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I RACCONTI DEL LABBRO LEPORINO Parkeggi (lui-lei, lui-lei)

Post n°86 pubblicato il 14 Febbraio 2012 da alex.canu
 

PARKEGGI

(lui-lei, lui-lei)

 

 

     "Non avevi un altro posto dove parkeggiare? Proprio qui, sulla piazza principale, a duecento metri da casa sua!".

Gli dice queste parole mentre guarda fuori dal finestrino, con un sibilo di voce, ma avvelenate quel tanto che basta per fargli intendere quanto è arrabbiata. Vedendo il silenzio imbarazzato di lui prova un moto di rabbia e con un soffio di voce, inacidito dal tono beffardo, prosegue:

   "Scusami tanto, sai, se me ne sto comodamente seduta in macchina col tuo migliore amico. Se ti affacci un attimo ci vedi e magari ci fai pure una foto". "Anzi...", - rivolgendosi a lui "se ti sposti e parkeggi la macchina sotto casa sua, ci vede meglio e ci fa pure un saluto".

Lui la guarda sorpreso per quel tono di voce che non le aveva mai sentito prima e rimane muto ad osservarla e a non saper decidere che cosa fare.

"Io me ne vado, fammi scendere, faammi scenderee!"

Fa per aprire la portiera, ma lui si sporge e le tiene la mano, bloccandogliela dolcemente sulla levetta della portiera. 

"No aspetta, ti prego. Le dice".

Richiude la portiera appena aperta da lei e cerca di trovare le parole giuste per parlarle.

" Aspetta, calmati, non andare via. Ecco, adesso mi sposto e ce ne andiamo da qualche altra parte".

   Lei si accomoda sul sedile e sbuffa forte, mentre lo osserva con la coda dell’occhio. Ha messo una maglietta carina stasera, molto aderente e molto scollata. Ha abbinato dei sandali nuovi, argentati, che ha trovato in centro e ha lavato i capelli aggiungendovi un riflesso che ogni tanto li fa apparire leggermente rossi. Non può aver sprecato tutto quel tempo per niente. Lui gira la chiavetta e mette in moto, ma non accende subito i fari. Compie una inversione a U e rivia. Solo poche centinaia di metri li separano dalla strada che esce dalla piazza e che li porta verso la discesa al lago a qualche chilometro dal paese.

"Ma che fai, vai pure contromano?", gli dice lei, "e se arriva qualcuno?"

" Ma chi vuoi che arrivi a quest’ora della notte". Dice lui spazientito.

   Escono fuori dal paese e imboccano la provinciale a tornanti che li porterà giù al lago. E`una notte serena, la luna piena si rispecchia grassa nelle acque nere del lago. Le luci dei paesi che vi si affacciano creano un contrasto che mette in evidenza le due isole che galleggiano in mezzo a quel mare in miniatura. Durante la discesa lui le vede apparire dopo ogni tornante che supera e si ricorda della storia di una regina dei barbari che il suo crudele fratello fece confinare in una di esse e poi uccidere brutalmente. Apre il finestrino e lascia entrare uno spiffero di aria fresca, poi lo richiude e di nuovo il silenzio li riavvolge risucchiandoseli dentro l’automobile. E`notte, il traffico è scarso, pochi fari incrociano in senso inverso. Il silenzio è atroce, lei se ne sta rannicchiata sul suo sedile e guarda distratta fuori dal finestrino. Lui guida nervosamente, strattona la leva del cambio e leva i fari abbaglianti quando incrociano un’altra macchina. Dopo il primo tornante mette la leva del cambio in folle e lascia che l’auto scivoli silenziosa lungo la strada, ora solo il rumore dei pneumatici che grattano l’asfalto e il motore al minimo entrano dentro l’abitacolo.

"Perchè hai messo in folle"? - dice lei.

"Perchè così risparmio benzina e inquino di meno".

"Ah! - replica lei colpita", "ma se poi i freni non ti reggono?"

"Reggono, reggono, non avere paura!"

