fabbrico ali usate

la solita storia di amanti


L’albergo degli amanti è senza vetrate e con i corridoi che sanno di fretta, lampadari che spargono poca luce e scale in cui i tacchi non fanno rumore. “Sei bella” le dico e lei si ferma sorpresa sull’ultimo gradino. Strizza gli occhi e socchiude le labbra per chiedere un bacio. Che arriva. Puntuale e assoluto. Più di quanto la voglia l’ha disegnato, più di come l’ho sognato. La porta si apre silenziosa e mentre la chiudo lei mi abbraccia ridendo. Chissà quanti altri nel mondo stanno riempiendo stanze di alberghi. La spoglio, mi spoglia. La stringo. Mi stringe. La bacio. Mi bacia. Un vortice intenso di profumi e sapori, di lenzuola e cuscini, di asole strette, di gesti ansiosi di mani, di labbra che premono e di labbra che accolgono. Di fianchi struscianti. Di sessi che si rincorrono e si uniscono. Distesi sul letto la sento quando mi dice “Quanto mi sei mancato. Nei giorni di sole e di pioggia, ma più di tutto nelle notti stellate”. Parole che volano e si fondono all’aria. Parole che tornano doppie e mi scavano dentro. Mi avvolgono. Fuori, un viale che vive di auto e di autobus, di locali di birra e di pizzerie. Una folata improvvisa di vento che sbatte sui vetri, per un attimo ci riempie di brividi. Un lampo. Un tuono. E la pioggia che scroscia. Fisso le sue spalle, il suo corpo formoso. Forse soltanto per riempirmi gli occhi di lei prima che vada. E’ nuda, bella mentre si trucca allo specchio. Mentre in penombra si riveste lentamente, così lentamente che che arrivassi in quel momento potrei pensare che si stia spogliando. Guarda l’ora e non crede ai suoi occhi. Mi dice che è tardi, che non può perdere il treno, che qualcuno la aspetta. “devo andare”. Scendiamo abbracciati. Nel viale la pioggia cade fitta. Il vento che soffia ci scompone i capelli. Si gira, mi stringe le spalle e muta mi chiede qualcosa alla quale non so’ dare alcuna risposta. Lì su quel marciapiede, in una notte piovosa di giugno, è sempre la solita storia d’amanti.