L'altra campana

CARPE DIEM


25.     Vate autunnale,non fu Epicuro coraggioso o vilenel pregustare il proprio funerale.     E mise Orazio in lirica il pensierodel greco dal capanno di Pellecchia:“E’ il Fato che ci frulla in crema e siero,tirandoci alla cieca per l’orecchia.Godi, dunque! Ma più gustodel trambusto dà il grottino;e percuote l’uraganopiù del piano il Palatino.     Nella mediocrità io mi rannicchioper stare caldo caldo in mezzo al mucchio.E tu, che allunghi i rostri sul futuro,compra l’anonimato a peso d’oro!     Se proprio hai da remare, sputa i bronchi;ma non aprir le vele al vento in poppa.Ché il meccanismo tu non muovi o cionchidella fortuna, che sia poca o troppa.Meno esposto al cardiopalmo, sta più calmo chi sta in mezzo;sole o vento non lo squama,non la fama né il disprezzo". Epicuro è stato il bersaglio preferito dal conformismo, non solo cristiano. Io non ho mai visto nessuno che temesse quanto lui ciò che egli dice non doversi temere, ossia la morte e gli Dei (Cicerone, De Natura Deorum, I,31,86). E secondo Filodemo egli si fece iniziare ai Misteri. Invero sul letto di morte Epicuro definì quel giorno il più felice della sua vita; e il suo edonismo ascetico, consistente nello sciogliersi dalle catene degli affari e della politica, nel vivere all’ombra (lathe biosas) e alla giornata (carpe diem), non è solo lontano dalla gaudenza che gli attribuisce la denigrazione cristiana, ma anche dalla leggerezza dei bei versi di Orazio (parafrasati tra virgolette) e dal suo invito all’aurea mediocritas, traducibile in beato anonimato.