L'altra campana

L'OMBRA LUCRETILE - 6


     La mamma ci manifestava sempre i suoi dubbi, pur sapendoci troppo piccoli per aiutarla a risolverli; ma quasi parlando a se stessa, sicura che avremmo sempre approvato qualsiasi sua risoluzione.     “Che ne dite, di accettarla, la proposta di Vincenzo? Insiste che mi vuole risposare. Sarebbe un bell’aiuto economico. E voi avreste un nuovo padre…”     A quella domanda, avanzata più volte dal pretendente, rispondevamo sempre di no. Per infantile gelosia. Ma anche perché quella era la risposta che lei voleva; era fiera che i suoi passerotti voraci si sentissero sufficientemente sicuri tra le sue braccia, calde e robuste come i rami delle nostre querce.     Anche riguardo ai prigionieri si consultò con noi:     “E’ pericoloso… E poi non abbiamo da mangiare neanche per noi… Però quei poveracci stanno morendo di fame e di freddo. Se vostro padre fosse stato al loro posto, come l’avrebbe desiderato l’aiuto di qualcuno! E forse qualcuno, da qualche parte, sta aiutando adesso i vostri zii…”          Dei suoi fratelli minori, Pietro e Dante, partiti per la guerra, non si sapeva più nulla.     Nostra madre decise di aiutare i prigionieri. E tornò alla Corvara, con due rocchi di polenta nello scifo e me per mano. Le bastavo per sentirsi protetta. E la cosa mi riempiva d’orgoglio.     Vi tornammo più volte: era “naturale” aiutare chi stava peggio di noi.  Poi i tre inglesi, imparata la strada di casa, ci raggiungevano a volte di notte, sfidando il coprifuoco. Seduti davanti al camino, con l’orecchio sempre attento ai possibili rumori che potevano provenire dall’esterno, gli stranieri ci prendevano sulle ginocchia e ci insegnavano qualche parola d’inglese. Erano più bravi loro a imparare l’italiano. Accarezzandoci i piedini scalzi, ci promettevano che, tornati in Inghilterra, ci avrebbero mandato scarpe nuove.     Altri clandestini che trovammo nel castagneto del Pantanaccio, un po’ più lontano dal paese, dovemmo abbandonarli ad altre fortune.