L'altra campana

LA VOCAZIONE - 4


     Mia madre, che mi sapeva felice, non venne a trovarmi neanche il giorno della Befana, quando in visita al collegio arrivavano i benefattori, portando i regali. Fui io a intonare l’inno dell’istituto, dopo il discorso commosso del direttore e il saluto paterno di non so quale monsignore. Attendemmo nella nostra bella divisa che venissero distribuiti i regali. Ci speravo. Poco, ma ci speravo. E ci rimasi malissimo, quando a me non toccò la befana, essendo io (mi spiegarono poi) di quelli che sono soliti andare addirittura in vacanza.     Era inevitabile che ripensassi a quelle amarezze quando le suore native di Monteflavio, sparse nei vari Ordini e nei vari istituti di beneficenza, riportavano in dono ai nipoti regali e leccornie,pur non disponendo di denaro, in forza del voto di povertà: io sapevo da dove venivano quei doni, avendo visto le scorte dell’istituto e perfino i nostri viveri finire nelle loro sacche, mentre noi sentivamo i morsi della fame. Né mi sarei meravigliato poi, quando i Padri Somaschi, con sottile pretesco ricatto, ci avrebbero confidato che a nostro beneficio, stavolta, anche dagli orfanotrofi, oltre che da collegi a pagamento e da santuari e parrocchie distraevano vari milioni di lire per il sostentamento dei loro istituti di formazione.     Avevo verificato di persona ciò che oggi rivela freddamente la statistica, che l’assistenza è interesse degli assistenti, più che degli assistiti, risultando che circa l’ottanta per cento dei fondi raccolti o stanziati per l’assistenza o per la ricerca se ne vanno in “spese di organizzazione”; cioè a foraggiare gli enti, gli istituti assistenziali e il cosiddetto volontariato: a beneficare i benefattori. Ecco perché la retta dell’ONOG non poteva andare a mia madre.     Ed ecco perché i fatti vanno ammantati di pietà.     Superai nella vicina scuola di San Saba, sopra le mura, l’esame di licenza elementare. Usignolo o no, ebbi un sei come tutti in musica e canto dopo un Fratelli d’Italia cantato in coro: un anticipo del sei politico sessantottino. E trascorsi al paese la vacanza più lunga, nell’attesa della seconda svolta della mia vita: la scuola media.     Cercai di confortare Franco, che avrebbe preso il mio posto a Tata Giovanni; non senza metterlo sull’avviso:     “E’ un ambiente difficile”, gli dissi.“Segui i consigli di Nacci, che è un ripetente amico mio e mi ha promesso di proteggerti: è uno che mena”.