   Di nuovo il silenzio scende fra i due, ora solo i fari dell’auto bucano il nero della notte. Lui si tocca il labbro superiore con la punta della lingua e sente il segno della cicatrice che si porta addosso fin da quando ha memoria di sè. Fa sempre così nei momenti di nervosismo, o quando è combattuto e non sa che atteggiamento assumere. E`il segnale del suo disagio. Con la punta della lingua cerca quel filetto sul labbro e lo tormenta, oppure se lo pizzica con gli incisivi inferiori, mordendolo come se lo volesse tirare giù e metterlo in pari, per coprire quella lieve fessura che gli lascia leggermente scoperto un dente. E`quella impercettibile fessura, quel leggero ghigno, che non può controllare, che non ha mai potuto accettare di sè stesso e che gli ha procurato molti dei problemi che si trascina fin da quando era un bambino. Quando si guardava stupito quel taglio in mezzo alla bocca, che non aveva suo fratello, nè nessun altro che conoscesse. Allora digrignava forte le labbra per spianarle, ma quelle non si spianavano e la fessura rimaneva sempre li, di un rosa leggermente più scuro della pelle.

   Lei era la ragazza del suo migliore amico, lo sa che non ci si dovrebbe comportare così, ma da qualche giorno si ronzavano intorno. Uno girava intorno all’altra, chissà per quale motivo. Forse per curiosità o per noia o per nessuna ragione affatto. E adesso eccoli li al buio, dentro una macchina presa in prestito, in lenta discesa verso il lago, con il vago presentimento di non fare nessuno dei due la cosa giusta. Con la lingua si fruga nel palato alla ricerca di quella lieve frattura che lo taglia in due e che gli impediva, appena nato, di succhiare il latte dalla madre. Sente un blocco in gola, dovrebbe parlarle, dirle qualcosa, qualsiasi cosa. Per esempio dell’amicizia che lo ha sempre legato al suo ex fidanzato, che non si aspetterebbe una cosa così da lui, con la ragazza con la quale stava fino a pochi giorni fa. Le parole però non riescono ad uscire e tutto rimane avvolto in una confusione che non riesce a dominare. Lui non è mai stato capace di mettere due parole sensate una in fila all’altra. Per lui le parole hanno un mistero e un fascino che non è mai riuscito a comprendere e ad afferrare. Lui sa lavorare bene con le mani e usa il cervello solo quando è necessario. Lei, invece, con le parole è bravissima. Le sa toccare, le sa manovrare bene, se le rigira come vuole. Gli ha detto che fra loro due era finita da un pezzo e che non stavano più insieme, anche se continuavano a vedersi e a far credere agli altri che la loro relazione proseguisse senza problemi. Tutta la discesa verso il lago è scandita dal muso lungo di lei e dalle mani dure di lui aggrappate al volante. Sembra che lo voglia strozzare e lei osserva quelle mani forti che stringono quel povero oggetto come se dovesse morire soffocato da un momento all’altro. Ha la netta sensazione che quel volante sia il suo collo saldamente chiuso fra le mani di lui. Cosa gli dirà fra poco?

