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NOSTALGIA DI ALFREDO GIGLIO


  NOSTALGIA di Alfredo Giglio ©     La vita s’è risolta in un baleno e la vecchiezza batte, come valanga che piomba sul terreno. Cedo così, chiudendo gli occhi, a lontane visioni ormai sfocate della mia giovinezza non vissuta, che breve fu nel proprio moto e nel dolor distrutta e vilipesa e mai accetta all’anima tradita, che volea la morte più gradita. Ora che gli anni son passati e la quiete appare al cor, non tormentato e spento privo di virtù e più solitario, affiorano i ricordi nella mente a ritrovar la luce, come naufrago risale in superficie per respirare, negando morte all’onde tumultuose. Timida s’affaccia la malinconia del lasso in cui i palpiti più dolci eran per lei, lontana e voluttuosa. Di quella breve parentesi di vita nulla rimane se non la nostalgia. Il pianto per i duoli d’amor fu vano e stolto il pensar ch’ella fosse come monte immacolato, ove il piede mio ancor profano l’orma non avrebbe mai lasciato. L’acerba mia stagion a me parea dovesse poi durar più tante fiate e la speranza più conto non tenea del tempo, avverso alla passione avita. Godete con amor la giovinezza senza mai avvertir la timidezza del fascino bugiardo, che anch’esso affretta il passo senza lasciar traccia di se stesso. Andate fieri della vostra forza, giovan virgulti, che guardate il mondo come un forziere ricco di preziosi. Ricercate, con gioia, la verità, fra mille viuzze di follia umana. Non adulate mai chi ha fame di falsa luminanza e non avrà mai gloria in questo mondo infame. Abbiate fiducia in voi e non cedete a coloro ch’in nome d’una fede senza fondamenta, v’impone leggi astruse, senza senso. Voglia di libertà vi sia compagna nel cuore, nel braccio e nella mente che serva a conservare l’esistenza. Non siate vogliosi d’apparire ma solo fieri d’essere e sapere. Io che sulla scena della vita son rimasto in ombra, aborrendo la riflessa luce or chiedo venia a chi per gioia e per diletto ha seguito l’opra mia, nel mentre vicino alla mia svolta continuo nel mio picciol canto e trovo pace sol nel mio rifugio in quel cantuccio remoto d’una stanza, fra tanta  carta senza rinomanza ov’io, solingo, a meditar m’indugio. Alfredo Giglio