceva, sedute sui gradini di ardesia delle scale di casa. Le mostrava le immagini di satana, il serpente malefico, il drago sputafuoco schiacciato sotto il tallone della vergine. Jahnua ascoltava affascinata e impaurita questi racconti e quando Epihnea le chiedeva di raccogliersi in preghiera la seguiva docile, ma con la netta sensazione che stessero commettendo peccato. Una notte che, all'età di sette anni, Jahnua venne colta da una delle sue crisi di pianto convulso che non accennava a passare, Epihnea si alzò e cosparse il letto di Jahnua di immagini dei santi del cielo. Mise un pane sotto il cuscino della sorella e attaccò ai piedi del letto una immagine dell'arcangelo Gabriele con la spada fiammeggiante, sguainata sulla bocca del mostro orrendo. Accese una candela benedetta, presa in occasione della pasqua e iniziò a pregare. Prima sommessamente, mettendosi in ginocchio, poi con voce sempre più alta e cadenzata, seguendo un ritmo circolare, ipnotico, che aveva lo scopo di espellere il male dal corpo di Jahnua. Anzichu cercò di cacciarla fuori, ma Aisentha si oppose e lei stessa si inginocchiò insieme alla figlia. Pregarono per tutta la notte, mentre Jahnua gridava e piangeva senza sosta, scuotendo il proprio corpo come una posseduta. Epihnea si accostò al letto della sorella e le recitò tutte le preghiere che le aveva insegnato. Jahnua le ripeteva mentalmente, come un mantra, insieme alla madre e alla sorella. Al mattino si addormentò, crollando in sonno profondo. Sognò il Nero e uno strappo che le lacerò la carne. Da allora non ebbe più crisi di nessun genere e rifiorì, prendendo qualche chilo che la rese più graziosa, perchè Jahnua era bella e Mihlusa la trasformò nella seconda bambola della famiglia. Quando la moda dei primi giovani contestatori bussò alle porte di Issòghene, Mihlusa sperimentò sulla bella testa di Jahnua i primi tagli alla Maschietta che aveva visto in un giornale, che pubblicava le foto della prima modella magra e con la minigonna. Si chiama Twiggy, dicevano, ridendo di quel nome ridicolo

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