   Dopo aver disceso i tornanti imboccano la strada panoramica che costeggia il lago e che d'estate è piena di turisti e di bagnanti. Vi si affacciano dei ristoranti che hanno le sale esterne quasi sulla spiaggia, fatta di sabbia nera. Ora è tutto chiuso e gli edifici, cosi vivaci nella stagione estiva, sono delle sagome scure che si confondono con la vegetazione che li avvolge. Lui vorrebbe fermarsi li, trovare un parcheggio in uno dei tanti viottoli che entrano fin quasi sull’acqua, spegnere il motore e i fari e godersi le mille luci che si riflettono sulla quella calma superficie liquida. Tira dritto, invece e arriva ai primi lampioni che annunciano il piccolo paese sul lago che sembra immerso in un silenzio senza fine. Dopo qualche secondo sentono il trillo di un fischietto e notano che giocano una partita di calcetto in un campetto illuminato li vicino. Il lago è agitato da una leggera brezza che si alza improvvisamente e il vento inizia a muovere le chiome degli eucalipti e delle betulle del piccolo parco, ricavato a ridosso del porto turistico. La ragazza avverte un leggero brivido di freddo sulle braccia nude e si tira su il golfino corto che si è portata tenendoselo sulle spalle scoperte. Costeggiano il campetto e assistono ad un fallo punito dall’arbitro con un calcio di rigore. Lui rallenta per vedere il tiro in porta, dopodiché riparte infilandosi in una stradina buia. Sbaglia ancora una volta, entrando contromano in un parcheggio, dove le auto in sosta sono disposte a spina di pesce. Lui impreca in silenzio e quando trova due posti liberi azzarda una complessa manovra. Porta l’automobile avanti di due lunghezze e poi torna indietro a retromarcia, parcheggiando di culo, in uno spazio stretto che però ha il vantaggio di permettergli di vedere il lago sulla propria destra. Lei lo osserva con curiosità. Alla fine della lunga manovra spegne il motore e le luci e dentro l’auto scende un silenzio interrotto solo dal rumore del vento sugli alberi e dalla risacca del lago che nel frattempo inizia a mostrare qualche cresta bianca.

"Se facevi altri duecento metri trovavi l’altra entrata e non andavi contromano. Parcheggiare bene non è il tuo forte, vedo".

Lo prende in giro, la fa ridere vederlo in difficoltà. Le donne hanno la ferma convinzione che un uomo imbranato è più facile da dominare. Vede il suo profilo illuminato da una luce radente e nota il suo gesto di mordersi il labbro superiore e a bruciapelo gli chiede:

"Cos’è quella cicatrice che hai sulla bocca?"

Lui ha un soprassalto, come se l’avesse colpito con uno schiaffo e per un attimo non sa cosa risponderle.

"Allora?", dice lei, "è una cosa che si può raccontare?"

"Si chiama labiopalatoschisi, ma tutti lo chiamano labbro leporino". - Dice lui sospettoso.

"Come te lo sei fatto?", replica lei incuriosita.

"Non me lo sono fatto, ci sono nato. Avevo il labbro superiore tagliato in due e me l’hanno ricucito quando avevo quattro mesi. Mia madre dice che non riuscivo neppure a succhiare il suo latte".

"Ti fa male?" , dice lei.

"No, sento solo questo leggero taglio qui sul labbro, me lo mordo quando sono nervoso".

"Come ora?", dice lei con un sorriso malizioso.

"Si, come ora", risponde lui.

"A me piace, ti da un’aria da... duro.", dice lei avvicinandosi per guardarlo meglio. 

   La strada sembra precipitata nel buio più pesto, silenzio. Lei apre il finestrino, anche se adesso fa decisamente più freddo e scruta fuori mentre accende una sigaretta che la fa tossire. La spegne dopo due boccate e fruga nella piccola borsetta che poggia sulle ginocchia. Ne estrae un piccolo pacchetto avvolto in una elegante carta nera e lucida e glielo mette sulle ginocchia, con una smorfia di finta indifferenza.

"Ecco", gli dice, "l'avevo preso per te. Non è il tuo compleanno oggi?" 

Lui è sorpreso, accende la luce, non si aspettava il regalo e neppure che lei si ricordasse del suo compleanno. Dice le prime parole che gli vengono in mente, del tipo, non dovevi, non era importante, cose del genere, ma i suoi occhi si illuminano. Lei finge di riprendersi il regalo e per un istante le loro mani lottano insieme. Si incontrano sulla carta e sul nastro argentato che lo chiude. Sorridono imbarazzati e per un istante anche i loro sguardi si incontrano. Lei osserva il taglio sul suo labbro con più attenzione, sta per dirgli qualcosa, ma proprio in quel momento dalla sua borsetta si sente un inopportuno we will rock you dei Queen. Lei sorride come per chiedergli scusa, ma apre la borsetta e ne estrae il telefonino, guarda chi la chiama e osserva lui per sapere cosa deve fare. Lui le fa un cenno col capo e apre la portiera, ma prima di scendere fa in tempo a sentire lei che dice: "Pronto... si scusa... dimmi... no, no affatto... sono a casa...". Lei gli lancia un occhiata complice e gli sorride. 

