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la tromba d'aria


È inevitabile, a furia di scrivere e parlare ed amarsi si può arrivare tanto in alto che vengono le vertigini, dato che nessuno ha mai delimitato i confini di questo strano stato chiamato Amore (oppure nessuno gli ha creduto), nessuno sa fino a dove può spingersi, fino a dove è lecito, fino a quali sensazioni si possono sopportare, che si chiamino dolori o si definiscano crudeltà dipende dal punto di osservazione, e a complicare tutto c’è il fatto neanche tanto ovvio che ci si sente come sollevati da terra in una tromba d’aria, quindi i punti di osservazione cambiano vorticosamente, tanto vorticosamente da farti vedere a volte anche te stesso da un altro punto, è però questione di un attimo e si ritorna comunque dentro se stessi, con questa immagine presa dall’esterno che se messa a coltura  genera quasi inevitabilmente un senso di colpa, di quelli inestirpabili, di quelli che al massimo puoi tentare di potare per farli rimanere gestibili dalla tua coscienza. Nel vortice non trovi soluzioni, non trovi risposte, sei solo shekerato, ti si mescola tutto, e alla fine, quando la tromba d’aria svanisce, ti lascia a terra  esausto, sei già consapevole di aver perso qualcosa nel turbinio, cerchi di rimettere in ordine il tuo essere per capire quello che hai perso e se per caso magari ci hai guadagnato qualcos’altro, il bilancio, per molti ma forse non per tutti, è fallimentare, nessuno che è stato trascinato in alto in sella ad una bicicletta si ritrova a terra avvolto dal sedile di una ferrari, è molto più probabile che sia trascinato in alto all’interno della sua vettura e ricada a fianco dei rottami della stessa e magari della bicicletta di quell’altro. E così è costretto a rialzarsi anche se avrebbe voglia di restare disteso in attesa della prossima tromba d’aria , è costretto a cercare gli abiti che aveva addosso ridotti a brandelli, percepisce che qualcosa di molto brutto forse è avvenuto, e cerca in giro smentite che non arrivano , gli arrivano invece folate residue che sanno di impotenza, e di silenzio, di solitudine , agghiacciante come l’urlo disperato e atterrito di un bambino, ci si chiede perché siamo chiamati a percepire tanta distruzione, la risposta può essere a volte la fuga, a volte la pazzia, a volte un bunker antiatomico con le pareti spesse di piombo cemento ed acciaio, che non si possa mai più ripetere un’esperienza simile. E allora a che serve alzare lo sguardo mentre si prende una direzione? A che serve decidere quale direzione? Rimane negli occhi e nella mente la tromba d’aria che ci seguirà sempre e implacabile a ricordarci la nostra infinità nullità.