L'altra campana

LA VOCAZIONE - 3


     Nel proposito di trasferirmi in seminario mi confermò mia madre informandomi che all’Opera Nazionale l’avevano rassicurata che a Tata Giovanni avrei potuto lasciare il posto a Franco.     Il “probandato” dei Somaschi era un po’ distante, in Toscana. E i ritorni a casa sarebbero stati limitati a dieci giorni all’anno, intorno a ferragosto. Sopporta, Biotto! E coraggio!    L’ultimo anno di Tata Giovanni fu meno pesante, più per l’apertura di quella nuova prospettiva che per qualcosa in più da mangiare e per la stima che avevo conquistato tra i compagni. Grazie alle mie canzoni, ebbi molti amici. Cosa importantissima, nella nostra prigione, perché significava ricevere confidenze e notizie, leggere più fumetti, essere chiamato ai giochi e ricevere più passaggi della palla; chi non è stato mai discriminato dai coetanei durante il gioco non può sapere quanto questo sia mortificante e quante piaghe ti apra dentro il petto.     Di rado ci facevano uscire per la città; anche perché avremmo dovuto tirar fuori e indossare le divise. Succedeva quasi unicamente per le processioni o per sfilare al funerale di un benefattore; per questo la loro morte ci rallegrava alquanto, non per i lasciti che avrebbero arricchito la fondazione dell’istituto. Quando ci sarei tornato da adulto l'avrei trovato trasformato in un istituto bancario.     C’era un altro prete, a Tata Giovanni, il Padre Spirituale, che era anche maestro del coro. Ma noi bambini lo vedevamo quasi soltanto quando ci confessava e quando convocava i cantori. Lui mi chiamava l’usignolo di Monteflavio. E mi convinse perfino a restare a Natale.     “Allora ci stai bene davvero!” commentò mia madre. Ci stavo malissimo. Ma lui mi aveva insegnato una nuova nenia natalizia che avrei cantato, a solo, nella notte del presepio, davanti a tutti i fedeli del quartiere, che affluivano numerosi nella cappella dell’istituto, in quelle occasioni. Scarsi normalmente i devoti. Tra questi una donna bellissima, che faceva spesso la comunione; e tutti cercavamo di farla al suo fianco; non so come ne avessimo conosciuto il nome, Marzia; era il sogno segreto di tutti noi. Le nostre fantasie erotiche erano tutte per lei. E per cantare davanti a lei passai un tristissimo Natale laggiù.     Non sarebbe stato un prete, se non mi avesse giocato un brutto tiro. In piedi accanto a lui all’armonium per tutta la messa, attesi inutilmente l’ora della mia esibizione. E alla fine si decise a intonare per tutti i fedeli il solito Tu scendi dalle stelle.