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« Fondamenti di luministicaItaliana »

Adelfina Cardarelli

Post n°24 pubblicato il 14 Gennaio 2008 da alfredofiorani
 

L'ora delle ombre

PREFAZIONE

Presentare un poeta esordiente comporta di per sé qualche responsabilità.
Ma se partiamo dal presupposto che qualsiasi forma espressiva, maggiore o minore che sia, è sempre il frutto di una condizione interiore sostenuta dall’ansia di “ricercare” o di “ricercarsi”, cioè di intrattenere con l’esistenza un rapporto di conoscenza, allora, sentiamo di assumerci, senza la benché minima titubanza, ogni responsabilità nell’introdurre Adelfina Cardarelli nella “società delle lettere” a beneficio della stessa, perché è nostra convinzione che chiunque ne entri a far parte, al di là del posto assegnato (più o meno adeguato), apporterà il suo contributo di intelligenza, di spiritualità, di esperienza che si andrà a sommare all’intelligenza, alla spiritualità, all’esperienza dei partecipanti, componendo l’inequivocabile corpus dell’arte.
Elisabetta Rasy, nel suo Le donne e la letteratura, annota: «C’è, nell’immagine stessa della donna che scrive, qualcosa in più, di diverso dal solito, di anomalo (il corsivo è nostro), di sfuggente, di ambiguo».
L’anomalia risiede nel fatto che tutte le donne “scrivono”, includendo per scrittura non necessariamente l’atto, l’esercizio in sé, bensì la frequentazione di un universo intimo, per pudore non sempre palesato a causa della mancanza o inesattezza dei mezzi espressivi oppure per una mancata vocazione alla scrittura.
Ad ogni buon conto, per quello che ci riguarda, esiste una folta letteratura diaristica, epistolare o autobiografica da molte donne prodotta – non sempre o solo tardivamente venuta alla luce.
Oggi non meno che in passato (abbiamo ragione di ritenere).
Ma non è questo il punto.

Torniamo a dire: le donne scrivono anche quando non scrivono, poiché il loro mondo interiore, come un’enciclopedia, accoglie dentro di sé, elaborandolo, l’universo “esterno” in tutta la sua complessità; nulla viene ritenuto di secondaria importanza, nulla sottovalutato.
Per converso, tutto quanto collocato, disposto, sistemato, riflettuto, sorvegliato: i sentimenti e gli oggetti, le persone e gli animali, l’etica e l’estetica, il bene e il male, il presente e il passato, le afflizioni e le gioie, le parole e i silenzi, il superfluo e il necessario con l’amorevole, assidua cura che solo una donna sa dedicare nell’arredo delle sue “stanze”.
Adelfina Cardarelli per anni si è occupata della sistemazione delle sue stanze, ma solo ora si è decisa ad aprirle alla curiosità “anglosassone” del visitatore.
Così, su suo invito, ci siamo introdotti in esse liberi da preconcetti di modo che dalla nostra visita potessimo riportare le giuste impressioni, le più aderenti possibili alla definizione dell’intimo carattere della nostra ospite.
Ebbene, a visita ultimata, una volta fuori, l’idea che si è conformata in noi, le sensazioni infuseci da quegli “interni”, la cui essenzialità dell’arredo, la solitudine di soprammobili impolverati, la delicatezza di parature scolorite, la leggerezza dei panneggi lisi, la sobrietà dello stile, l’ultima fragranza di fiori appassiti, l’assenza di recessi, nicchie o ricettacoli, la presenza di una luce vesperale, promanano da una donna che intrattiene con l’esistenza un legame essenzialmente tenuto in vita da lontane gioie (resti di gioie mutate, Crepuscolo), dal rimpianto di ciò che era (anch’io ero un fiore un tempo, Io sono), dall’amore per i figli (Tu raggio di sole che illumini il mio cammino, A Michele), e dalla speranza riposta in Dio (Padre se io mi nascondo dietro le nuvole bianche portami tu dove il sole splende e rallegra i miei giorni che noiosi se ne vanno, Pensiero a Dio).

Pur tuttavia, appena fuori, abbiamo avvertito un senso d’insoddisfazione, perché non tutto era stato da noi compreso a pieno, perché qualcosa d’altro era presente in quelle stanze: una presenza impalpabile ma diffusa, inafferrabile ma reale, fantomatica ma sovrastante l’intero insieme.
Alla fine, l’enigma si è rivelato di soluzione più facile di quanto pensassimo.
E cos’era se non l’impercettibile, persistente soffio del Tempo: questo respiro ampio, questo alito costante che rode, deteriora, impolvera, scolorisce, che tende a desertificare, a scarnificare, a radere, insomma, a ridurre tutto prima in pietra e poi in polvere.
L’inesorabile azione del Tempo, «che vorrei poter fermare» (Rimpianti) scrive.
L’Autore la constata su di sé, la sua immagine la riflette: «Neri capelli che i quarantacinque anni vanno sbiancando» (Quarantacinque anni), oppure «di anzianità l’omero ricurvi ed io di mia età lo stesso al tuo passo fatale mi accingo» (Vecchio), o ancora «L’autunno vive in me ed è in me che vive facendomi soffrire» (Autunno).
Ciò nonostante, Adelfina Cardarelli sa cogliere quei motivi che la portano al salvifico, necessario distacco.
Il segreto risiede, forse, talvolta nel lasciarsi andare «come naviglio nell’alta marea» (Alta marea), talaltra nel non opporre resistenze, nel trovare anche nei momenti di sconforto, di amarezza, di oscurità, un’apretura, un motivo di fuga, nel carpire un’accensione improvvisa di speranza foss’anche rinvenuta nelle “zolle d’erba gentile”, in “virgole di luce”, in una “fonte zampillante”, nella “dolce quiete” o nelle persone a lei più care: «Sei l’insormontabile canto divino che echeggia nell’universo» (Massimo), «Come monili serbo nello scrigno del cuore il tuo ricordo» (Madre).

L’animo della poetessa, per quante tristezze l’abbiano potuto offendere, segnare, conserva la soavità delle aurore, la leggerezza del volo di gabbiano, la tenerezza di una foglia, perché esso vive una sorta di difensivo sacrale “bozzolo poetico”, raggiunto attraverso il filo dell’estraneazione, dell’estasi, della contemplazione: sembra che lì dentro la giostra del quotidiano si arresti e in quella sosta trovi la tanto sospirata pace, la forza rigeneratrice, le ragioni stesse dell’esistenza, il silenzio necessario per riflettere e ricostruire l’indispensabile volontà per riportarsi nel mondo, in una parola, il raggiungimento della catarsi.


Alfredo Fiorani

 
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