L'altra campana

L'OMBRA LUCRETILE - 3


      Nel vederci scalzi e seminudi, i soldati  tedeschi ci sorridevano, tentando di parlarci e riuscendo comunque a conquistare la nostra confidenza. Quando fu l’ora del rancio, vedendoci divorare con gli occhi le gavette, ci offrirono il loro riso. Nonostante la fame, lo risputammo quasi tutti: c’era lo zucchero, invece del sale.     Ma ormai avevamo familiarizzato, ignari che fossero i nemici, quei giovani stranieri che non avremmo mai visto andare a messa e che cantavano Lily Marlene.     E cominciò l’inverno più lungo. Gli uomini non potevano recarsi al lavoro, per paura di essere rastrellati come disertori, e i pastori restavano per i monti a tenere nascosti i loro greggi, perché i tedeschi requisivano il bestiame.     Ricordo quando fecero man bassa di tutti gli equini, e li raccolsero nel Piano, dietro il camposanto. Avevano preso anche la somara di nonno Angelo con la sua asinetta, non ancora domata. E Franco (cinque anni lui, sei e mezzo io) mi lanciò in quella circostanza la più bella provocazione: andarle a liberare.     Il paese, allora, era pieno di animali,sia nell’uso domestico che al pascolo; per questo vi si teneva, il giorno di San Rocco, la fiera di bestiame più rinomata della regione. Nei giorni precedenti e più ancora nel giorno della fiera, per allettare i compratori, si domavano i cavalli bradi, incavezzandoli e facendoli volteggiare a lungo; e i giovenchi, legandoli al traino: ‘u strascinu veniva caricato di macigni e, quando i giovenchi erano un po’ammansiti, montavamo sul traino anche noi bambini, facendoci trasportare su e giù per il grande piano.          Gli asini, in particolare, erano le utilitarie del tempo, come il cavallo era la berlina e il mulo il furgone; il padre di Carlo, mio compagno di banco, aggiogava al carro anche i buoi. Ma pochi, in montagna, erano i terreni raggiungibili col carro. Ecco perché, quando a Lisandro qualche paesano più disperato di lui aveva rubato l’asina, per sfamare la sua famiglia, era caduto in un tale stato di disperazione che ne era morto.