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Protezione Civile, passa la legge. Ma il governo va sotto tre volteLa notizia: è stato approvato il pacchetto di misure sulla Protezione civile. Duecento ottantadue sì, 246 no. Non ci sono più le mostruosità contenute nella prima stesura (la trasformazione dell'ente in società per azioni, la garanzia dell'immunità per i «commissari») ma resta un provvedimento bruttissimo. Che delega alla Protezione Civile, anzi meglio: a Bertolaso, tutto ciò che riguarda la ricostruzione in Abruzzo. Di notizia ce n'è però anche un'altra: e che comunque a questo piccolo - per molti insignificante - cambiamento del provvedimento ci si è arrivati grazie al fatto che il governo è stato costretto a non ricorrere alla fiducia. E a fargli cambiare idea, di più, come detto: a costringerlo a cambiare idea, è stato proprio il Presidente della Camera, Fini. Che in una burrascosa riunione con i capi-gruppo aveva concordato una sorta di patto: l'opposizione avrebbe ridotto a 40 - da 220 - gli emendamenti, in cambio la maggioranza avrebbe rinunciato a mettere la fiducia. A metà mattinata di ieri, però, tutto è sembrato tornare in alto mare. Il sottosegretario Bertolaso aveva fatto capire che i tempi stavano riducendosi (il decreto deve essere convertito in legge entro febbraio e deve ripassare a Palazzo Madama) e che quindi, probabilmente, si sarebbe fatto ricorso al voto di fiducia. A questo punto, Fini ha perso le staffe. Si racconta di burrascose telefonate con Cicchitto, si «narra» di un Presidente infuriato come poche altre volte contro la «sua» maggioranza. E alla fine, il Presidente l'ha spuntata. Ricevendo anche il plauso del Quirinale, con una nota di Napolitano che si dice compiaciuto per l'approvazione avvenuta al termine di un «normale» - lo definisce così - confronto parlamentare.Una volta tolta di mezzo la fiducia, e si ritorna al racconto della mattinata, si è passati alle votazioni, emendamento per emendamento. E qui, arriva la terza notizia: in più di un'occasione il governo è andato sotto. Su due documenti presentati dal piddì e su uno dell'Udc. Testi che il governo aveva chiesto di bocciare, soprattutto quello che istituisce una black-list, una lista di imprese, sospettate di collusione con la criminalità, che non potranno più partecipare a gare d'appalto. Invece, anche in questo caso il governo è stato battuto.Ma non è ancora tutto. Perché la giornata è stata segnata anche da una quarta notizia. Questa tutta e solo «politica». Che ha avuto per protagonista lo stesso Fini. Il Presidente della Camera ha scelto il luogo più simbolico di tutti, l'Aquila, per un impegnativo discorso sulla necessità dei controlli. Ecco il passaggio chiave del suo discorso: «In uno stato di diritto le procedure non possono essere considerate come degli inutili orpelli da derogare fin troppo facilmente in qualsiasi momento».Parole che suonano polemiche. Soprattutto nei confronti di Bertolaso, del governo, della «filosofia» che era sottesa al decreto sulla Protezione civile. In base al quale Bertolaso avocava a sè tutte le competenze - e tutti i controlli - sulle opere della ricostruzione. In nome della «celerità».In una giornata difficile, dunque, sia per la maggioranza che per l'opposizione, in una giornata dove il premier ha respinto senza consultarsi con nessuno le dimissioni del sottosegretario Cosentino (che le aveva annunciate in polemica per l'accordo elettorale con l'Udc in Campania), in una giornata così, si diceva, si è consumato l'ennesimo «strappo» fra Fini e il premier. Fra il Presidente della Camera e la «sua» maggioranza. Non è il primo - probabilmente non sarà l'ultimo - ma è il primo che avviene in piena campagna elettorale.Non resta che dare allora la quinta notizia della giornata. Decisamente meno rilevante ma significativa. Pure questa riguarda Bertolaso. Che smessi definitivamente i panni del «tecnico» super-partes, ha abbracciato definitivamente il linguaggio dei politici. Ha abbracciato lo stile dei politici, la battuta ad effetto. Così ai giornalisti che l'attorniavano ieri alla Camera, chiedendogli un commento sulle vicende di queste ore, ha risposto così: «Se succede qualcosa chi è che va a scavare nel fango? Pensate che ci vada Bersani?».La replica, una volta tanto, non si è adeguata allo stile della provocazione. Semplicemente, il segretario del piddì ed il suo staff, sono andati a ritrovare le foto di un giovanissimo Bersani e le hanno messe sul web. Su Facebook. Si vede un Bersani, poco più che ragazzo, che spala il fango dopo l'alluvione di Firenze del '66.