Alfredo Fiorani

L'incantatrice orientale


Ci sono, nelle ormai fatiscenti e carnascialesche scenografie del nostro screziatissimo e caleidoscopico Barnum letterario, come bene consumo, talvolta anche come ritorno costante del periodico prodotto d’autore, appuntamenti abitualmente attesi con le opere di scrittori affermati e rare sorprese di nuovi nati un po’ confusi nel gran bailamme quotidiano delle meteore e delle future stelle fisse.Di Alfredo Fiorani mi piace parlare quasi si trattasse di un perenne esordiente, e forse – glielo auguro – di un postero sopravvissuto, capace nel decennio della sua attività di prosatore per vocazione elettiva e di poeta fra le righe (cioè quale autore di poesia in temporaneo surrogato alla messa a punto di più complesse architetture narrative) di progressivo affinamento espressivo in concomitanza della maggiore incisività sintattico-lessicale; quando beninteso non si lasci andare, per smania d’imporsi, ad una ricerca narcissica della parola o dell’effetto, sempre comunque ripescati con sensibilità da duttile sedimentazione culturale.Esordiente perenne, dicevo, con quel che di freschezza questo comporta, pensando al fatto che alla qualità della sua scrittura, pur nella non sporadicità di buoni riconoscimenti e nell’avallo di rinomati predatori, è mancata finora (e fino a quando?) la risonanza a grancassa che, oggi, può essere orchestrata solo dalle cordate operative delle grandi case editrici.La vecchia consorteria intrigante, ogni tanto malevola ma intelligente dei recensori d’antan, che se non assicurava vasta eco sapeva almeno garantire col suo special tam-tam privato una dignitosa quanto produttiva stima a che lavorava e creava con dignità fuori dei circuiti privilegiati, si è purtroppo estinta. I nuovi feudatari si sono trasferiti nei modernissimi Pirelloni a manovrare studiatissime catene di montaggio; ad una libera repubblica delle lettere si apre l’accesso ad una sorta di Colosseo asfissiato dal traffico circostante, ove ognuno, dopo aver sventato il più che probabile investimento, ha libero diritto d’accesso o  d’asilo ad evocare sulle macerie viventi fantasmi, sempreché abbia cuore ed esercitata fiducia che d’improvviso, per una banale coincidenza dei possibili, si facciano carne e sangue.Io non so quando e come, e se mai, per Fiorani accadrà che l’attuale cerchia di estimatori ed amici sarà messa in disparte dal sopravvenire di un folto pubblico; e quando La 13ma ora, Il fiume e le stelle, I labirinti di Joyce potranno diventare le indispensabili tappe di avvicinamento critico al recentissimo L’incantatrice orientale. Non disponendo di un flauto magicamente suadente, so soltanto di poter suscitare l’attenzione di sparuti ed intelligenti lettori, i quali non meritano a questo punto l’offesa di vedersi sciorinato il compitino diligente dell’esile riassunto di una trama con i pochi condimenti del caso, secondo prassi sterile ovunque dilagante. Chi vorrà, non faticherà a trovare da solo il percorso ed il personale punto d’osservazione e giudizio, l’ottica particolare che di certo lo ricompenserà del breve dono del suo tempo.Giuseppe Papponettiin: Oggi e Domani, Anno XXII, n. 6, 6/94