L'altra campana

IL CARDELLINO - 8


     Ma toscani erano i più accettabili tra i superiori, unitamente ai laziali Padre Busco e Padre Temofonte. Di Montelanico come Enrico, padre Temofonte fu rettore negli ultimi due anni e poi Padre Provinciale. Prefetto timido e delicato, fratel Morosi ci leggeva un suo racconto inedito. Il serafico Padre Mattei, sacerdote da poco tempo e professore d’italiano, mi provocava a tenzoni poetiche.     Toscano doc, ma meno simpatico a noi, era anche il nostro padre spirituale, chiamato dalla Regola il Maestro degli aspiranti, il solido e salace Padre Polverini. Eppure, a parte un disprezzo più ostentato che reale per i nostri paesi e per noi, era gioviale, disponibile a giocare a pallone in squadra e a sporcarsi le mani. Ma era capace di leggermi dentro. E poteva mandarmi via.     Dovevamo recarci spontaneamente a colloquio dal Padre Maestro. I renitenti li convocava lui. E a lui era impossibile nascondere gli atti impuri che commettevamo. Per fortuna, pur disapprovandomi decisamente, sembrava che si accontentasse del fatto che li commettessi da solo. Anche il confessore (un parroco o un religioso) che veniva da fuori, per ottenere da estraneo una maggiore sincerità, poneva sempre quella domanda:     “Da solo o con altri?”     Puro come l’acqua di Fonte Nucella, sul principio trovai quella domanda ridicola, là dentro. I mormorii vietatissimi che trapelavano in occasione di partenze repentine mi rivelarono poi che il vezzo dei cocchetti non era sempre platonico. Ogni piccolo era cocchetto di qualcuno e ogni grande ne aveva uno. Ed io, che avevo sentito parlare di froci più di tutti, fui tra gli ultimi ad accorgermi che l’omosessualità non era solo un insulto, ma una realtà, anche nell’ambiente religioso. A dispetto delle dicerie profane, continuo a credere che essa fosse nella media generale e che le perversioni come la pedofilia fossero casi comunque eccezionali. Mentre generali erano, fino alla perversione, le turbe psicologiche indotte dalla rinuncia a una normale attività sessuale.     Fummo oggetto di una malcelata preoccupazione tra i Padri quando tre “romani” costituimmo, cooptando come socio anche Vittorio Coluccia di Trani, il sodalizio dei “Quattro Pessimisti”. Oltre a me, ne facevano parte Aristodemo Paris di Anguillara ed Enrico Fabrizi di Montelanico. Non era null’altro, in realtà, che una definizione accademica, pur sottintendendo una leopardiana tensione critica.