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FRAGILE: Lo spazzolino da denti e Marilouise.

Post n°110 pubblicato il 07 Gennaio 2013 da alex.canu
 

 

 

 

   La prima volta che ho utilizzato uno spazzolino da denti avevo giá passato i diciassette anni. Marilouise era una mia compagna di classe che aveva due misure più delle altre, piú di qualunque altra ragazza. Le mancavano peró due denti, un premolare e un molare, cosí quando rideva o sbadigliava si copriva con la mano. Accadeva a volte che si dimenticasse di farlo e allora le si vedeva, attraverso il vuoto lasciato da quei due denti assenti, la lingua che si muoveva avanti e indietro dentro la bocca. Aveva nella complessione generale qualcosa di primitivo, precedente all'etá del ferro. Sembrava appartenere all'origine del mondo, ad un paleolitico del pensiero umano, ne aveva la stessa sostanza e la stessa forza attrattiva. Una statuina d'osso preistorica di pochi centimetri, alla quale ci si rivolgeva con suoni informi, privi della dolcezza delle vocali. La parola non era contemplata, sembrava non rientrare nelle sue potenzialità espressive. Immaginavo che fare l'amore con lei sarebbe stato come un afferrarsi per la schiena, uno strattonarsi e rovesciarsi violento sulla terra. La immaginavo inselvatichita mentre le andavo dietro le spalle e le serravo il collo costringendola a voltarsi, ma con il resto del corpo fermo e ben saldo, stretto fortemente con l'altro braccio. Fantasie, certo, ma lei collaborava pienamente a questo modello di femmina primitiva. Non avevo mai usato il dentifricio e non possedevo quindi uno spazzolino da denti. Non mi ricordo più come potessi farne a meno allora, ma la realtà delle cose é questa, non mi lavavo i denti ne dopo pranzo, ne dopo cena, mai. Mio padre e mia madre non se li lavavano e quindi non me li lavavo neanche io. Marilouise stava due banchi più avanti di me e io non mi ci ero mai seduto insieme, mi metteva un po' d'agitazione e mi eccitava l'idea di starle accanto, sentivo che se avessi preso a frequentarla avrei potuto regredire allo stato selvatico. Ero convinto che avrei preso a ululare come i lupi e nutrirmi di carne cruda. Avrei fatto i miei bisogni primari nei boschi, l'avrei presa sempre di spalle in maniera violenta e rapida, picchiandola con i pugni, sui fianchi larghi e disponibili. Queste fantasie mi ossessionavano e lei, naturalmente non sospettava nulla. Il mio stesso aspetto fisico le impediva di immaginare simili o altre perversioni agitarsi disordinatamente tra riccioli castani e aspetto serafico. Il mio corpo minuto e gentile non tradiva odori ferini. I miei occhi si perdevano in sguardi innocenti e inoffensivi che le ragazze scambiavano per dolcezza infinita. Fino a Marilouise l'avevo creduto anch'io, poi emerse dal fango e dall'umido muschioso del mio inconscio un mister Hide di cui non avevo mai sospettato l'esistenza. Una volta mi venne un dolore fortissimo ad un molare, mia madre mi ci ficcó dentro un grano di sale che mi anestetizzó momentaneamente il dolore che peró non mi abbandonó affatto e dopo poche ore, durante la notte, si ripresentò ancora più forte di prima. Due giorni dopo mi portó dal dentista della mutua, un signore triste, grasso e silenzioso, con due mani grosse come pale da fornaio. Il dottore mi diede una rapida occhiata e poi mi fece una puntura di un anestetico amaro sulla gengiva. Mi fece aspettare per qualche minuto e poi mi richiamó. Mi sedetti sulla poltrona reclinabile e quel macellaio mi cavó fuori un molare nuovo di zecca, aveva solo una piccola carie, si poteva curare facilmente. Mi chiese soltanto che tipo di spazzolino usassi e se lavavo i denti con regolarità. Io e la mamma lo guardammo sorpresi, come se il dentista grasso avesse detto qualcosa di buffo, in una lingua strana e incomprensibile. Signora, suo figlio deve iniziare a lavarsi i denti con regolarità, disse a mia madre con una voce lamentosa da tartaruga, non a me direttamente. Naturalmente non gli demmo più importanza di quanta non ne avremmo data ad uno che ci avesse detto di sbucciare