L'altra campana

FU OTTAVIO... - 2° seguito


     A chi mi rimproverasse (e lo farebbe di certo il critico letterario) l’omissione, per alcuni tratti del racconto,  di quegli indugi analitici che il lettore è abituato ad attendersi dallo scrittore, faccio presente che è mio intendimento riproporre non i miei contorcimenti viscerali, ma un itinerario culturale; il quale richiede, è vero, un’ambientazione autobiografica, anche particolareggiata, ove occorra; ma rifuggo dall’autocompiacimento di chi ama violare il santuario al quale il senso del pudore suole affidare molti intimi particolari, quelli che il primo saggista rinascimentale, il fiorentino Guicciardini, affidava al libro della discrezione.      Conta di certo il fatto che nel mio tempo migliore io sia stato pastorello, orfanello, chierico e poi tante altre cose, di cui quindi parlerò. Ho amato e odiato, ho sofferto e goduto, ho provato la fame e la sazietà; ho pianto, ho riso e ho cantato. Ho fatto politica e ne ho preso scottature; non ho eluso la lotta, vincendo e perdendo, ma sempre amando sopra ogni cosa la pace. Ho soprattutto sognato. Ho accarezzato l’illusione e ho trovato la delusione. Ho conosciuto tanti stronzi, persone cioè che avresti preferito non incontrare; ma anche persone splendide, troppo poche, invero; e tanti, tantissimi miei simili condannati a un’esistenza anonima e insignificante, nei quali tuttavia non ho faticato a ritrovare sempre i miei stessi palpiti di umanità.          Per cui, ora che sono ritenuto una persona quasi importante, amo giocare a scopone con i cafoni, come Machiavelli nella sua Certaldo, e andare in macchina con la musica classica a palla; essere un progressista che ama il passato e un rivoluzionario saturo del turbinare di innovazioni tecnologiche che hanno cambiato rapidamente il nostro modo di vivere e la nostra cultura, lasciandoci esaltati, storditi, fottuti.