L'altra campana

L'OMBRA LUCRETILE - 9


  Segnato dalla guerra e dalla mia prima promozione, si concluse per me positivamente il primo anno di scuola elementare. Non per tutti. Gli addetti ai lavori la chiamano “mortalità scolastica”. Era fortissima, allora, come la mortalità infantile vera e propria: molti dei nostri giorni di vacanza derivavano dall’incombenza di “portare il morticello”. Erano le disastrose condizioni igienico sanitarie e la mancanza di qualsiasi cura prenatale ad aiutare, come ora si sa, i fattori più o meno “naturali” di quella selezione precoce. Ma, a scuola, a bocciare erano i maestri, non i bacilli: quella mortalità era assassinio.     Frequentai a Monteflavio i due successivi anni di scuola elementare. Ed ero sempre tra i bravi. Nella stessa aula, agli ultimi banchi, sedevano  bambini molto più grandi di me: i ripetenti, destinati a passare dalle ripetenze consecutive all’abbandono; e non che fossero handicappati. Mi resi conto che i bambini venivano subito classificati tra i bravi o tra i somari; come se il maestro fosse stato lì a fare il giudice, anziché il formatore. Grazie a quella mentalità fascista (e prima ancora clericale) che voleva i “portati per lo studio” predestinati dalla nascita e li identificava secondo la razza, il censo, la famiglia o il mero pregiudizio, la difficoltà diventava handicap, il disagio stupidità, l’insegnante carnefice. Certo, ben pochi scolari avevano la vena di nonno Berni. Non è la scuola a dare il talento, la formazione sì. E se somaro ritenesse se stesso il maestro che fallisce con un allievo, eviterebbe di diventare di peggio.     Io ho avuto pessimi maestri, che si vantavano delle mie doti letterarie senza averne alcun merito. Sicché zoppico ancora in aritmetica e non ho mai avuto neanche una buona calligrafia.     Mi torna qui in mente un’immagine di molti anni dopo: Giusto e Artemia, i miei suoceri, davanti al televisore, tutti presi dal notiziario. Giusto, terza elementare, sente, capisce e commenta. La moglie gli chiede continuamente spiegazioni, impedendogli di sentire il seguito, finché lui fa abbastanza seccato: “Ma tu non hai frequentato la mia stessa scuola? O stavi sempre in castigo dietro alla lavagna?”