L'altra campana

FU OTTAVIO... 7° seguito


     L’unica immagine che conservo del babbo sono le ampie spalle che mostrava nello scorticare le lepri al paletto dell’uscio di quella casa. Ma non appena il suo commercio cominciò a girare, acquistò subito la nuda proprietà della casetta che era stata del parroco, di fianco alla chiesa, all’angolo della piazza del paese.     Sarebbe morto prima lui della vecchietta che vi attendeva la chiamata divina.     E prima di entrambi se ne andò nonno Berni, che ho conosciuto solo di nome e per le poche rime che ne ricordava mia madre. Una gelida pioggerella lo colse nella macchia di Monte Mozzone. E se lo portò via, senza che lui opponesse alcuna resistenza. Anche di polmonite, a quei tempi, si moriva senza rimedio.     Ottavio e Maria erano una coppia felice e soddisfatta. In un ambiente e in un’epoca in cui tanti maschi affermavano la loro potestà picchiando la moglie e supplivano alla mancanza di autorevolezza strapazzando i figli, lui, appena tornato dai suoi viaggi, non scaricava né scavezzava i muli se prima non era corso a baciare la sua Maria. Aveva cominciato a corteggiarla quando lei respinse la proposta di matrimonio che lui gli recava per conto di un amico.     “Che me ne faccio”, gli rispose, “di uno che non si sa presentare da sé?”      Lei aveva quattro anni di più. Lui l’adorava; non le permetteva neanche di continuare ad aiutare suo padre a far rientrare la sera le pecore e a mungerle (“Che ci pensino i tuoi fratelli e le tue sorelle”); tanto meno di andare a lavorare con le casalanti nella campagna romana, nelle tenute principesche di Fonte Papa, della Cesarina, di Marco Simone o verso i Castelli.       “Devi pensare solo ad allevare i nostri figli e ad accudire alla casa”, le diceva Ottavio. E lui stesso ci prendeva e ci coccolava quanto poteva.