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Giuseppe Rosato: “Traccia di beltà”

Post n°57 pubblicato il 13 Marzo 2009 da alfredofiorani
 
Tag: Autori

di: Alfredo Fiorani
in: AbruzzoCultura, 12 dicembre 2008

Bisogna essere cauti nel riportare un giudizio sulle poesie di Giuseppe Rosato, almeno per quest’ultima raccolta, perché i versi ad una prima lettura “sembrano” filar via veloci sotto gli occhi e nella mente, come pattini sul ghiaccio, mentre poi a riporci lo sguardo sopra ci si accorge che le cose stanno in tutt’altro modo: in realtà, quella lastra di ghiaccio è disseminata d’insidie in cui cadervi rappresenterebbe la sciagurata perdita della bellezza del “sopra” da Giuseppe Rosato così mirabilmente costellato di gioielli espressivi.

Categoricamente, è il trarre dall’amore la consapevolezza del vivere: l’amor fati, inevitabile ed inestricabile legame con tutto ciò che si riconduce all’esistenza umana; quasi, con inesorabile dolcissima persistenza nella visione del poeta. L’amore è il permanente scambio intrecciato con la persona amata, l’indimenticabile ed indimenticata Tonia per Rosato, e con quanto vi gravita intorno, lo coinvolge e l’avvolge nello spazio interrotto del tempo che lui chiama “la traccia di beltà”. Ed è “La traccia di beltà” a dare il titolo a questa raccolta che assembla versi apparsi sulla rivista “Oggi e Domani” ed altri desunti da raccolte uscite a partire dal 1957 fino alla più recente “L’inguardabile vero” (Tracce, Pescara 2005).

La raccolta, si badi, non è da ridurre solo ad un cerimonioso canzoniere, ma ad un possibile diario intimo in cui confluiscono tutte le assenze e le presenze di una vita, che gliela hanno resa vivibile; anzi, talvolta sul fronte sentimentale, ineguagliabile ed inimitabile. Ma qui sentimentale conferisce l’atto ogni comprensivo delle “intermittenze vive” che hanno legato e legano al mondo il transito terreno di Giuseppe Rosato.

Molto si fa paradigma alle forme fondamentali dell’amore puro, della memoria implacabile, del “buio dolore”, della piena malinconia. Quando non è trascrizione fedele dei cicli della luce che accompagnano il tempo dandogli forma e colore, del vagare dei profumi quasi avessero con le cose un’intimità permanente da non dare scampo al pensiero sull’amata: “Ti sento nell’odore della pioggia”, “l’odore delle sere/tra la polvere estinta delle strade”; dell’”oscillare delle stagioni” su cui si dondolano teneramente i ricordi o si scandiscono i ritmi della tristezza.

Dunque, il consolante pensiero di lei è il pensiero di sé, pensare all’altra è pensare a se stesso, dandosi la vita. In questo ininterrotto, instancabile esercizio mentale riscorre il sangue, la linfa vitale della ragione risale dalla radice fino a fargli rigermogliare qualche bacca colorata nel mezzo del grigio della vita. Ma, soprattutto, a ridargli l’illusione di riuscire a spostare in avanti ancora un po’ il tempo - che comunque continua ad essere il “loro” tempo - e a dirsi: “facciamo finta che non è finita”.

(Giuseppe Rosato, “Traccia di beltà”, NOUBS Edizioni, 2008, pagg. 83, Euro 15)

 
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