   Lui scende e richiude delicatamente la portiera dell'auto. Cammina in mezzo al piccolo parco che li separa dal lago e sente il vento, fattosi gelido, penetrargli nelle ossa. Digrigna i denti e stringe le labbra mentre tenta di mordersi la sua piccola ferita. Non ha pensato di prendere la giacca, l'ha lasciata in macchina e, a parte la sua camicia bianca nuova, non ha nient'altro indosso. Se la abbottona, tira giù le maniche e alza il colletto. Infila le mani nelle tasche dei pantaloni e sente il freddo penetrargli tra la camicia e il collo e prova un brivido che gli gela la pelle. Guarda verso l'auto e la vede ridere mentre parla al telefono, intuisce la luce verde dei tasti che rischiarano il suo profilo.

"Quanto dura ancora quel cazzo di telefonata?", dice a se stesso, mentre si dirige verso un casotto di legno che sta in mezzo al parco. Si scopre geloso e la cosa lo infastidisce. Raggiunto il casotto trova un riparo dal vento che sta soffiando e vi si appoggia sentendo la superficie ruvida delle tavole. Pensa che non è li che dovrebbe trovarsi ora, non con lei, non con la ragazza del suo migliore amico. Avrebbe dovuto capirlo subito e già pensa ai problemi che ne nasceranno e alla sua maledetta incapacità di spiegarsi. Se lo mangeranno, lo sa. Pensa al regalo che lei gli ha appena fatto, è rimasto sul sedile, non aveva fatto in tempo ad aprirlo, ma ne immagina il contenuto. Sarà un profumo da uomo pensa, secco e asciutto. Gli piacciono i profumi, rinchiusi in quelle bottigliette opache, dentro quel vetro prezioso. Sente di non averla capita, di non aver capito niente di lei. Pensa a quella domanda a bruciapelo sulla sua cicatrice, sul labbro leporino, ricorda con quale curiosità lei l'aveva osservata prima. 

   Il freddo gli penetra sottopelle e gli gela i capelli in testa. Lancia una rapida occhiata da dietro il casotto di legno e vede buio dentro la macchina, nota solo una piccola luce che si ravviva a intervalli e che rischiara il suo volto. 

"Ha finito di parlare al telefono", pensa, può finalmente decidere di rientrare in auto e mettersi la giacca. Si stringe nelle spalle e affonda maggiormente i pugni in tasca. Quando arriva davanti alla portiera si ferma un istante e la guarda: "L'ho delusa", pensa. Apre la portiera e si mette seduto al suo posto di guida. Lei lo accoglie con un sorriso, mentre finisce di spegnere la sigaretta. Lui si trova il regalo fra le mani e lo scarta. E` un profumo e nota con sollievo che non è lo stesso che usa il suo migliore amico. "Grazie", le dice.

Lei ha finito la telefonata da un bel pezzo, poi l'ha visto scomparire dietro un casotto di legno e ha pensato che era sceso dall'auto perché gli scappava da pisciare. I maschi pisciano dappertutto, tirano fuori il pisello e la fanno in qualsiasi posto si trovino. Che stronzi! Lo osserva con compatimento come se fosse un bambino piccolo. Lui notando il suo sguardo sente di doversi giustificare e allora le dice:"Sono stato dietro quel casotto di legno laggiù per ripararmi dal freddo. Avevo lasciato la giacca in macchina, ma non mi andava di disturbarti mentre telefonavi".

"Potevi prenderla tranquillamente", dice lei sorpresa, addolcendo il suo tono di voce e accompagnandolo con un gesto della mano ad indicare la giacca sul sedile posteriore.

"Ma no, adesso sto bene", dice lui.

   Lei lo vorrebbe abbracciare, ora. Abbracciare perché non era andato dietro il casotto per pisciare. Lo vorrebbe stringere a sé, perché è rimasto li fuori al freddo per lasciarla parlare liberamente al telefono.

