L'altra campana

LA VOCAZIONE - 7


     Indimenticabile, il primo viaggio in treno. Era il 1949: avevo 12 anni. E il treno entrò prepotentemente da allora nella mia immaginazione come portatore dei miei sentimenti, di speranza, di rimpianto, di nostalgia.       C’erano bambini che, pur avendo già viaggiato in treno fino a Roma, non si staccavano dai finestrini:     “Che bello! Che bello!” esclamavano, mentre il treno sferragliava da una galleria all’altra.      “Bello che cosa?”     “Le montagne. Quelle sono montagne, vero?” Venivano dal Tavoliere delle Puglie: non avevano mai visto una montagna. Coluccia, Mitola, De Lillo, Zagaria… i loro nomi. Tutta l’Italia centromeridionale faceva parte della Provincia Romana dell’Ordine dei Padri Somaschi,che aveva da poco e mantenne per qualche tempo il suo probandato nel Castello di Pescia.     In quegli stessi giorni un altro treno portava Gino a Parigi e di là a Cherbourg, dove la Queen Mary lo faceva proseguire  per New York, a tentare un’altra via del sapere. Ma lui era maggiorenne e aveva uno zio materno che l’aspettava in America…     A Firenze prendemmo un treno locale; e giunti a una decorosa cittadina, l’attraversammo a piedi per poi salire, sempre a piedi, per un selciato a zigzag fino al Castello, situato su una delle prime  balze che sovrastano la Valdinievole.     Il posto era bello. Pescia era già nota per i suoi vivai; il suo mercato dei fiori rivaleggiava con San Remo; perfino molti ulivi di Monteflavio erano nati a Pescia. Ma all’interno dell’istituto le stesse camerate, la stessa chiesa, lo stesso refettorio e lo stesso appetito, se non la fame che avevo conosciuto. Alla chiesa però si andava almeno quattro volte al giorno, oltre alle ulteriori visite facoltative, entrandovi da una porta interna.      C’era un cortile con un portico, per la ricreazione dei piccoli, allinterno dell’edificio a ferro di cavallo; e un cortile più grande ricavato all’esterno per la camerata dei grandi. Il cortile interno era sovrastato, nel lato aperto, da un orto pensile delimitato da una siepe di mirto: doveva essere stato un bel giardino, circondato dalle mura del Castello, con una grande vasca al centro che, riempita dall’acqua piovana, avremmo utilizzato nella buona stagione come l’unica vasca da bagno.