la frutta con coltello e forchetta indossando un paio di guanti bianchi. Quando ebbe terminato di guardarci con i suoi enormi occhi di bue e stava buttando il mio molare quasi buono dentro un secchio, gli chiesi se lo potessi avere. Il dottore si meraviglió per quella stramba richiesta. Che ci devi fare con questo dente? mi chiese sospettoso, ma alle mie insistenze lo avvolse dentro un pezzo di carta che strappó da un rotolo e me lo ficcó in mano, intimandomi di non mostrarlo a nessuno, che non erano cose da far vedere agli altri. Me lo portai a casa e, dopo tanti anni che riposava dentro una scatolina di legno, avvolto ancora nello stesso fazzoletto di carta col quale me l'aveva consegnato il dentista incapace, é finito a fare bella mostra di se dentro un quadro. Una mattina in classe, Marilouise se ne stava tutta sola nel suo banco, la sua compagna non era venuta e la sedia al suo fianco era rimasta vuota. Lei non aveva il libro di inglese per via dell'assenza della sua amica, mentre io e il mio compagno di banco ne avevamo uno di troppo. Allora la prof. Mi dice di spostarmi e di sedermi accanto a lei. Il mio compagno mi da un pugno sotto il banco sulle gambe e si mette a ridere, mi fa, uuuuh, imitando l'ululare selvaggio dei lupi e continua a ridere fingendo di grattarsi come gli scimpanzè. Quando la raggiunsi sentii subito l'odore acre della sua pelle e quando si voltó mi fece un sorriso privo dei suoi due denti. Aprii il libro alla pagina della lezione e ci avvicinammo, toccandoci con i gomiti e con le ginocchia. Stavo male e pensai che quella lezione non l'avrei seguita affatto. Immagini di forre di terra umida, cespugli spinosi con bacche nere e statuette di divinitá falliche dell'etá del bronzo medio mi si rovesciarono nella mente. Dovevo resistere alla tentazione di spogliarmi e di grattarmi forte. Sentivo sulla pelle una peluria fitta e ispida crescere rapida, simultanea al desiderio di ululare con la gola tesa alla lampadina della classe e che stava per soppraffarmi. Marilouise, ignara della mia metamorfosi animalesca, scatenata dalla sua natura selvatica e inconsapevolmente primordiale, mi si avvicinò e con le labbra mi bisbiglió qualcosa come di girare la pagina del libro. Mi si avvicinó cosí tanto che il suo respiro si confuse con il mio, il suo alito felino mi annientó disorientandomi. Non lo potei più sopportare oltre, era troppo anche per me che l'adoravo e me ne allontanai rapidamente. Sopravvisuto alla lezione tornai a casa e, dopo pranzo, chiesi a mia madre perchè io non avessi mai avuto uno spazzolino da denti. Ma, veramente noi non... balbettó lei, finora non l'avevi mai chiesto, si giustificó. Il dentista peró ha detto che dovrei curare l'igiene della bocca, o sbaglio? É vero, ammise mia madre mortificata. Il giorno dopo avevo il mio primo spazzolino e il mio primo tubetto di pasta dentifricia. Quello mi piacque subito, aveva un forte sapore di menta fresca che mi lasció l'alito piacevolmente profumato. Non capivo esattamente perché quel giorno mi sentissi piú grande, ma avevo una gran voglia di baciare dolcemente la compagna di banco di Marilouise. Celeste aveva tre misure meno di lei é vero, ma le sue forme erano piú proporzionate e aggraziate. La sua compagna di banco mi faceva venire voglia di ascoltare musica dolce e rilassante, come una nenia araba con rumore di acqua che scorre da fontane sorgive. Aveva occhi scuri e grandi, la pelle era chiara e trasparente. I capelli, neri e spartiti al centro, le cadevano simmetrici sulle spalle fragili e i seni si intuivano piccoli e robusti. Marilouise era esattamente l'opposto, niente suoni di nenie orientali o acque di fresca fonte, ma tamburi tribali lontani, battuti con mazze di legno che bruciavano gagliarde alla fiamma di fuochi pericolosamente vicini alla nostra pelle. L'ululato disperato dei lupi mi mancava, Celeste mi offriva tranquillitá e cinque centimetri circa di dentifricio spalmato su uno spazzolino con setole sintetiche al giorno, ma questa é un'altra storia. 

 

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