"Non è come gli altri", pensa. Lo vede impacciato, non ha azzeccato un parcheggio, ma proprio per questo vorrebbe che lui la abbracciasse e la tenesse stretta. Vorrebbe che lui, ora, la guardasse ancora negli occhi, dove non la guarda mai. Lui invece rimette in moto e compie le sue laboriose manovre per uscire da quel parcheggio. Quando infine ce l'ha fatta, si infila nelle stradine del centro e sembra procedere senza una meta precisa. Improvvisamente prende per una stradina stretta e volta verso lo spiaggione dove i piccoli pescatori lasciano i loro gozzi tirati in secca e dove riparano le reti lasciandole aperte lungo tutta la spiaggia. 

   Passano davanti ad una bella casa, con la facciata ridipinta di fresco che fa risaltare il bel terrazzo in pietra e ferro battuto. Le persiane verdi alle finestre aggiungono un tocco di classica e austera eleganza. Lui pensa che la porterebbe li a vivere se avesse la possibilità. Si lascerebbe crescere un paio di quei cazzo di baffetti da malavitoso per coprire quella cicatrice sul labbro e lei vestirebbe sempre con una vestaglia di raso nero con le spalline sottili, come quelle che lo fanno impazzire quando guarda le vetrine dell'intimo femminile e vede quei manichini che sembrano donne vere girare su sé stessi. Proseguono verso il porticciolo dei pescatori e quando vi giungono parcheggia a ridosso delle barche e scendono insieme dall'auto. Camminano per un tratto a piedi, poi lui improvvisamente le prende la mano e la trascina in una corsa che la fa gridare e ridere. Quando finalmente si fermano batte forte il cuore ad entrambi e ridono, mentre respirano forte con la bocca.

"Basta, basta, ti prego", dice lei con la voce spezzata, mettendosi una mano sul petto per calmare il respiro fattosi affannoso. Lui si volta a guardarla e pensa che è bellissima così, rossa in volto per la fatica della corsa. Qualche ciocca dei capelli si è liberata dal rigore che gli aveva imposto con le forcine e ora le ricade sul viso impigliandosi in bocca, lei lo prende e lo scosta delicatamente con la mano.

"Forse dovrei baciarla ora", si dice lui. Questo gli pare proprio il momento buono. E`una delle poche iniziative che le donne lasciano ancora, completamente, in mano all’uomo. Sta a lui capire quando è il momento giusto, se è bravo. Loro lasciano delle tracce, mandano dei segnali che, ne sono convinte, sono chiari e inequivocabili. Se non li sa comprendere, beh, già da quello si capisce che tipo è. Lui tentenna e non sa decidersi, gli manca il coraggio, pensa che l’amore è come una guerra di posizione. Conquisti una postazione, ma non puoi rimanere bloccato in trincea, devi agire, prendere l’iniziativa, darti da fare. Forse è per questo stress da conquista che molti uomini, dopo sposati, sentono una grande stanchezza e passano il resto della loro vita sdraiati sul divano con un telecomando. Pensa questo e ride, il labbro gli si solleva e lei lo guarda stupita.

"Perchè ridi?", gli chiede.

"Pensavo a noi due dopo il matrimonio".

"Quale matrimonio?", dice lei allarmata.

"Ma no, nessun matrimonio", dice lui.

Rimane voltato a guardarla e lei con due dita accarezza la sua bocca e gli tocca la cicatrice sul labbro superiore. E`leggermente arrossata e percepisce il solco, mentre lo sfiora coi due polpastrelli.

"Ti fa male?", gli chiede, con il tono di voce fattosi improvvisamente serio.

"No", dice lui. "Non è contagiosa, se hai paura di questo e non si trasmette per via ereditaria. E`una malformazione dei geni durante la gravidanza e capita ad un bimbo su ottocento circa, a me è toccato questo piccolo dono". Lei gli da uno schiocco con le dita sul labbro e ride.

"Ahi!", dice lui e ride. "Avevo appena quattro mesi quando mi fecero operare, non ricordo niente".

