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LA MEMORIA DEL TEMPO DI ALFREDO GIGLIO


  LA MEMORIA DEL TEMPO di Alfredo Giglio ©   L’era di stagioni ormai svagate, immemore dell’ampiezza antica rimescola nel suo turpe gioco l’acque, che prima avea  nell’alveo imbrigliate. L’intruglio della sorte che soverchia il cosmo, signore della lotta fra il nascere e la morte, con l’apparir di pioggia nel pallido autunno e dei rai del sole in dolce primavera, nel distinto spazio ch’è poi sortito in quel dell’emisfero, infine s’è perduto ed è abortito. Or piove in termidoro, tanto che masse d’acque fra i vicoli e le case son correnti e scorron più veloci dei torrenti. Fiorisce il mandorlo in piovoso per poi bruciar con l’aere gelato del ventoso, che resta ancor più pazzo del passato. La memoria del tempo è già cambiata, al pari della vita. Avanti ormai nella vecchiezza, la ricordanza a lui non è gradita. S’inverton le stagioni nel mentre l’uomo resta privo d’orizzonte, che più non appare alla sua vista e sempre più smarrito e indifferente osserva trepidante che le divizie tutte della terra van solo dalla picciol banda di chi il potere fortemente serra. E l’altra parte della gente a questo mondo nata piange se stessa, nel limbo del dolore confinata. Subisce la sconfitta dell’agone, dove ogni forma d’amore, rimane in embrione e prima di veder l’albore, nel pianto annega e ancor più lentamente  infine muore. Alfredo Giglio