L'altra campana

IL CARDELLINO - 5


    Come nella vita s’incontrano facce da dimenticare, così esistono immagini che ti rimangono amiche. Tale quella del frascatano Padre Busco. Prete mite, magro e tutt’altro che forzuto, anche a causa della sua ulcera, era il maestro della schola cantorum, suonava le varie tastiere e aveva una discreta voce da basso; ma tra le voci bianche cantava di testa, per sostenere il coro.     Il mio arrivo gli parve un dono del cielo. Gli tenevo con sicurezza la prima voce nei pezzi più impegnativi e aveva trovato l’assolo che cercava. Anch’io rispondevo entusiasta alla sua chiamata: il cantare diventò anche nella vita religiosa l’attività più piacevole, oltre che gratificante, per me. Messe di vari autori, oltre a quelle gregoriane, e mottetti polifonici ci rendevano richiestissimi da tutte le parrocchie della diocesi.             Mi sentivo rinascere quando uscivo col gruppo ristretto dei cantori, diretto più spesso alle vicine chiese di Santo Stefano o di San Francesco o alle pievi di Collecchio o del Monte; ma anche più lontano: a Uzzano, a Borgo a Buggiano, a Marlia, a Montecarlo, ad Altopascio. Spesso ci scappava la merendina col goccetto di vin santo o di sidro. E a volte ci portavano a pranzo, uno o due per famiglia. Ricordo quella di Montecarlo. Dappertutto contadini che parlavano come persone istruite; e da tutti le stesse parole:    “O bimbo, mangia, suvvia… Ti fan mangiare i preti? Ve lo dan, da mangiare, ve lo danno o miha?” Era bellissimo, sentirsi per un’ora o due tra persone normali, senza una vocazione e senza l’obbligo di essere perfetti; e per di più nella terra disincantata del Giusti.     Per la gente, per tutti, eravamo orfani. E qualcuno ci metteva in guardia da eventuali tentativi dei frati di “farci preti”.     Erano i nostri religiosi a fregiare il probandato del generico titolo di Istituto Emiliani e a far credere che fosse un orfanotrofio. Intuibile il perché, in quello che più tardi avrei conosciuto come lo Stato assistenziale, occupato da un partito confessionale.     “Naturalmente speriamo che in taluno di loro sopraggiunga la vocazione religiosa”, dicevano. Mentre ben altro tono tenevano con noi: lasciare era tradire; e tradire la vocazione significava la dannazione sicura.