L'altra campana

TATA GIOVANNI - 1


3. TATA GIOVANNI     Non so da quanti anni il convento di Monteflavio fosse delle Figlie di Nostra Signora al Monte Calvario. Ho trovato che fu un certo Giò Mancino (chissà che simpatia!) a destinare per testamento quella sua proprietà a un convento di clausura. Ma forse la clausura non vi fu mai; a violarla, in un paese tra le montagne, sarebbe bastato il canto osceno di un ubriaco per la via. A ridosso delle case del paese si trova infatti il convento, con un bel terreno sul retro.      Le Figlie di Nostra Signora al Monte Calvario vi subentrarono quando venne a mancare un congruo numero di monache del paese. Non mi piacevano già dai tempi dell’asilo, quelle suore. E quando le conobbi più da vicino, le detestai cordialmente.     Furono loro a convincere la mamma a scegliere, per il mio internamento, l’Istituto Tata Giovanni, gestito in Roma dalla loro Congregazione. Stava per raggiungerlo da Monteflavio anche suora Agnese, che vi era stata trasferita. Inoltre, a Tata Giovanni le suore avevano preso a servizio una donna di Monteflavio, di nome Palmira, che il marito aveva cacciato di casa perché qualcuno l’aveva vista uscire dalla stalla assieme a Costantino.          “Così tuo figlio avrà sempre un occhio di riguardo”, diceva suora Agnese a mia madre. E lei, convinta che fosse il luogo adatto per “mettermi a studio” e che avrei trovato lì qualcuno intenzionato a surrogarla nel ruolo materno, autorizzò l’Opera Nazionale a versare a quell’istituto la mia retta.     Mentre la mamma mi preparava tutto il“corredo” richiesto dalle suore e su ogni capo (tante maglie, tante mutande,tante paia di calze) mi ricamava le iniziali col punto croce, Vanda diceva di invidiarmi, per farmi coraggio; Franco mi guardava con muta apprensione. Chi da bambino non ha provato l’esperienza dello sradicamento non può capire che cosa significhi.     Era il 1946. Il 2 giugno, dopo un carosello di comizi, di risse e di manifesti, l’Italia aveva sciolto il nodo della scelta tra monarchia e repubblica e, diretta da un governo di unità nazionale che comprendeva tutto lo schieramento antifascista, comunisti compresi, aveva poi messo al lavoro un’Assemblea Costituente, per definire i principi repubblicani e democratici della sua civile convivenza.     A me, nove anni, nell’ignoranza assoluta delle sorti nazionali, interessava quel settembre, mese sempre fatidico, come quello che avrebbe cambiato il mio destino.