L'altra campana

FU OTTAVIO... 5° seguito


     Nonno Mimmittu (Domenicuccio) aveva prima organizzato la numerosa famiglia come una grossa azienda commerciale; poi, maritate le tre femmine, aveva lasciato che ogni maschio si mettesse in proprio, dividendo tra i figli carretti e muli. Ma il suo talento commerciale non gli impediva di essere un poeta a braccio incontrastato nel paese e ammirato anche fuori. Andava fiero di essere chiamato col nome di colui che, evidentemente, era considerato anche per i paesi della Sabina, oltre che in Toscana, il più grande poeta improvvisatore di tutti i tempi, il Berni. Cosa ignota, mi pare, alla storia della letteratura italiana. Come erano ignoti al nostro Berni, vantatore di una atavica virilità, gli strambotti froceschi dell’altro.     “Cara Francesca mia fatti coraggioché Ottavio porterà Maria del Belgio”.     Così aveva salutato l’arrivo di mia madre, che si chiamava Maria come la principessa abbagliata in quei giorni (era l’anno 1934) dai riflettori della cronaca, benché la sposa di Ottavio fosse soltanto una pastorella. Bella sì, tanto quanto orgogliosa (in casa la chiamavano la Paìna); ma figlia di un modesto pecoraio, che per la sua bontà, pur chiamandosi già Angelo, era soprannominato Pietà; a battagliare anche per lui bastava sua moglie, la fiera Annarella, cugina di quella Giulia soprannominata la Fèra, di cui ho narrato, a chi abbia letto i miei sonetti semiromaneschi, ne La storia burina d’Aristide d’Er Vù.       L’unico a tenere testa a nonno Berni, come poeta, era il primo dei suoi figli, Annibale.      Dello zio Annibale e di Gino, suo figlio, primo laureato del paese, ma in America, ho narrato in un inedito che un giorno potrà vedere la luce, Gino l’americano. Ivi ho anche raccontato la gita del Duce con famiglia sul Monte Pellecchia, nel 1933, a dorso di mulo, accompagnato da mio padre ventiduenne e osannato, alla sua ridiscesa in paese, da un peana del nostro Berni che i maestri avrebbero poi fatto imparare a memoria a tutti  i bambini.     Il paese ne ebbe in cambio la luce elettrica e il servizio postale, uscendo così da un isolamento progressivo e desolante. Aderì quindi in massa a quel movimento fascista che lo reinseriva nel mondo civile e gli prospettava la partecipazione a un’era di gloria.