"E prima dell’operazione com’eri?"

"I miei genitori hanno conservato delle foto, ma io le ho viste per la prima volta solo qualche anno fa. Ce n’è una dove sto sdraiato nudo sopra il lettone, come tutti i bambini del mondo; in un altra allungo le mani per afferrare qualcosa. In una che mi piace tanto, sto morendo di freddo e ho un cappello di lana gialla con una pallina in testa. Ho gli occhi chiusi e mia madre dice che dopo quella foto ho pianto. In ognuna di quelle immagini si vede un bambino con un taglio orrendo sul labbro superiore che entra e si perde nel naso. E`causato da una malformazione del palato che durante la gestazione non si è saldato e che interessa anche le due metà delle ossa dei denti superiori, lasciando una frattura che separa anche le due metà del labbro. Si nasce così ed è uno shock anche per i genitori che si aspettavano il loro bel bambolotto". 

"Ma tu parlavi di un operazione, vero?", dice lei scossa.

"Si, tra il terzo e il quarto mese di vita, quando si raggiungono almeno i sei chili di peso per sopportare una anestesia totale. Allora ti saldano le ossa del palato e poi ti chiudono il taglio che hai sul labbro. Da quel momento in poi assumi un aspetto “umano” e anche i tuoi genitori hanno più facilità ad accettarti. Ti da fastidio se ti racconto queste cose? Sai, è la prima volta che lo faccio e non so perchè ora lo racconto proprio a te e proprio il giorno del mio compleanno".

"Oggi fai una cosa nuova", dice lei, "é come se tu rinascessi, ma non so se vorrei vedere quelle fotografie, almeno non subito".

   Camminano insieme, mentre parlano e non si sono resi conto di tenersi per mano. Quando lo capiscono ridono entrambi, ma l’imbarazzo dei primi momenti è svanito. Camminano lungo la spiaggia sfiorando le reti e le barche rovesciate. Una barca più grande e pretenziosa delle altre è colorata interamente di rosso con una fascia azzurra, sta ritta sulla sabbia. Ha dei terribili denti aguzzi sulla prua dipinti di bianco, dentro una bocca spalancata come quella di un pericoloso pescecane. Lei gliela indica e ridono. Sopra la bocca spalancata una terribile scritta nera indica: Lucifero!

"Forse è per spaventare i poveri pesci del lago e farsi prendere più facilmente", dice lui. Ridono.

"Vediamo se prende anche me", dice lei, appoggiandosi con le spalle alla barca e fingendo di essere un pesciolino. Lui si avvicina e le passa le mani sotto il maglioncino prendendola alla vita. Col suo corpo fa una leggera pressione sul corpo di lei. Li appoggiati su quella misteriosa barca tutto sembra più facile, anche il vento pare essersi calmato. La luna se ne va a zonzo senza meta nel cielo nero. Passa improvviso un motorino con due ragazzi a bordo che spezza col suo faro il buio che li protegge avvolgendoli. Gridano qualcosa di osceno e ridono, mentre si allontanano. E ora il buio è proprio vero, è silenzio ed è notte.

"Pare che funzioni", sussurra lei, "i pesci abboccano".

  La sua maglietta scollata, la sua gonna leggera, le sue gambe forti e abbronzate, i sandali d’argento eleganti, il golfino leggero e corto, il sorriso, ora dolce, nei suoi denti, le sue dita lunghe e affusolate, i suoi capelli, così simili al bosco, la sua pelle, così vicina alla sua.

"Non hai freddo?", le dice.

"No, sto bene qui", gli risponde con un filo di voce. Poi l’attira più forte a sé e sente le sue labbra per la prima volta. Il suo corpo è elastico, la corporatura è robusta e piena, adatta per i figli, ma è straordinariamente morbida e leggera. Il suo profumo delicato lo inebria. Sente la punta della sua lingua cercarlo li dove ha la sua ferita e rabbrividisce. 

"Lucifero!", pensa.

Poi si abbandona e sente il lago. Tutto quel mare di acqua entrare dentro di lui.

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