L'altra campana

SHELA (pausa nel salmodiare)


OBAMA A ROMA      Agli inizi sembrava un presidente diverso. A Roma non ha saputo fare che l’Americano. E’ venuto a elogiare (e quindi a ricordarci) gli “impegni” dell’Italia come grande contribuente della NATO e ad affermare la grandezza dell’America a chi pretenda di tirarsi indietro dall’acquisto dei suoi costosissimi quanto insicuri aerei da combattimento e dalle sue “missioni militari di pace”.      Sintomatico del suo americanismo il criterio della “grandezza” a cui si sono ispirati anche i suoi complimenti: Napolitano “grande statista”, Roma “una grande città”, il Colosseo «più grande di alcuni degli attuali stadi di baseball!» Me cojoni!      Ma ci ha tenuto soprattutto a mostrare ai sudditi quanto sono grandi lui e la sua America. Ha fatto l’americano anche nella fase privata (si fa per dire) della sua visita al Colosseo, scelto non a caso tra i mille tesori d’arte perché “colossale”, stringendo le mani a tutto il personale della soprintendenza, pretendendo con fermezza di pagare il biglietto per sé e per tutto lo staff e le persone dell’ambasciata americana che erano con lui, sostando al book shop dove ha comprato magliette per le figlie e libro illustrativo. Tanto più ha ostentato grandezza presentandosi al Vaticano e a Roma (si fa sempre per dire, perché ben pochi sono riusciti a intravederlo) paralizzando la città, scortato da una flotta di suv corazzati e controllato a vista da cecchini piazzati su tutti i percorsi. Tanto che papa Francesco è sembrato più perplesso che compiaciuto.    Ovvio che gli innumerevoli inchini del nostro Renzi gli meritassero il riconoscimento di una “grande energia”.    Non so se qualcuno gli abbia fatto notare che la “grandezza” se la possono tenere gli Americani, perché l’Italia è più apprezzabile, servi a parte, per ben altre prerogative.