L'altra campana

IL NOVIZIO - 2


     Una settimana di esercizi spirituali in assoluto silenzio, con meditazioni imperniate sui quattro novissimi (morte, giudizio, inferno e paradiso); e quindi, terrificati con l’ossessiva minaccia di una morte improvvisa, edotti della essenza della vita religiosa (l’autoannientamento), vedemmo spuntare il giorno solenne della vestizione, in un santuario settecentesco affollato di curiosi e di parenti dei novizi provenienti dalle regioni più vicine.      Mia madre non sarebbe potuta venire; né gliel’avevo chiesto; come nulle erano altre presenze della Provincia Romana.      Fui contento che così non sentisse il discorso (un po’ esagerato, pensai allora) del Padre Generale: i nostri genitori ci restituivano a Dio, perché morissimo al mondo e agli affetti terreni, per vivere l’ideale della perfezione; senza famiglia, senza patria, senza libertà. Non avremmo fatto un passo fuori dal convento senza ricevere, all’uscita e al rientro, la benedizione del Padre Superiore; avremmo rinunciato alla vita come vittime di espiazione dei peccati del mondo. E tra i banchi che ospitavano i fedeli si udiva, mal soffocato, levarsi qualche singhiozzo.      Cominciammo a sfilare fuori dai banchi uno alla volta. Al centro della chiesa ci raggiungeva e ci accompagnava verso l’altare un vecchio novizio neo professo. E mentre un’altra coppia prendeva il posto della prima al centro della navata, il novizio si distendeva carponi nel presbiterio, dove erano predisposti tonaca, pallio e berretta di ognuno; quindi,dopo aver subito passivamente le formule esorcistiche e le benedizioni rituali, veniva simbolicamente “spogliato dell’uomo vecchio” (gli toglievano la giacca o il pullover) e materialmente “rivestito dell’uomo nuovo”.     Ero come trasognato quando giunse il mio turno e mi sottoposi al rituale con il pensiero rivolto più ai familiari assenti che a quanto mi stava succedendo. Che impressione avrebbero ricevuto Vanda e Franco da quella inquietante cerimonia?     E sentivo più smarrimento che emozione quando, infine, nel mio nuovo look, ridiscesi i gradini del presbiterio tra i mormorii, con la veste nera stretta ai fianchi da una cintola di cuoio, il pallio che scendeva dalle spalle e il tricorno in testa. Notai che la cintola era identica a quella delle scuffie di Tata Giovanni; e serviva allo stesso scopo, a fustigarci.